Testuali parole

L'arte oggi e l'impressionismo

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L’oggi

Di fronte all'arte dei nostri giorni ci sono due posizioni opposte io credo ugualmente sbagliate. L'accettazione incondizionata e il rifiuto aprioristico.

La prima presa di posizione, la più diffusa, è quella, dispiace a dirsi, dell'ignorante dello spirito genuino dell'arte e di colui che è destinato a restare sempre indietro rispetto alle novità del proprio tempo.

Il secondo atteggiamento sembra frutto di errori passati: si potrebbe chiamare la “maledizione dell'impressionismo”.

Gli impressionisti all'apparire delle loro opere furono sbeffeggiati da critica e pubblico uniti nel disprezzo e nell'incomprensione.

Anni dopo quelle pitture sono state apprezzate e considerate capolavori da tutti, ciò ha prodotto una salutare e giusta sospensione del giudizio sulle successive sperimentazioni, ma anche la rinuncia ad una valutazione assegnabile ad una specie di complesso di colpa o di accettazione di una propria limitatezza. Questo da parte degli appassionati d'arte che seguono le vicende artistiche, una élite. La grande maggioranza della popolazione è esclusa dalla conoscenza-comprensione e abbandonata a una condanna senza appello del nuovo: fenomeno “naturale” quanto abnorme e disastroso.

Molte opere, sculture o istallazioni che siano, sparse sul territorio da assessori rassegnati al giudizio altrui o entusiasti della propria incompetenza, sono spacciate per arte, costituiscono un arredo urbano discutibile e controproducente per la campagna di conoscenza del moderno.

Il critico può spiegare, può ingaggiare una battaglia culturale per convincere l'opinione pubblica, ma non può sostituirsi al pubblico al quale l'opera è destinata. Ogni singola persona deve formarsi una propria opinione, caso per caso.

Preso atto della fusione tra le arti “visive” (teatro, pittura, scultura, cinema), non occorrerebbero delle distinzioni? La perfomance è teatro d'avanguardia? La video-art non è cinema sperimentale? Non è opportuno erigere steccati nel momento in cui tale mistione è voluta e programmata ma collateralmente esiste tuttora una pittura-pittura, una scultura-scultura? Quanto l'architettura sfugge al fenomeno di negazione e rifiuto dei mezzi e delle tecniche tradizionali?

L’obbrobrio di alcune sculture da rotatoria è il modo peggiore e controproducente di portare l’arte moderna nella vita di tutti i giorni, a contatto con le persone che non la conoscono e che dovrebbero giudicarla da quegli esempi.

Qualche illustre critico, intellettuale, maìtre à penser, potrebbe una volta spiegare al magnate che l’opera pagata milioni di dollari in realtà non vale niente?

Nel frattempo dobbiamo riflettere sul senso che hanno certe quotazioni del mercato dell’arte (frutto del normale meccanismo economico della domanda e dell’offerta): una mercificazione sulla quale alla fine l’arte non c'entra più granché. Dove tutto ha un prezzo nemmeno l’arte può sottrarsi? Si tratta di un valore legato al possesso materiale. L’appropriazione privata di alcune opere, o addirittura monumenti, non è contestabile? È legittima? Un’opera storica ha un valore stimabile? Può essere sottratta alla conoscenza? Alla frequentazione pubblica?

Se l’opera è una merce, la morte dell’artista, bloccando l’offerta, è il trionfo del mercante? È questo un pensiero naïf? Un’ingenuità pericolosa?

Grandi gallerie si affidano a critici illustri, famosi, riconosciuti, incaricati di stabilire valore a delle proposte. Possono costoro avere un’oggettività di giudizio? Il sistema museale pubblico-privato dovrà seguire più o meno gli stessi percorso e criterio?

L’arte moderna non è popolare, anzi è spesso impopolare, separa il “popolo” dalle élites culturali (ma è ostica anche per molti intellettuali). Va bene? Possiamo permettercelo? L’uomo “comune”, con la scarsa istruzione artistica che si ritrova (colpa in gran parte di una politica che da sempre e sempre più ha scelto di fare della storia dell’arte la cenerentola della scuola: poche ore, poche scuole, reclutamento dei docenti discutibile per selezione, classi di concorso a cui attingere, ecc.), non visita i musei d’arte contemporanea, entra in contatto con la modernità artistica, come s’è detto, con i “monumenti” da sparti-traffico, caratterizzati da un gigantismo che cerca di sopperire alla mancanza di ricerca formale. La sua reazione di solito va dall’indifferenza al disprezzo, ignora o sgradisce. Siccome non la capisco essa mi offende, essa dichiara la mia ignoranza? Perché credere che abbia un valore?

 

Contraddittorietà e ambiguità

Se per molti aspetti l’arte moderna con la performance, l’istallazione, l’oggetto-scarto, che non potrà abbellire un ambiente, decorare una parete o durare nel tempo, la poetica del “quasi-niente”, è una protesta contro la mercificazione dell’opera, essa entra comunque nel circuito di commercializzazione con relativa quotazione e vendita, spesso appannaggio di ricchi che investono cifre esorbitanti.

Le opere battute all’asta per somme di denaro abnormi sono le stesse che il ricco borghese si rifiutava di acquistare per dieci franchi facendo patire la fame agli autori. Ora invece, l’opera di un artista famoso può essere non riuscita o non bella ma il suo valore è stabilito dalla firma. Per ironia della sorte ogni tanto il magnate compra un falso ben confezionato ma ha la fortuna, se non è smascherato, di aver fatto comunque un affare.

Ci sono opere e monumenti storici che sono inestimabili, per i quali appunto non si può quantificare un prezzo. Le cifre clamorose invece non sono frutto dell’amore per l’arte, sono espressione di un feticismo dell’oggetto.

Mercanti, critici, galleristi a turno e nelle forme diverse loro proprie spiegano il valore delle opere e la convenienza dell’acquisto a facoltosi incompetenti che hanno soldi in abbondanza, non guadagnati col lavoro, col duro lavoro, col sacrificio del lavoro. Un denaro che non è loro, nel senso che è frutto del lavoro di altri o sottratto allo Stato, ecc., ma di cui dispongono.

L’arte per l’“idiota borghese” (Zola) è un simbolo di prestigio, è pubblicità, vale per il prezzo per cui è stata pagata. È speculazione.

Tutto ciò è contrario allo spirito dell’arte. Nell’arte vera c’è il mistero della vita, l’espressione di un sentimento universale, la sofferenza, l’amore della vita e della natura. È qualcosa di profondo e altrimenti inesprimibile.

Come valutare l’arte moderna? Come spiegarla? Come avvicinare alla sua comprensione? Dato che non possiamo rinunciare a interrogarci sul presente. Bisogna muoversi tenendo ferma questa considerazione. Non è un’operazione semplice, né facile. Io credo che occorra partire da dove tutto è iniziato: l’impressionismo.

Gli impressionisti dopo alcuni decenni sono stati apprezzati dall’opinione pubblica, mentre per l’arte di oggi, che deriva per molti aspetti dal dadaismo, ciò non è avvenuto ancora a distanza di un secolo.

L’arte non rappresenta mai soltanto la realtà altrimenti non ci sarebbe scarto tra l’opera e l’oggetto rappresentato. Questa verità è talora non ben compresa. Capita di sentir dire: è così bella che sembra una fotografia.

Le avanguardie hanno avuto la loro ragione di essere. Poi non era possibile continuare le sperimentazioni con inutili ripetizioni e sono tramontate esaurendosi. Tuttavia anche nell’arte di oggi resta spesso una ricerca formale. È lì allora che siamo chiamati a un giudizio con criteri ancora “tradizionali”. Molte di tali opere si possono considerare di alto artigianato? Può darsi. Ogni caso è a sé. È questo un principio sempre valido. Sono sculture, pitture astratte (gestuali o altro), street-art (tra le più significative), ecc.

Se una fondamentale componente di quest’arte, come sembra, è la critica al mondo in cui viviamo e alle sue regole e convenzioni, è il rifiuto di certe norme di mercato e di convenienze, allora alcuni comportamenti di compromesso non possono non risultare contraddittori o ambigui.

Tentare di mettere ordine nella babele del moderno è tutt’altro che semplice. La conoscenza delle origini e delle caratteristiche del linguaggio impressionista che opera una rottura e una rivoluzione, suo malgrado, sono utili e forse indispensabili per capire l’arte moderna.

 

L’impressionismo

Quali sono le origini dell’impressionismo?

All’inizio dell’Ottocento, Neoclassicismo e Romanticismo condividono la stessa insoddisfazione per il proprio tempo, cercano rifugio ideale in epoche lontane, anche se diverse tra loro. Comune ad entrambi è l’esotismo. Una significativa differenza è invece la preminenza tra linea e colore. L’opposizione e personificata in Francia da Ingres e Delacroix.

La pittura accademica sta dalla parte di Ingres, la cui influenza dura a lungo, mentre Delacroix è ancora discusso per certe libertà nel disegno. In tale contesto e clima culturale si inseriscono la Scuola di Barbizon (dal 1830) e il realismo di Courbet (dalla metà del secolo).

I barbisonniers coniugano insieme, nell’amore per la natura, romanticismo e realismo e da lì inizia uno studio dal vero e una pittura all’aria aperta, almeno parzialmente, primo atto e presupposto di quella rivoluzione che ne conseguirà.

Courbet risulta fondamentale per la “fede” nella natura come sola maestra dell’artista e la rivolta del Pavillon du réalisme del ’55.

Si arriva così con gli anni 60 all’artista che anticipa l’impressionismo, Manet, vero precursore con l’uso della pennellata libera e anticonvenzionale che fa scandalo nel Dejeunersur l’herbe e nell’Olympia.

Nell’impressionismo il rifiuto delle regole seguite fino ad allora da secoli non era fine a se stesso o gratuito, era necessario per esprimere nuovi soggetti e diversi stati d’animo, l’emozione visiva, ecc. Ciò avviene al primo diffondersi della fotografia; non sarà mai troppo sottolineato questo rapporto. Una relazione conscia o inconsapevole che sia, un rapporto di collaborazione, ma soprattutto una divisione dei compiti. Il disegno era stato per millenni l’unico modo per rappresentare la realtà con immagini. Nei secoli più recenti era lo strumento unico e indispensabile dello studio scientifico per immagini. La fotografia può sostituirlo. Il privilegio del colore resta all’arte e pur potendo presagire futuri sviluppi tecnici, può non essere un caso che l’impressionismo si basi sulla luce e sul colore.

Gli artisti sapevano bene come le preferenze tra il disegno e il colore si fossero già presentate nella storia della pittura: a Firenze la prima, a Venezia l’altra. Gli impressionisti hanno dei precursori nel tonalismo veneto, in Tiziano e Veronese in particolare. La scoperta del colore in rapporto alla luce, delle possibilità stilistiche relative, è legata ed è propria di una città d’acqua. Monet visita Venezia e la chiama l’impressionismo in pietra.

L’impressionismo non intendeva essere rivoluzionario, né era animato da spirito di ribellione o da protesta sociale, non si riferiva a ideali o a programmi politici. Il carattere fortemente rivoluzionario e di novità riguarda la forma, la tecnica pittorica. L’anticonformismo è un tratto rilevante ma la critica è esplicita e cosciente solo nei confronti della pittura tradizionale, ormai retorica, priva di sincerità, lontana dalla vita reale. La pittura accademica era basata sul disegno, trattava temi mitici o storici coi modi di un facile effetto. Per il vero nei soggetti la strada era quella del realismo, che già aveva scelto scene di vita comune o quotidiana, oltre a quelle di impegno e denuncia sociale.

Nell’età contemporanea l’artista lavora sempre meno su committenza, non sa chi apprezzerà il suo lavoro e lo comprerà, dal post-impressionismo diventa poi spesso uno sradicato, un emarginato che non sarà con i suoi comportamenti in sintonia con i valori e i modi di vita della società in cui vive e dunque potrà non avere il riconoscimento sociale che aveva visto nei secoli precedenti il passaggio dallo status di artigiano a quello di artista.

Dalle prime opere (la Grenouillère di Monet e Renoir del ‘69) al quadro che dà il nome al movimento del ’72, Impression:soleil levant, l’impressionismo nasce dalla rappresentazione dell’acqua. Per riprodurre la mobilità dell’elemento e i riflessi continui delle superfici, i pittori usano i piccoli tocchi. Poi per coerenza stilistica li estendono anche al resto del paesaggio.

I pittori si considerano realisti e così si definiscono oltre ai termini successivi di indipendenti e impressionisti. Intendono studiare la natura in un soggetto fino ad allora trascurato con un’esecuzione immediata, en plein air, che restituisce l’impressione del momento. La rapidità d’esecuzione è decisiva per ottenere spontaneità e freschezza nella resa. La realtà non è studiata ma vista con lo sguardo della quotidianità per l’emozione visiva.

L’impressionismo sarà una breve stagione, altre tendenze subentreranno, anche quando alcuni dei protagonisti resteranno fedeli al movimento e a se stessi. Ma tutti gli “ismi” che lo sostituiscono non sarebbero stati possibili senza quella rottura di linguaggio. Da lì seguiranno, come per una reazione a catena, tutte i post-impressionismi e tutte le avanguardie.

L’impressionismo sarà portato fino agli sviluppi estremi, oltre i quali non era possibile andare, senza uscire da quei modi di rappresentazione, da Monet, da colui che l’ha iniziato.

Con Cézanne, Van Gogh e Guaguin, si va in altre direzioni, col pointillisme, l’esperienza impressionista si ferma.

Cézanne, sommo pittore, non ha bisogno di possedere la tecnica accademica che avrebbe fatto di lui un pittore come tanti altri; un'istintiva e ragionata vocazione pittorica lo portava a contrastare la tradizione nella prodigiosa capacità di dare forma e volume e nell'accostamento di alcuni colori che diventeranno la sua cifra stilistica. È lui che supera l'impressionismo, divenendo un punto di partenza per il cubismo, come faranno, per altre vie, Van Gogh e Gauguin, ispirando nuove correnti e varie avanguardie.

Per tutta l’arte venuta dopo, anche per quella più distante nelle forme, nei contenuti, negli intenti, però l’impressionismo è stato il presupposto necessario.

 

Conclusione

L’arte esprime sempre il proprio tempo (e non potrebbe essere diversamente) e insieme lo trascende perché universale e nella sostanza “attuale”. D’altra parte pensare di potersi limitare all’ammirazione per l’arte del passato sarebbe un approccio sbagliato e un equivoco. La storia dell’arte va studiata non per una conoscenza senza scopo che scadrebbe nell’erudizione fine a se stessa, ma come altri ambiti culturali (la letteratura, la storia, ecc.) in funzione della comprensione del mondo nel quale viviamo. Tale studio dovrebbe ancora educare il gusto attraverso gli esempi riconoscibili della bellezza o della coerenza delle forme e così mettere in condizione di poter esprimere un proprio giudizio, oltre a contribuire alla formazione dello spirito critico.

I manuali scolastici spesso si limitano a presentare alcuni autori contemporanei e delle opere come se ormai appartenessero a un canone, riportando le motivazioni che gli stessi artisti hanno dato. Non è del tutto chiaro se la scelta in sé valga come un riconoscimento o se non ci si astenga dall’esprimere un giudizio, che invece sarebbe necessario. Raramente qualche critica negativa è prospettata in forma di dubbio, altre volte l’accettazione positiva è acritica e discutibile.

Gli storici scelgono i fatti degni di memoria con un compito apparentemente più facile e sono dispensati da dare un giudizio, la storia dell’arte dovrebbe invece farsi carico di scelte e giudizi di valore (non economico, estetico ovviamente).

Lo spirito dell’arte moderna sembra esprimere la crisi profonda della società, nelle sue costanti più diffuse, nelle caratteristiche comuni ai vari movimenti, e una rivolta corrispondente.

L’artista talora distrugge la propria vita, la mette in pericolo per coerenza con la protesta, per l’efficacia del messaggio. Qualche volta si fa beffe, in buona fede, di compratori e pubblico ai quali rifila la propria “merda” (seguendo il suggerimento di Piero Manzoni).

Credo che per la comprensione dell’arte dei nostri giorni, potrebbero servire una serie di analisi, sia pure soggettive, di opere da utilizzare come esempio negli aspetti dei pregi e dei difetti, così da fornire dei criteri più o meno indicativi di giudizio, oltre allo studio storico dell’evoluzione del linguaggio artistico a partire dall’impressionismo.