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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Raffaello certifica l’identità della Gioconda

  Fig. 1

Altrove abbiamo trattato compiutamente La Gioconda di Leonardo in tutte le sue vaste e irrisolte problematiche; con la presente nota intendiamo focalizzare l’intervento di Raffaello che suggella le altre risultanze documentali tendenti ad identificare la modella per il dipinto del Louvre con Lisa Gherardini del Giocondo. Come abbiamo ampiamente argomentato, Leonardo fece il disegno della Gherardini, cui avrebbe dovuto seguire il ritratto dipinto su tavola, ma in seguito cambiò il suo programma trasformando negli anni la Donna del Louvre nell’Allegoria della Pittura 1. Già al primo impatto con il dipinto cadono i riconoscimenti di donne non fiorentine: Gioconda è assisa su una seggiola a pozzetto fiorentina e si trova in una loggetta tipica delle ville toscane; la conferma della originaria fiorentinità di Gioconda la dà Raffaello con un suo disegno, di cui ci accingiamo a disquisire.

 

Analisi dei documenti atti ad identificare la modella del dipinto del Louvre

Il primo documento da prendere in esame nell’identificazione di colei che prestò il suo volto per la realizzazione di Gioconda è ovviamente la descrizione del ritratto di Lisa Gherardini del Giocondo, fatta da Vasari nella Vita di Leonardo: 

Prese Leonardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie, e quattro anni penatovi lo lasciò imperfetto, la quale opera oggi è appresso il re Francesco di Francia in Fontanableò; nella qual testa chi voleva veder quanto l’arte potesse imitar la natura, agevolmente si poteva comprendere, perché quivi erano contraffatte tutte le minuzie che si possono con sottigliezza dipingere. Avvenga che gli occhi avevano quei lustri e quelle acquitrine, che di continuo si veggono nel vivo: et intorno a essi erano quei rossigni lividi et i peli, che non senza grandissima sottigliezza si possono fare. Le ciglia per avervi fatto il modo del nascere i peli nella carne, dove più folti e dove più radi, e girare secondo i pori della carne, non potevano essere più naturali. Il naso, con tutte quelle belle aperture rossette e tenere, si vedeva essere vivo. La bocca, con quella sua sfenditura con le sue fini unite dal rosso della bocca con l’incarnazione del viso, che non colori, ma carne pareva veramente. Nella fontanella della gola, chi intensissimamente la guardava, vedeva battere i polsi: e nel vero si può dire che questa fussi dipinta d’una maniera da far tremare e temere ogni gagliardo artefice e sia qual si vuole. Usovvi ancora questa arte, che essendo Monna Lisa bellissima, teneva mentre che la ritraeva, chi sonasse e cantasse, e di continuo buffoni che la facessimo stare allegra, per levar via quel malinconico, che suol dar spesso la pittura a ritratti che si fanno. Et in questo di Lionardo vi era un ghigno tanto piacevole che era cosa più divina che umana a vederlo, et era tenuta cosa meravigliosa, per non essere il vivo altrimenti2.

La descrizione, se pur particolareggiata, presenta molte problematiche che hanno dato adito a critiche finanche distruttive della sua attendibilità; si sostiene che Vasari non ha mai visto il dipinto e descrive unicamente il volto dilungandosi per di più sulle sopracciglia che Gioconda non ha.

Un secondo documento, pubblicato da Probst in un erudito articolo, fa riferimento al ritratto di Lisa Gherardini realizzato da Leonardo; si tratta di una chiosa apposta nell’ottobre del 1503 da Agostino Vespucci, cancelliere della Repubblica Fiorentina nella segreteria di Machiavelli, ad un manoscritto del 1477, in cui sono trascritte lettere ciceroniane. In una missiva inviata nel dicembre del 54 a.C. all'amico Lentulo Spintere comandante in Cilicia, Cicerone, che aveva ottenuto dai triumviri il permesso di tornare in patria ma senza la restituzione dei beni confiscati, esternava Il senso di incompiutezza ingenerato in lui da tale situazione, tanto da sentirsi un po’ come un’opera di Apelle, il grande pittore greco che realizzava la testa dei suoi dipinti ma poi non portava a compimento le parti restanti.:

Qui me homines quod salvum esse voluerunt, est mihi gratissimum.

Sed vellem non solum salutatis meae quem ad modum medici, sed ut alite etiam virium et coloris rationem habere voluissent. Nunc, ut Apelles Veneris caput et summa pectoris politissima arte perfecit, reliquam partem corporis incohatam reliquit, sic quidam homines in capite meo solum elaborarunt, reliquum corpus imperfectum ac rude reliquerunt

«Sono molto riconoscente a quegli uomini che hanno voluto la mia salvezza.ma vorrei che avessero tenuto conto, non solo della mia salute, come I medici, ma anche, al modo di chi massaggia gli atleti, delle forze e del buon colorito. Ora così come Apelle raffigurò con arte raffinatissima il capo di Venere e la parte superiore del busto, mentre lasciò appena abbozzato il resto del corpo, così certa gente si è formata un giudizio sul mio capo, valutando in modo inadeguato e rozzo il resto».

Vespucci apponeva al manoscritto una chiosa a margine nei termini seguenti:

Apelles pictor. Ita Leonardus Vincius facit in omnibus suis picturis, ut enim caput Lise del Giocondo et Anne matris virginis. Videbimus, quid faciet de aula magni consilii, de qua re convenit iam cum vexillifero. 1503 octobris.....

«Apelle pittore. Così fa Leonardo da Vinci in tutti i suoi dipinti, ad esempio per la testa di Lisa del Giocondo e di Anna, madre della Vergine. Vedremo cosa ha intenzione di fare per quanto riguarda la sala del Maggior Consiglio per la quale ha già pattuito con il gonfaloniere. Ottobre 1503.»3

Vespucci era preoccupato per la lentezza con cui Leonardo conduceva le sue opere e in poche righe elaborava un’agenda da sottoporre al Gonfaloniere di Giustizia (il capo della Repubblica Fiorentina) Pier Soderini che proprio in quel tempo aveva commissionato a Leonardo la Battaglia di Anghiari. Vespucci espresse le riserve su Leonardo al Gonfaloniere che, fermamente determinato ad andare avanti con il progetto delle Battaglie nella sala del Gran Consiglio, dette verosimilmente incarico allo stesso cancelliere di aiutare Leonardo nella ricostruzione storica della battaglia di Anghiari; Vespucci tradusse per Leonardo la cronaca della Battaglia di Anghiari scritta da Leonardo di Piero Dati4.

La chiosa di Vespucci all’incunabolo di Heidelberg, attesta che Leonardo nel 1503 era intento a dipingere il volto di Lisa Gherardini del Giocondo. Per contro la descrizione di Vasari costituisce documento inoppugnabile dove vi si afferma che Il ritratto di Lisa fatto da Leonardo era quello locato a Fontainbleau. L’indicazione da un lato identifica il ritratto della Gherardini con la Donna del Louvre e dall’altro sembra proprio voler dirimere eventuali dubbi di paternità su un paritetico ritratto di Lisa che stava ugualmente riscuotendo successo in quel tempo.

Lomazzo, nei suoi Scritti sulle Arti parla di Gioconda e Monna Lisa come di due opere diverse «di mano di Leonardo, ornati a guisa di primavera, come il ritratto di Gioconda e di Monna Lisa, ne’ quali ha espresso, tra l’altre parti, miravigliosamente la bocca in atto di ridere»5.

Lo scritto, che a prima vista può apparire come un grossolano errore, fa con tutta probabilità riferimento a un secondo ritratto da identificarsi con la Gioconda oggi al Prado, “riscoperta” poco tempo fa, dopo una pulitura che ha portato alla luce un paesaggio retrostante al soggetto, analogo a quello del Louvre. Altrove abbiamo valutato tutti gli aspetti che legano i due dipinti; ne ricordiamo qui alcuni particolarmente significativi. La tavola del Prado non è una copia posteriore perché gli esami scientifici elaborati dagli esperti del Museo di Madrid hanno messo in evidenza che il disegno preparatorio ha avuto, durante l’esecuzione dei due dipinti, delle correzioni a carboncino per intervento della stessa mano; un copista posteriore non poteva conoscere le correzioni al disegno. I dipinti furono realizzati pertanto, vista la diversa qualità, in contemporanea da due artisti e proprio per le correzioni paritetiche gli esecutori furono rispettivamente Maestro e allievo. Esaminando il rapporto esistente tra il San Giovanni Battista del Louvre e il corrispondente della Pinacoteca Ambrosiana, vi si riscontra la stessa scala stilistica delle due “Gioconde”. Il dipinto dell’Ambrosiana è assegnato con conferme documentali a Salaì per cui l’allievo che seguiva il Maestro nel ritrarre la Gherardini era proprio Gian Giacomo Caprotti chiamato per l’appunto Salaì; il dipinto di questi mostra le sopracciglia come descritte da Vasari perché doveva attenersi più fedelmente al ritratto di Lisa secondo i desiderata del Maestro che stava dando al suo dipinto tutto un altro significato; la descrizione di Vasari pertanto può essere stata fatta avendo di fronte il ritratto di Salaì (Fig. 2).

Fig. 2

La radiografia della Gioconda del Louvre mostra che il volto era inizialmente molto più sfilato e simile a quello della Gioconda del Prado, portando la prova che Leonardo voleva allontanarsi dal volto della modella. Nel contributo di cui abbiamo fatto cenno in apertura abbiamo dato la nostra interpretazione degli intendimenti di Leonardo: dopo il suo soggiorno urbinate l’artista decise di dare tutto un altro indirizzo al dipinto che sarebbe derivato dal cartone di Lisa trasformando l’immagine fisica di una donna nell’immagine allegorica della Pittura, l’arte somma a suo giudizio, superiore anche alla poesia e paragonabile all’indagine filosofica6.

La ricostruzione rende ragione delle preoccupazioni di Vespucci: il cartone di Lisa fu iniziato evidentemente nel secondo semestre del 1501 durante uno dei soggiorni fiorentini di Leonardo per essere poi abbandonato la primavera dell’anno seguente quando l’artista seguì il Valentino nei territori del Montefeltro e di Romagna. Il cartone fu ripreso in mano nel 1503, al ritorno a Firenze dell’artista e trasferito in pittura lavorando, durante quel periodo, unicamente sul volto; se Leonardo non avesse iniziato il cartone di Lisa nel 1501 non vi sarebbe stata ragione alle preoccupazioni di Vespucci dell’ottobre del 1503 dato che l’artista era tornato a Firenze nella primavera inoltrata dello stesso anno.

I destini delle due Gioconde seguirono tragitti diversi: quella di Leonardo venne portata in Italia proprio da Salaì che la ebbe in eredità dal Maestro, ma nel 1524 il giovane allievo fu assassinato, l’opera fu sottratta e successivamente trafugata in Francia; tanto si evince dalla corretta lettura dei documenti dell’epoca. L’arma del delitto non fu il pugnale, come ci si aspetterebbe in una aggressione perpetrata da delinquenti comuni, ma un’arma da fuoco, comunemente in mano ai militari: è verosimile pertanto che l’assassinio e la rapina furono pianificati in alto.

Il dipinto del Prado, nel secolo XVII, da Milano prese la via della Spagna con tutta probabilità ad opera dello scultore Pompeo Leoni che collezionò molte opere e manoscritti concernenti Leonardo, entrando anche in possesso di quanto era stato ereditato da Melzi .

Le argomentazioni a sostegno dell’identificazione della modella per il dipinto del Louvre con Lisa Gherardini del Giocondo sembrano incontestabili e l’ ipotesi alternativa che data il dipinto alla seconda decade del secolo XVI perde ogni attendibilità, come anche la pletora di riconoscimenti di Donne famose dell’epoca. Coloro che sostengono queste variegate ipotesi basano le proprie argomentazioni su quanto avrebbe detto Leonardo al Cardinale d’Aragona suo ospite di fronte al dipinto:

Inuno de li borghi el Signore con noi andò ad videre messer Lunardo Vinci fiorentino, vecchio de più de LXX anni, pictore in la età nostra excellentissimo, quale mostrò ad sua Signori a Illustrissima tre quatri, uno di certa donna fiorentina, facto di naturale ad istantia del quondam Magnifico Iuliano de Medici, l’altro di san Iohanne Baptista giovane, et uno de la Madonna et del figliolo che stan posti in gremmo de sancta Anna, tucti perfettissimi.7

Le parole di Leonardo, se realmente proferite, a mio avviso hanno un solo significato: Il Maestro non voleva dire a un fugace visitatore chi fosse il soggetto del dipinto proprio perché non si trattava più di un ritratto ma di un’allegoria. Per valorizzare l’opera di fronte al Cardinale, Leonardo lo presentò come il ritratto di una Gentildonna fiorentina, favorita del Duca di Nemours che essendo defunto non poteva smentire e d’altronde il decesso giustificava il fatto che il dipinto fosse rimasto in mano al pittore e lo stesso Cardinale non aveva ragioni per contestare la commissione perché il Medici era conosciuto come grande tombeur de femmes.

 

Il disegno di Raffaello

L’analisi dei documenti, di per sé probante, trova inequivocabile riscontro in un disegno di Raffaello eseguito all’inizio del suo periodo fiorentino. L’artista nel 1504 si trovava a Siena con il Pinturicchio quando fu folgorato dall’impulso di sfruttare una occasione irripetibile: incontrare contemporaneamente a Firenze i due massimi esponenti dell’arte viventi, Leonardo e Michelangelo impegnati nelle due grandi battaglie per la Sala del Consiglio. Si precipitò a Urbino per farsi fare una lettera di presentazione a Pier Soderini, Gonfaloniere di Giustizia, da parte di Giovanna Feltria, la figlia di Federico di Montefeltro andata sposa a Giovanni della Rovere Signore di Senigallia e fratello del Pontefice Giulio II. Scriveva Giovanna:

Sarà lo esibitore di questa Raffaelle pittore di Urbino, il quale avendo buono ingegno nel suo esercizio, ha deliberato stare qualche tempo in Fiorenza per imparare. E perché il padre so, che è molto virtuoso, e è mio affezionato, e così il figliolo discreto, e gentile giovane; per ogni rispetto io lo amo sommamente, e desidero che egli venga a buona perfezione; però lo raccomando alla Signoria Vostra strettamente, quanto più posso; pregandola per amor mio, che ogni sua occorenza le piaccia prestarli ogni aiuto e favore, che tutti quelli e piaceri, e comodi, che riceverà da V.S. li riputerò a me propria, e lo averò da quella per cosa gratissima, alla quale mi raccomando, e offero
Urbini prima octobris 1504 Joanna Feltria de Rovere Ducissa Sorae et urbis Praefectissa.8

La lettera viene spesso interpretata come una richiesta al capo della Repubblica Fiorentina di commissioni artistiche per Raffaello; in realtà lo scritto non ha un tale significato: La lettera non è che una richiesta al Gonfaloniere a che Raffaello fosse introdotto ai due grandi geni dell’arte del tempo con il viatico di chi era in strettissimi rapporti con loro e in particolare con Leonardo. Raffaello intendeva andare a Firenze letteralmente per “imparare”; lo dimostrano i numerosi disegni realizzati come studio su opere di Leonardo e Michelangelo, anche se poi l’Urbinate strinse contatti con molti altri artisti: Fra Bartolomeo, Ridolfo del Ghirlandaio, Antonio da Sangallo, Andrea Sansovino ed altri.L’intervento di Pier Soderini ebbe l’effetto sperato: Leonardo aprì a Raffaello la cartella dei suoi disegni come dimostrano le corrispondenze tra la Leda col Cigno dell’urbinate e l’archetipo di Leonardo oggi perduto ma esistente per l’intero in copia (Fig. 3) e per il solo volto, come studio, in originale leonardesco (Fig. 4).

Fig. 3

Fig. 4

 

È ancora da metter in evidenza un volto di vecchio di Leonardo ripreso da Raffaello ma con minore crudezza espressiva (Fig. 5) e nello stesso foglio una scena di battaglia in derivazione da quella che Leonardo stava elaborando per la Sala del Consiglio (Fig. 6 e 7). Il disegno di donna, realizzato da Raffaello, prova che nella cartella di Leonardo c’era anche il ritratto di Lisa e diviene pertanto inspiegabile che possa esserne messa in dubbio la derivazione; in effetti i legami del disegno di Raffaello con la Gioconda e la sua germana coeva di Salaì sono molteplici: la disposizione del soggetto in una loggia che apre su un paesaggio, la presenza di colonne con basi, l’impostazione spaziale del corpo e del volto del soggetto, la disposizione delle braccia e delle mani. Tutto depone per il fatto che Raffaello abbia voluto riprendere a suo modo il ritratto che stava facendo Leonardo in quel periodo. Se ora confrontiamo i due dipinti con il disegno possiamo trarne delle significative deduzioni; il volto del disegno è chiaramente più vicino al dipinto di Madrid che non a quello del Louvre, la cui radiografia, per contro, mostra l’impostazione originaria conforme allo studio di Raffaello. Le modifiche di Leonardo al volto di Lisa furono fatte negli anni per cui Raffaello si attenne al disegno originario e oltretutto aveva anche modo di controllare dal vero il volto di Lisa Gherardini; l’Urbinate abitava a Firenze in via Ginori, ospite di Taddeo Taddei, uomo di cultura molto conosciuto in città; l’abitazione di Lisa Gherardini del Giocondo era in via della Stufa e pertanto si trattava quasi di una dirimpettaia.

Fig. 5  Fig. 6

Fig. 7

 

In conclusione Raffaello realizzò, nel 1504/’5, da disegni di Leonardo, studi tra i quali vi fu quello oggi al Louvre, oggetto della nota, che diviene un termine ante quem per la realizzazione del cartone della Gioconda, confermando quanto da noi sostenuto in proposito; cadono perché improprie tutte le datazioni del dipinto del Louvre al secondo decennio del secolo XVI e le relative, non documentate, ricostruzioni storiche.

 

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1, A sinistra in alto.Leonardo da Vinci. La Gioconda. Museo del Louvre. Parigi.A destra in alto.Gian Giacomo Caprotti detto Salaì. Monna Lisa. Museo del Prado. Madrid. A sinistra in basso.Leonardo da Vinci. La Gioconda. Radiografia del dipinto che mostra un profilo originario molto più sfilato. A destra in basso. Raffaello Sanzio. Studio da Monna Lisa. Dipartimento disegni. Museo del Louvre. Inv. 3882.

Fig. 2, A sinistra. Leonardo da Vinci. San Giovanni Battista. Museo del Louvre. Parigi. A destra. Gian Giacomo Caprotti, detto Salaì. San Giovanni Battista. Pinacoteca Ambrosiana. Milano.

Fig. 3, A sinistra. Raffaello Sanzio. Studio da Leda col Cigno di Leonardo. R.L.W.C. inv. 12759. A destra. Leonardo. Studio per la testa di Leda. In basso. Copia da Leonardo. Leda col Cigno.

Fig. 4, Raffaello Sanzio. Studi di Testa di uomo da Leonardo. Ashmolean Museum. Oxford. Inv. P.Ii 535.

Fig. 5, Copia dal cartone di Leonardo della Battaglia di Anghiari.

Fig. 6, Raffaello Sanzio. Studio dal David di Michelangelo.British Museum. In pp. 1-68.

 

Note con rimando automatico al testo

1M. Giontella, R. Fubini. La Gioconda di Leonardo.Il Divenire Esterno ed Interno di un Ritratto. In Atti e Memoriedell’Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria Volume LXXVII. Anno 2012, pp. 234-264.

2G. Vasari. Lionardo da Vinci. Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Libro terzo Firenze 1550 e 1568; Firenze, Bettarini-Barocchi 1976, IV, pp. 30-31. La Gioconda, come descritto da Vasari, nel secolo XVI e nella prima parte del secolo XVII era conservata nella collezione reale di Fontenbleau, dove venne ancora descritta da Cassiano del Pozzo nel 1625: «Un ritratto, della grandezza del vero, in tavola incorniciato di noce intagliato, è mezza figura et è ritratto d'una tal Gioconda. Questa è la più compiuta opera che di quest'autore si veda, perché dalla parola in poi altro non gli manca. La figura mostra una donna di 24 in 26 anni, di faccia non al tutto alla maniera delle statue greche di donna, ma alquanto larghetta con certa tenerezza nelle gote e attorno a' labóri e agl'occhi che non si può sperar d'arrivar a quella squisitezza. La testa è adornata d'una acconciatura assai semplice, ma altrettanto finita; il vestito mostrava o negro o lionato scuro, ma è stato da certa vernice datale così malconcio che non si distingue troppo bene. Le mani son bellissime e in somma, con tutte le disgrazie che questo quadro habbi patito, la faccia e le mani si mostrano tanto belle, che rapiscono chi le mira. Notamo che a quella donna, per altro bella, mancava qualche poco nel ciglio, che il pittore non gliel'ha fatto molto apparire, come che essa non doveva haverlo». (Cassiano del Pozzo, ms Barberini, 1625, Roma, Biblioteca Barberini, LX, n. 64, ff. 192v-194v). Dopo alcuni anni Luigi XIV fece trasferire l’opera a Versailles. La Gioconda passò al Louvre dopo la Rivoluzione francese con un ulteriore temporaneo spostamento nel periodo napoleonico quando fu posta nella camera da letto dell’Imperatore.

3Incunabolo 7620 della Biblioteca universitaria di Heidelberg. Cicero ad familiares Bologna 1477. c.11r. Cfr. Veit Probst, Zur Entstebeungs geschichte der Mona Lisa. Leonardo da Vinci trifft Niccolò Machiavelli und Agostino Vespucci, Verlag Regionalkultur, Ubstadt-Weiher, 2008.

4La traduzione della cronaca della Battaglia di Anghiari, redatta da Agostino Vespucci per Leonardo, si riscontra nel Codice Atlantico ai fogli 202r. e 202v.

5G. P.Lomazzo. Scritti sulle arti, a cura di Roberto Paolo Ciardi. Centro D. Firenze 1973, vol. II, p 378.

6M. Giontella, R. Fubini. La Gioconda di Leonardo.Il Divenire Esterno ed Interno di un Ritratto, cit., p. 263.

7Antonio De Beatis, 10.ottbre 1517. Napoli Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele II, Ms.X.F.28 (cfr. E. Villata, Leonardo da Vinci. I documenti e le testimonianze contemporanee, Milano. Castello Sforzesco. 1999, doc. 314, p. 262).

8La lettera era conservata in casa Gaddi a Firenze; nel 1856 fu venduta a Parigi e successivamente è andata perduta.

 

 

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