Vesperbild. Alle origini delle Pietà di Michelangelo

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Fig. 1

 

Ci sono luoghi che, pur costituendo la cornice ideale per ospitare splendidi percorsi espositivi, sono degni di nota anche in assenza di tali attrattive. Il loro valore storico-artistico, infatti, fa sì che essi siano meritevoli di una visita e, a volte, non di una soltanto. Il Castello Sforzesco, simbolo della città di Milano, è uno di questi luoghi. Il primo nucleo, risalente al decennio 1360-1370, fu costruito da Galeazzo II Visconti, e consiste in una rocca a cavallo della cinta medievale di mura, comprendente Porta Giovia. Questo nucleo originario venne progressivamente ampliato dai membri successivi della famiglia Visconti e, soprattutto, da Francesco Sforza e Ludovico il Moro, sino alla morte di quest’ultimo, prigioniero dei Francesi, nel 1508. Tale edificio, inscindibilmente legato alla storia di Milano, contiene oggi un elevato numero di percorsi museali, come il Museo Pietà Rondanini, il Museo di Arte Antica e quello dei Mobili e delle Sculture Lignee, per citarne soltanto alcuni.

Ai numerosi motivi di richiamo del Castello Sforzesco si aggiunge in questo periodo un’ulteriore componente artistica. Sino al 13 gennaio 2019 le Sale dell’Antico Ospedale Spagnolo ospiteranno una mostra che, per quanto non sia di vasta estensione, rappresenta un vero gioiello per importanza del tema trattato e qualità delle opere, alcune provenienti dai più celebri musei d’Europa: il Musée du Louvre di Parigi, il British Museum e il Victoria and Albert Museum di Londra, la Liebieghaus di Francoforte sul Meno. In totale, i pezzi sono ventiquattro (suddivisi in tre sale), e comprendono, oltre a statue e dipinti, miniature, smalti e placchette.

Il titolo dell’esposizione, curata da Antonio Mazzotta e Claudio Salsi, con la collaborazione di Agostino Allegri e Giovanna Mori, è Vesperbild. Alle origini delle Pietà di Michelangelo. Il primo termine, composto da Vesper (= “vespro”) e Bild (= “immagine”), designa propriamente il momento in cui, al tramonto del venerdì santo, il corpo di Gesù Cristo viene deposto dalla croce per ricevere degna sepoltura; a svolgere questo triste compito è naturalmente la madre, Maria. Si tratta, non a caso, di un’espressione tedesca, dato che la rappresentazione di Cristo morto, adagiato sul grembo di Maria, compare per la prima volta in alcune sculture eseguite in Germania, soprattutto nella valle del fiume Reno, fra la prima e la seconda metà del XIV secolo. Tali sculture venivano realizzate con materiali diversi, principalmente legno, terracotta e gesso.

Un esempio molto significativo è offerto da una delle prime immagini della rassegna: una scultura di paternità ignota risalente all’ultimo ventennio del Trecento (Fig. 1). Il corpo ormai esanime di Cristo è così esile da apparire scheletrico; la postura è rigida, e il capo è quasi adagiato sulla spalla destra. Al volto reclinato di Cristo corrisponde quello sofferente di Maria, che sostiene il corpo del Figlio appoggiando la mano sinistra sul suo bacino.

Dalla Germania questa immagine devozionale si diffonde anche in Italia, ove viene chiamata Pietà, trovando nella pittura la sua forma di espressione privilegiata. Fra XV e XVI secolo tale fioritura artistica si manifesta in tutta la penisola, specialmente al Nord e al Centro. Di diversa provenienza sono, infatti, gli artisti che si confrontano con questo tema, dando origine a opere estremamente diverse per ispirazione e articolazione compositiva: dal ferrarese Cosmè Tura (1430 ca.-1495) al senese Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta (1410 ca.-1480), dai veneti Giovanni Bellini (1430 ca.-1516) e Vittore Carpaccio (1465 ca.-1525/1526) al Perugino (1448 ca.-1523). Tra le opere più note, è bene ricordare almeno la Pietà di Cosmè Tura, un olio su tavola del 1460 circa oggi conservato a Venezia (Fig. 2). L’artista riprende lo schema iconografico del Vesperbild tedesco, a cui aggiunge una precisa ambientazione spaziale (sullo sfondo del dipinto si vede il Calvario, sede della morte di Cristo), e alcuni dettagli di rilievo, in primo luogo la piccola scimmia in cima all’albero alla destra delle due figure, che rappresenta l’inferiorità del mondo umano rispetto a quello divino. A differenza della scultura tedesca precedentemente esaminata, qui il volto della Vergine non è rivolto verso quello di Cristo; Maria quasi distoglie lo sguardo di fronte a tanta sofferenza, sollevando il braccio sinistro del Figlio, il cui è volto è smunto, con gli occhi chiusi e il capo orlato dalla corona di spine.

Fig. 2  Fig. 3

 

Malgrado la grande varietà di esiti, dovuta in buona parte all’eterogeneità dei centri di formazione artistica, è possibile individuare un luogo principale di produzione: la Bologna di fine Quattrocento, caratterizzata da un ambiente particolarmente stimolante per gli artisti, che possono fare affidamento su un cospicuo numero di commissioni, di matrice sia laica sia religiosa (a differenza di quanto accadeva nella Ferrara estense, ove si avvertiva il monopolio della corte ducale). A Bologna operano pittori del calibro di Francesco del Cossa (1430 ca.-1477/1478) ed Ercole de’ Roberti (1451 ca.-1496), ambedue originari di Ferrara, che scelgono di abbandonare la loro città natale per il capoluogo emiliano, nel quale condivideranno alcuni lavori (penso, per esempio, al celebre Polittico Griffoni).

Entrambi si cimentano con il motivo della Pietà, dando vita a creazioni veramente uniche; è il caso della Pietà di Ercole de’ Roberti (Fig. 3), nella quale si intravede sullo sfondo il paesaggio della Crocifissione, mentre il primo piano è dominato dal manto scuro della Vergine.

A Bologna Michelangelo trascorre circa un anno quando è appena ventenne, e questa esperienza riveste un ruolo essenziale non soltanto nella formazione della sua personalità di artista, ma anche nella realizzazione della Pietà vaticana (Fig. 4), punto d’arrivo del percorso espositivo, ove è presente sotto forma di un calco. L’importanza di tale opera è dimostrata dalle parole di Giorgio Vasari, che nelle sue Vite scrive: «[Riguardo alla Pietà] non pensi mai, scultore né artefice raro, potere aggiungere di disegno né di grazia, né con fatica poter mai di finezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte, quanto Michelagnolo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore et il potere dell’arte».

Fig. 4 

Fig. 5

Come indica il titolo della mostra, però, è necessario prestare attenzione non soltanto a questa Pietà, bensì alle Pietà di Michelangelo (1475-1564). In una sala adiacente agli ambienti che ospitano la mostra suddetta è presente la Pietà Rondanini (Fig. 5), appartenente al periodo conclusivo della vita del grande scultore; è così possibile constatare l’evoluzione delle scelte artistiche del Buonarroti che, giunto alla vecchiaia, decide di ritornare a una forma di rappresentazione più vicina alle origini.

Nella Pietà Rondanini, infatti, si scorge una voluta enfatizzazione della sofferenza che ricorda i primi esempi tedeschi del Vesperbild; questa scultura, forse mai terminata a causa della morte dell’artista, non serba alcuna traccia della perfezione compositiva presente nella Pietà vaticana, ove le due figure erano disposte con naturalezza, e il volto di Cristo, nonostante il dolore, non era contratto, ma improntato a una certa compostezza. Al contrario, la Pietà Rondanini è contraddistinta da una grande rigidità delle forme, in parte accresciuta dallo sviluppo verticale.

Tra gli innumerevoli pregi della mostra vi è, dunque, la possibilità di mettere a confronto due capolavori dell’artista toscano, coincidenti con due fasi assai diverse della sua vita. Se infatti la Pietà vaticana fu realizzata fra il 1497 e il 1499, alla Pietà Rondanini Michelangelo si dedicò, invece, quando era ormai ottantenne, e vi pose mano sino a quando ebbe forza, come riferisce la testimonianza (datata 11 giugno 1564) di Daniele da Volterra, suo allievo e amico: «Michelagnolo lavorò tutto il sabbato della domenica di Carnevale, e-llavorò in piedi, subbiando sopra quel corpo della Pietà».

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1, Scultore tedesco, Vesperbild, 1380-1400 circa, Liebieghaus Skulpturensammlung, Francoforte sul Meno.

Fig. 2, Cosmè Tura, Pietà, 1460 circa, olio su tavola, Museo Correr, Venezia.

Fig. 3, Ercole de’ Roberti, Pietà, 1482, olio su tavola, Walker Art Gallery, Liverpool.

Fig. 4, Michelangelo Buonarroti, Pietàvaticana, 1497-1499, marmo, Basilica di San Pietro in Vaticano, Roma.

Fig. 5, Michelangelo Buonarroti, Pietà Rondanini, 1552-1564, marmo, Castello Sforzesco, Milano.

 

Scheda tecnica

Vesperbild. Alle origini delle Pietà di Michelangelo. Mostra aperta dal 13 ottobre 2018 al 13 gennaio 2019. Sale dell’Antico Ospedale Spagnolo. Castello Sforzesco, Milano. Orari: 9-17.30, ultimo ingresso 17.15 (chiuso il lunedì). Ingresso libero. Info Point: tel. 02.88463700 www.milanocastello.it