Anthony Caro e Christo

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 [un omaggio  imprevisto all'artista scomparso in questi giorni]

 

In anticipo sul resto dei paesi occidentali, Berlino ha riaperto i musei e anche alcune mostre interrotte o previste in apertura possono accogliere i visitatori, con mascherine e distanze da rispettare. Gli eventi a mio parere più interessanti sono dedicati a Anthony Caro e a Christo, due protagonisti del XX secolo difficili da catalogare per genere artistico, forse scultori, forse installatori, più vicini alla progettazione architettonica e al design che alle tradizionali arti visive. Le due mostre berlinesi sono limitate nelle dimensioni, ma efficaci nel definire lo stile dei due maestri. 

Non sembrerebbe a prima vista, ma l'inglese Caro e il bulgaro-americano Christo sono accomunati anche da un'esigenza tipica del Novecento, la ricerca di una chiusura, di un limite, di una soluzione definitiva che passi attraverso la coscienza collettiva e sociale. In Caro, ciò si manifesta nel riuso dei materiali e nella forte carica etica delle sue realizzazioni, che lo fanno in parte rientrare in una concezione classica della scultura. In Christo, la ben nota invenzione del wrapping, la copertura di oggetti e poi di intere architetture, risale a un discorso politico ma soprattutto include un concetto nuovo di percezione, che finisce per essere anch'esso etico, sociale e classico. Infine, sul piano tecnico, nessuno dei due crea la propria opera dal nulla, come vorrebbe la definizione stessa di arte, perché tutti e due, in linea con le invenzioni dadaiste, si servono all'origine di materiali esistenti (solo l'ultimo Christo propone, come si dirà, soluzioni diverse e innovative).

Era appunto il Novecento a condizionare certe scelte. Le avanguardie di inizio secolo e del secondo dopoguerra avevano messo tutto in discussione, trasformando genialmente l'idea stessa di arte, ma spesso debordando e corrompendosi su trovate e ibridazioni non del tutto valutabili. Autentici geni e grandi protagonisti si sono mossi in quelle acque, innescando rivoluzioni o restaurazioni, ma sempre ribadendo la fine dell'arte come era prima. Anthony Caro e Christo attivi sin dagli anni Sessanta hanno saputo mantenere chiaro il messaggio creativo, fisico ed emotivo che sta alla base della ricerca estetica.


L'ingresso di The Last Judgement, con la torre della campana

The Last Judgement di Caro è ospitato fino al metà novembre del 2020 nella sala centrale destinata a mostre temporanee nella pinacoteca del Kulturforum, la Gemälde Galerie. La sala è molto grande e scandita da pilastri che ne tracciano quasi una pianta da chiesa longitudinale; a destra e a sinistra alcune porte si affacciano sulle pareti della pinacoteca che espongono pale e quadri del passato. È notevole il contrasto tra la penombra dell'installazione e quelle aperture luminose, ma i curatori hanno voluto aggiungere in uno spazio laterale alcuni Giudizi universali di epoche precedenti posseduti dalla Galleria berlinese, e se la cosa può proporre suggestioni interessanti, a mio parere è molto lontana dal contribuire all'apprezzamento del lavoro di Caro.

Presentata nel 1999 a Venezia dopo tre anni di lavoro, la serie di opere che costituiscono la grande struttura del Last Judgement di Caro era stata già acquistata da Reinhold Würth , grande collezionista e mecenate tedesco, per il suo museo di Erstein. (L'uomo della ferramenta Würth rappresenta un ulteriore collegamento tra Caro e Christo, essendo stato un grande e importante apprezzatore e acquirente del lavoro di entrambi). Caro indicava nei massacri delle guerre jugoslave il riferimento storico della sua creazione.

Il Giudizio è una sorta di recinto absidale introdotto da una porta con sovrastante campana e chiuso da una seconda porta incorniciata dalle fatidiche trombe. A destra, a sinistra e in mezzo a questa area si trovano vari gruppi scultorei, stazioni quindi di un percorso sacro, ognuno chiuso in se stesso come un massiccio blocco di legno e ferro, ma allo stesso tempo - per affinità - collegato agli altri. Il percorso non è coerente, si procede peraltro da quella porta con campana ("And therefore never send to know for whom the bell tolls; It tolls for thee", nel celebre verso di John Donne è un esplicito richiamo all'universalità della morte), alla porta del giudizio posta sul fondo, sostando davanti a figure mitologiche e sacre. Accanto al tema biblico, Caro distribuisce immagini e nomi della mitologia greca, che in tutta la sua carriera sono state fonte continua di ispirazione, mescolando quindi con rara capacità espressiva le maschere e le suggestioni classiche con l'iconografia cristiana.


 Due vedute della mostra di Caro 

Nel fascicolo di presentazione, in inglese e tedesco, che il museo offre ai visitatori troviamo una precisa indicazione, per cui The Last Judgement rappresentava, secondo Caro, una critica ai comportamenti sociali e politici: la storia d'Europa è intrisa di orrore. L'opera è una risposta alle atrocità di oggi, anche se alla fine rivela una qualche speranza di un futuro più luminoso.

Espressività quindi, senso della tragedia e della fine, ma in qualche modo anche un messaggio di fede, che si manifesta in quella porta finale socchiusa, destinata ai beati, a coloro che verranno premiati da Dio verso il cielo.

Lo stile di Caro raggiunge qui probabilmente il vertice della sua produzione, mescolando naturalismo e geometrismo, informale e brutalismo, e mantenendo una spettacolare coerenza cromatica, dai toni grigi e bruni, fornita dal legno, dalla pietra e dal metallo nella penombra del recinto. Ogni stazione è un'opera a sé, con titolo e descrizione (semplice a volte, ma più spesso da interpretare), da vedersi su un lato, con scomparti e incastri a delimitare cornici e forme. Astrazione e figurazione sono compresenti, con un forte richiamo a stilizzazioni implicite nei rigidi materiali usati. Molto soggettivamente, mi è sembrato evidente a volte un richiamo a certe scelte picassiane, al punto che in uno dei gruppi ho visto apparire non solo lo spirito, ma anche le terribili figure di Guernica.


Shades of Night (ombre di notte)
 

Il titolo delle 28 sculture può dare un'idea dei soggetti: La torre della campana, Caronte, Salomé danza, Senza pietà, La porta della morte, La camera dei veleni, Avidità e invidia, L'inferno è una città, Ombre di notte, Campi elisi, Prigionieri, Giuda, La carne, Il tribunale, La guerra civile, Tiresia, La scala di Giacobbe, La camera delle torture, L'ultima tromba (quattro volte), Milite ignoto, Confessione, Natura morta - teschi, Le furie, Sacrificio, La porta del cielo.

Gruppo di sculture, installazione, architettura composita: il Giudizio di Caro è tutto questo ma anche qualcosa di più, è un luogo e un'idea insieme. Potrebbe, anche per datazione e tecniche, rappresentare l'immagine di un'idea di scultura-architettura che si contrappone tramite il riciclo dei materiali all'architettura-scultura cara a molti architetti. In qualche modo, sembra chiudere definitivamente il ciclo iniziato dal Merzbau di Schwitters, un secolo fa.

 


Il progetto per il Lago d'Iseo

Se Anthony Caro, morto nel 2013 a quasi 90 anni, appartiene con le sue scelte a un tempo passato ed è ormai un pezzo di storia, anche l'85enne Christo conferma la sua appartenenza al XX secolo pur essendo vivo e ben attivo ancora nel 2020. Affiancato dalla compianta moglie Jeanne-Claude sino a pochi anni fa, Christo è tra gli artisti più noti a livello universale, anche se spesso la sua fama è popolarmente negativa: quello che impacchetta i monumenti. La sua carriera è costellata da progetti colossali, che incredibilmente è spesso riuscito a concludere, magari a decenni di distanza dalle prime bozze.

Il Palais Populaire di Berlino, elegantissimo edificio collocato nel centro della capitale sul viale Unter den Linden, di fronte all'Historisches Museum e a due passi dal Duomo e da Alexanderplatz, ospita una rassegna di disegni originali di Christo che spaziano dai primi Packages (imballi) di fine anni Cinquanta alle strepitose invenzioni del Duemila, come The Gates del 2005 nel Central Park di New York e The Floating Piers del 2014 sul lago d'Iseo. Opere giovanili e disegni, elegantissimi e di alta precisione e qualità tecnica, fanno parte della collezione privata dei coniugi Jochheim. Ci sono anche alcune splendide fotografie di grande formato dell'amico Wolfgang Volz, coperte da copyright.

L'idea di coprire l'oggetto di consumo era in fondo, nei tempi in cui Piero Manzoni e Yves Klein riducevano scandalosamente l'arte all'azione dell'artista, una specie di anticipo alla rovescia della Pop Art: il consumismo e la pubblicità diventano opera d'arte, che siano visibili o no. Ma Christo sarebbe andato ben oltre la copertura di oggetti di piccola scala, già negli anni Sessanta scatenava la sua fantasia immaginando di coprire con teli oggetti architettonici famosi, quali il Ponte Sant'Angelo a Roma o l'Arc de Triomphe a Parigi. Poi, sarebbe passato a dimensioni geografiche, circondando isole e collegando sponde di laghi, con un impegno incredibile di denaro. Quali problemi si presentino con progetti simili lo ha spiegato lo stesso Christo in molte occasioni, tra cui una bella intervista a Germano Celant riportata nel catalogo di una personale dell'artista a Brescia nel 2014:

Ogni nostro progetto trasforma letteralmente lo spazio o l’edificio in uno spazio artistico”. Abbiamo pagato 3 milioni di dollari al comune di New York per avere Central Park a disposizione per tre mesi e realizzare The Gates. Lavoriamo anche sui diritti d’autore e sui marchi di tutti i progetti, e per questo non permettiamo che si svolgano attività nell’area del lavoro, tenendo conto anche del fatto che studiare e preparare le opere è molto complicato, come lo è ottenere il diritto di realizzarle.

Nei fatti, la distanza temporale tra il progetto e l'esecuzione dei progetti di Christo, nei casi in cui sono stati effettivamente realizzati, è spesso impressionante, anche decenni. Ma più interessante, oltre l'ostinazione con cui i due coniugi seguivano le tracce di progetti ritenuti impossibili, è riflettere ora, guardando i bellissimi disegni esposti a Berlino (rintracciabili anche su tanti libri e su siti web), sull'evoluzione delle scelte di Christo.

Il progetto per l'Arco di Trionfo parigino (forse nel 2021?)

 

 Il progetto per The Gates

 

Naturalmente è stato dato un certo spazio all'impacchettamento del Reichstag di Berlino (ancora in rovina e privo di cupola) del 1995, un'impresa straordinaria per la quale Christo dovrebbe chiedere ancora oggi una percentuale sugli incassi turistici della capitale tedesca: fu allora infatti che per la prima volta dallo scoppio della seconda guerra Berlino riscoprì una vocazione turistica che a tutt'oggi è parte integrante della sua vita economica. Nella stessa intervista a Celant, Christo ricorda:

Ricordo molto bene la delicatezza con cui la gente toccava il tessuto del Reichstag, come fosse una pelle o qualcosa di ancora più intimo... Per realizzarlo, a Berlino, abbiamo dovuto ricorrere a degli operai edili – era un lavoro semplice ma si trattava pur sempre di un intero edificio... come nei palazzi in costruzione, a Manhattan, abbiamo montato delle impalcature, al di là delle quali si è lavorato senza essere visti all’esterno. Era fuori discussione: nessuno doveva vedere se non l’intervento finito! Tutto il posizionamento del tessuto è stato fatto da climbers, e durante i lavori il cantiere era isolato da una recinzione che abbiamo tolto quando abbiamo finito di impacchettare il Reichstag. Da quel momento migliaia di persone hanno iniziato a camminargli intorno, si sono avvicinate per toccare l’architettura, il tessuto... si appoggiavano sulla sua superficie per vedere quanto rientrasse...

 

Il progetto per il Reichstag di Berlino

Anche Christo ha giocato sulla idea di un'arte che non è più costruzione da zero di un oggetto, ma una sorta di connessione intellettuale con la realtà o con la storia. Coprire l'oggetto di consumo poteva essere un gesto polemico, ma la copertura di un intero edificio rappresentava un gesto clamoroso, una colossale trovata pubblicitaria che finiva per valorizzare a ritroso l'oggetto provvisoriamente nascosto. E anche qui la duchampiana volontà di rigetto della tradizione e la critica implicita alla natura stessa dell'opera d'arte storica diventavano esse stesse l'opera d'arte, secondo una chiave in definitiva ironica e provocatoria.

Queste strade di Caro e di Christo oggi possono apparire percorse, e quindi chiuse. Resta invece valida e aperta a mio parere, ma nel difficile contesto delle enormi problematiche esecutive, la strategia costruttiva manifesta ad esempio nei Gates di New York e nei Piers lombardi, materializzazioni di un'idea di arte universale, titanica, in grado di modificare e migliorare la natura del mondo. Come, secondo definizione, l'arte dovrebbe.

 

Schede

Christo and Jeanne-Claude Projects 1963–2020 Ingrid & Thomas Jochheim Collection, dal 6 maggio al 17 agosto 2020, Palais Populaire, Unter den Linden 5, 10117 Berlin. Ingresso libero, aperto dalle 11 alle 18, il giovedì dalle 11 alle 21; chiuso il martedì.

Anthony Caro - The Last Judgement Sculpture from the Würth Collection, dal 20 dicembre 2019 al novembre 2020. Gemaelde Galerie, Kulturforum, Berlino. Ingresso 10 euro, aperta sabato e domenica 11:00 - 18:00, martedì a venerdì 10:00 - 18:00, chiusa il lunedì.