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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Il neorealismo rinascimentale del Giulietta e Romeo di Castellani

 

Una pellicola affrescata.

 

Sfida cinematografica dagli albori del Novecento, la primissima comparsa in pellicola di Romeo e Giulietta si ebbe nel 1916 ad opera di Gordon Edwards (1). Film perduto, come moltissimi dei lavori dell'Edwards, non superava i settanta minuti di durata.
Vent'anni più tardi è George Cukor a portare la tragedia in pellicola attenendosi, nel contempo, ai più fedeli stilemi hollywoodiani e allo scritto shakespeariano.

Fig. 1Appesa alla dimensione universale, come universale viene ritenuta l'intera opera del drammaturgo inglese, è in Renato Castellani (2) che germoglia l'intento di riassegnare alla storia degli amanti veronesi le autentiche radici italiche: Dante inaugurò i nomi delle due famiglie in lotta (3), ma la novella originale fu scritta nel 1467 da Masuccio Salernitano, per essere riproposta in diverse versioni fino alla trasposizione inglese del 1562 di Arthur Brooke, da cui attinse Shakespeare (4).

A colpo d'occhio viene da dire che il cineasta ligure si sia prefissato davvero come unico scopo quello di restituire la storia trecentesca al suo originario contesto socio-culturale. Nella sua ricerca di tradurre Shakespeare in immagini, Castellani, incanalato nella corrente neorealistica degli anni Quaranta e Cinquanta, concretizzò il cinèma immaginaire (5) – filone ritenuto congeniale per l'opera teatrale – sliricizzando le battute e depurando i personaggi, in primis Mercuzio, di radici britanniche e legami col mondo elisabettiano, per indugiare costantemente, con l'attenzione del più perfezionista degli esteti, nella resa del dettaglio.

E così cade anche Castellani nell'ineluttabile monito di Orson Wells, il quale, parlando dell'Otello, arrivò ad ammettere che “noi tutti tradiamo Shakespeare”(6). Ma c'è da chiedersi se Castellani fosse interessato davvero a Shakespeare. L'attenzione alle battute cade difronte all'indugio costante, approfondito e analitico per paesaggi, architetture, arredi, costumi e pettinature. Non è un caso che la ricerca delle località in cui girare durò tre anni, prima di ricadere su Venezia, Verona, Siena, San Quirico d'Orcia e Montagnara. E non è un caso che come costumista fosse stata scelta Leonor Fini, l'italienne de Paris (7), pittrice e scenografa dall'innata attitudine per la moda.

Fig. 2

Dopo sei anni di lavoro, il film vede la luce e viene presentato al Festival di Venezia del 1954, dove vince il Leone d'Oro come miglior film, surclassando Senso di Luchino Visconti (8).
Fin dall'uscita la critica si divise e la più ampia risonanza fu riservata ai pareri avversi. Accuse di eccessiva ricerca di perfezione, di “attenzione più volta all'uso del colore che agli attori”(9), d'indomabile estetismo e di freddezza nel risultato finale (10) si scontrano con il successo riscosso in sala. Del resto è celebre la frase di Castellani “i film sono fatti per il pubblico e io faccio film per il pubblico”.

Fig. 3A due anni dall'uscita, di fatti, il plauso per il Giulietta e Romeo di Castellani resta, tanto da riservargli il primo numero della collana monografica “Dal soggetto al film” (11), diretta da Renzo Renzi, in cui emerge come punto di forza l'estetica del “divertimento” – così Castellani definiva la sua pratica di attingere da numerosissime fonti iconografiche – di cui s'intriderà ogni passaggio di camera.

Dallo scenario complessivo ai ghiribizzi decorativi architettonici, come un capitello neocorinzio o una finestrella cuspidata, la tensione a dettagliare in toto la restituzione filmica della storia si estende ai nastrini che intrecciano le copiose chiome delle dame, alle perle che adornano i ricami di scolli e maniche delle ampie e ricche vesti femminili, alle bordature e alle pieghe vellutate delle calzamaglie degli uomini.

Il genio naturale dei rinascimenti italiani viene recuperato dall’estetismo e dalle scenografie del film che ricompone e concentra quella municipalità propria dell’Italia, che la rende feconda e la divide: la scelta registica del colore in anni in cui di norma si gira in bianco e nero ha un sapore tutto veneto, le forme iconografiche sono prettamente toscane.

Fig. 4Castellani fa suo ciò che rende vivo il dibattito delle arti, ovvero la dualità fra colore e disegno.
Questi antagonismi si assopiscono nei fondali scenici creati dal regista (12) il quale ripropone con la puntigliosità del particolare, aspetti decorativi veneziani(13) intercalati in architetture medievali (14) fiorentine, inserite a loro volta in paesaggi naturali delle campagne senesi, ma che hanno il colore tenue e la pausata morbidezza degli sfondi di un giovane Perugino. Se l’artista del Quattrocento era regista della vita sociale, come l’intendeva Chastel (15), nel Giulietta e Romeo, è il regista a diventare artista, o meglio “riproduttore d’arte”. E nel suo riprodurre Castellani va oltre la rimescolanza delle tante correnti quattrocentesche, bensì volge la cinepresa all’intero bacino culturale mediterraneo, all’indietro, verso il mondo trecentesco e in avanti, verso la ritrattistica rembrandtiana.

Fig. 5Fra le tante crasi spazio-temporali l’effetto generale diventa un'effusione di anacronismi. Dalle arti figurative rinascimentali e gotiche si passa alle atmosfere ottocentesche degli scenari notturni.
Il sapore degli affreschi senesi si rifugia nelle vedute delle colline incastellate, la città negli scorci delle vie strette appare masaccesca, sebbene si affastelli nelle baruffe fra Montecchi e Capuleti di personaggi espunti dalle scene concitate delle battaglie di Paolo Uccello.

La vague di Primo Rinascimento scorre attraverso ogni fotogramma: in madonna Capuleti, dalla pettinatura ricalcante quella della Cecilia Gonzaga ritratta nella medaglia del Bargello da Pisanello, o di Giulietta con il suo mazzocchio in capo che tanto simile la rende alla gisant in cui Jacopo della Quercia ritrasse Ilaria del Carretto (1415) e c'è la moda centro-italiana di fine Quattrocento nei guizzanti giovanotti veronesi, che sono stati paragonati per abiti e posture a quei personaggini che stanno a guardare le varie scene nelle Tavolette di San Bernardino della “bottega umbra del 1473”, ma che sembrano più congeniali a quelli statuari dei cortei mantovani della Camera degli Sposi del Mantegna (16).

E infine ci sono la balia, icona della ritrattistica fiamminga, e Frate Lorenzo, descritto con la caricaturalità acre ed espressiva del San Domenico del ferrarese Cosmé Tura. Guardandoli in faccia, attori e dipinti, si potrebbe dire che siano loro ritratti effettivi.

Fig. 6

È l'approccio che già si espunta nel prologo: preso in prestito dalla cultura ritrattistica olandese è il personaggio interpretato da John Gielgud, che introduce la storia come spetterebbe al coro e nel suo abito nero, fuso all'oscuro scenario di uno studiolo spezzato dal candore dell'ampio colletto già seicentesco – omaggio all'opera teatrale dello stesso Shakespeare – rievoca l'idea della trasposizione da fatto italiano trecentesco (17) al mondo nordico di fine Cinquecento, in un passaggio di testimoni fra sud e nord, fra Italia e Inghilterra, come avviene poi per la realizzazione del film (18).

La descrittività approfondendosi passa dal portrait vivant al tableau vivant che coniuga intere opere d'arte. La sala di lavoro tessile delle donne Capuleti diviene la scena delle filatrici nell'affresco allegorico del mese di Marzo in Palazzo Schifanoia, dove l'intrusa è proprio Giulietta: non è acre ed espressiva come le muse dei camerini d'alabastro estensi la sua dolce pausata compostezza la tramuta in un'icona mariana di Beato Angelico, somiglianza accentuata dalla lenta gestualità, che quando s'accende la catapulta nel linguaggio romantico ottocentesco di un Hayez.

In modo non dissimile Romeo si stacca, un po' per eleganza dei movimenti un po' per la figura snella, dai modelli mantegneschi adottati per i suoi compagni e tiene testa alle posture composte e filiformi dei cavalieri dipinti dalle scuole toscane ed umbre (19).

Le architetture e i personaggi sono intrisi di menzioni pittoriche e scultoree della tradizione italiana, ma niente è più accurato dei costumi.
Essi monopolizzano l'attenzione e rendono autentica vincitrice Leonor Fini, che sembra aver tolto gli abiti alle Madonne di Piero della Francesca per farli indossare a Susan Shental (20), il cui ovale del viso cereo approfondisce le somiglianze con i volti femminili del pittore di San Sepolcro.

Fig. 7In una perpetua unione di citazionismi schietti e riadattati, anche il tanto celebre balcone si trasforma in verone di un palazzo dove medievale e classico si uniscono. Il convento dei frati si tappezza di affreschi duecenteschi, come nella Madonna in trono che fa da sfondo all'incontro fra Romeo e la balia all'indomani della condanna d'esilio, per poi custodire il picco dello sviluppo artistico sulla linea fra Tardo Gotico e Rinascimento nella cella di Frate Lorenzo, dove inaspettatamente è affrescata l'Annunciazione di Beato Angelico (1435 circa), il cui originale è però una tempera.

Cala la sera nelle scenografie commemorative del pittore e frate domenicano ed individuare fotogrammi che si prefissano di dar vita a tavole e pareti affrescate torna semplice se li si immagina con l'occhio di un pittore romantico dell'Ottocento che rilegge composizioni antiche con un alquanto più pesante bagaglio culturale (21).
La luce effusa sembra provenire dalla stessa luna e dalle stesse fiaccole dipinte da Piero della Francesca nel Sogno di Costantino, nonostante il dolce profilo di Giulietta in preghiera alla luce della candela ricordi i rilievi marmorei di Desiderio da Settignano. Nella veste da camera rosa è tanto simile e fermamente agitata da simulare Ester alle porte di Susa dipinta da Filippino Lippi.

I cardini dell'arte scelta da Castellani slabbrano dalla cultura figurativa urbinate a quella veneziana, superano i confini rinascimentali.
Il ballo in maschera unisce in un solo momento tante correnti figurative quattrocentesche: la raffinatezza mimica del movimento delle mani dei due innamorati al loro primo contatto ricalca le prove grafiche dei giovani pittori nelle botteghe del Quattrocento fiorentino, la folla rarefatta intreccia personaggi ritagliati dai cortei medicei di Benozzo Gozzoli e del Ghirlandaio e da quelli dei Gonzaga del Mantegna, mentre i giovinetti del coro hanno quella fermezza corporea e classicheggiante dei fanciulli scolpiti nella cantoria marmorea da Luca della Robbia. Ma su tutti spicca la donna dall'abito scuro, Rosalinda, che si appresta ad allontanare Romeo dal ballo. L'elaborata acconciatura è pressoché identica a quella della Principessa dell'affresco veronese in Sant'Anastasia di mano di Pisanello (1437- 38).

Fig. 8

Ed infine anche le maschere tenute dai danzanti derivano da modelli artistici tanto sono simili a calchi in gesso di quelle grottesche cinquecentesche di marmo o pietra serena, decori di fontane e portoni.
Così la morte di Giulietta ricalca quella di Sant'Orsola di Vittore Carpaccio, gremita di personaggi estratti qua e là dalla cronaca veneziana sulla fine del Quattrocento.

Si intrecciano rinascimenti di ogni area geografica peninsulare, sporcati da evidenti diciture goticheggianti, fiamminghe ed esotiche, come i suonatori con i turbanti bianchi e neri presi ancora in prestito da pittori della scuola di Squarcione, da Mantegna, da Domenico Ghirlandaio.
L'incardinazione della tragedia in questo mondo creato per spoglio di immagini da tavole a tempera, affreschi e cartoni delle botteghe d'arte italiane prende vita dietro la spinta delle musiche quando pacate, di rado allegre, spesso tenebrose e tese di Roman Vlad, lo stesso compositore del commento musicale di Racconto da un affresco, documentario del 1938 firmato da Luciano Emmer ed Enrico Gras.

Se le immagini di Giotto erano servite ad Emmer per muovere l'animo dello spettatore verso forti emozioni, Castellani piega ogni manifestazione artistica in favore degli eventi della storia.
Il film svela la sua volontà d'indipendente arte figurativa, non è film d'arte, né sull'arte. È pittura diegetica, dove le inquadrature cercano di costruire descrizioni narranti, è film “pitturato” nella scelta delle scene variopinte – le vesti degli sposi si direbbero fatte d'azzurrite – ed è film che cerca l'originalità che spetta all'opera d'arte stessa per le citazioni che vanno oltre la semplice iconografia, così diviene piuttosto contenitore di tante copie d'opere d'arte, tanto da potersi definire musée immaginaire (22), ovvero quella cineteca immaginaria d'immagini dell'arte che coglieva il lato positivo dell'era della riproducibilità tecnica delle opere d'arte (23). È una galleria di pittura, scultura e architettura filmata sullo sfondo della tragedia elisabettiana di cui non restano che parole e fatti trasposti in un luogo che racchiude un po' di tutta l'Italia nei suoi momenti più fecondi.

 

Note

1) Cfr. American Film Institute Catalog, features Films 1911- 1920, University of California Press, 1988, p. 785.

2) Cfr. S. Trasatti, Renato Castellani, Il Castoro Cinema, n. 109, Milano 1984.

3) D. Alighieri, Purgatorio VI 106.

4) W. Shakespeare, Romeo e Giulietta [1594-95], edizione a cura di N.D'Agostino e S. Sabbadini, Milano 2010, pp. XXXVIII- XXXIX.

5) A. Tuzzi, Shakespeare sullo schermo, p. 18, in "Cinema Sessanta", XXVII, n.3/169 1986, pp. 17- 30.

6) O. Wells, Filming Othello, 1978

7) Leonor Fini l'italienne de Paris, catalogo della mostra a cura di M. Masau Dan, 5 luglio 2009- 18 ottobre 2009, Trieste, Museo Revoltella, Trieste 2009.

8) Parte della critica accusò la produzione di aver anticipato l'uscita di Giulietta e Romeo proprio per competere con Senso. Cfr. U. Casiraghi, "L'Unità", 22 agosto 1954.

9) Cit. C. Cosulich in Neorealisti al guado, in Storia del cinema italiano, vol. IX, Torino 2007. Castellani scelse attori inglesi non professionisti.

10) G. Aristarco, Cinema Novo, n. 48, 10 dicembre 1954.

11) Giulietta e Romeo, a cura di S. Martini, in “Dal Soggetto al film”, n. 1, Bologna 1956.

12) Il chiostro di palazzo Capuleti ha una costruzione del tutto simile ai palazzi del podestà, come quello del Bargello a Firenze (1255).

13) L’assetto decorativo del palazzo dei Capuleti e così anche quello del palazzo del Principe richiamano quella del Palazzo Corner Spinelli realizzato da Mauro Codussi nel 1490.

14) Fondamentale apporto deve averlo dato Leonor Fini, formatasi proprio come scenografa, oltre al responsabile di architetture e scenografie Gastone Simonetti.

15) A. Chastel, La storia dell’arte italiana, p. 9.

16) Cfr. P.M. De Santi, Cinema e pittura, in “ArteDossier” n. 106, settembre 2008, pp. 24- 25

17) Masuccio Salernitano narrò i fatti collocantoli nella Verona di Bartolomeo della Scala che fu signore della città nel corso del primo decennio del quattordicesimo secolo

18) La produzione è in collaborazione fra Italia e Inghilterra.

19) Si noti che l'abito nella scena del matrimonio identico, se si eccettua il modo in cui Romeo tiene il mantello raccolto sulla spalla, ha il medesimo taglio e i medesimi colori del signorotto posto frontalmente al centro della tavoletta raffigurante il Miracolo del bambino nato morto della serie delle Tavolette di San Bernardino, conservate alla Galleria Nazionale dell'Umbria.

20) Leonor Fini sceglie come punto di riferimento per il guardaroba di Susan Shental l'abito della Madonna dei Raccomandati e della Madonna del parto di Monterchi di Piero della Francesca, rispettivamente quello rosso tratto dalla prima opera citata e quello azzurro, della scena del matrimonio, dall'affresco di Monterchi, mentre per quello bianco con i ricami dorati pare aver preso spunto dal quadro di Botticelli Venere e Marte della National Gallery di Londra.

21) Torna involontariamente agli occhi L'ultimo bacio di Romeo e Giulietta di Hayez nel momento dell'addio fra la Shental e Laurence Harvey sul balcone, la composizione è simile, seppure manca, nella scena filmica, la ricchezza doviziosa di decori fantastici della tela del pittore veneziano.

22) M. L'Herbier, Film al secondo grado, 1950.

23) W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, [1936], Torino 1955.

 

Didascalie delle immagini

  1. Locandina del film Giulietta e Romeo, 1954, Renato Castellani;

  2. Fotogramma di Giulietta e Romeo, Giulietta e madonna Capuleti;

  3. Pisanello, Cecilia Gonzaga, medaglia in bronzo, Firenze, Museo Nazionale del Bargello;

  4. Fotogramma di Giulietta e Romeo, Frate Lorenzo nella cella;

  5. Cosmé Tura, San Domenico, Firenze, Galleria degli Uffizi;

  6. Fotogramma del film, il coro;

  7. Luca della Robbia, Cantoria, Firenze, Museo dell'Opera del Duomo;

  8. Fotogramma del film, interno di Casa Capuleti;

  9. Francesco del Cossa, Le filatrici (particolare del Mese di Marzo), Ferrara, Palazzo Schifanoia;

  10. Fotogramma del film, Rosalinda al ballo in maschera;

  11. Pisanello, San Giorgio e la Principessa, Verona, Sant'Anastasia;

  12. Fotogramma del film, Giulietta nella catacomba;

  13. Jacopo della Quercia, Monumento funebre di Ilaria del Carretto, Lucca, Cattedrale di San Martino;

 

Bibliografia

- Giulietta e Romeo, a cura di S. Martini, in “Dal Soggetto al film”, n. 1, Bologna 1956;

- O. Wells, Filming Othello, 1978

- S. Trasatti, Renato Castellani, in “Il Castoro Cinema”, n. 109, Milano 1984;

- A. Tuzzi, Shakespeare sullo schermo, in “Cinema Sessanta”, XXVII, n.3/169 1986;

- AA. VV., American Film Institute Catalog, features Films 1911- 1920, University of California Press, 1988;

- AA. VV., Storia del cinema italiano, Torino 2007;

- P.M. De Santi, Cinema e pittura, in “ArteDossier” n. 106, settembre 2008

- AA. VV., Leonor Fini l'italienne de Paris, catalogo della mostra a cura di M. Masau Dan, 5 luglio 2009- 18 ottobre 2009, Trieste, Museo Revoltella, Trieste 2009;

- W. Shakespeare, Romeo e Giulietta [1594-95], edizione a cura di N. D'Agostino e S. Sabbadini, Milano 2010.

 

Filmografia

Titolo originale: Juliet and Romeo.

Nazionalità: Italia- UK; 1954; durata: 138 min.; technicolor. 35 mm; sonoro.

Regia: Renato Castellani; soggetto: William Shakespeare; aiuto regista: Fraser Foulsham, Lù Leone Broggi; montaggio: Sidney Hayers; fotografia: Robert Krasker; musiche originali: Roman Vlad; sonoro: John Dennis, Gordon K. McCallum; montaggio sonoro: Harry Millers; costumi: Leonor Fini; trucco: Ernst Gasser, Ida Mills, Virgilio Morosetti, Vasco Reggiani; direttore di produzione: Armando Franci, Jack Hanbury.

Premi: Leone d'Oro al miglior film alla mostra del cinema di Venezia, 1954; National Board of Review Awards 1954 come miglior film e miglior regista



 

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