Testuali parole

Doppio ritratto di Raffaello e Van Gogh

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Nel mondo e fuori dal mondo

 

Vite

Ricordare quale fu la vita straordinaria di Raffaello Sanzio può servirci a capire fino a che punto un uomo può essere produttivo, costruttivo, e allo stesso tempo geniale. D'altra parte ripercorrere allo specchio la vita desolata di Vincent Van Gogh deve aiutarci a entrare in quel mondo personale che fu la sua pittura.

Raffaello era figlio di un pittore e letterato, un uomo importante a Urbino, Giovanni Santi, di cui rimase orfano ad appena 11 anni; ma il padre lo aveva già lanciato e introdotto nella vita di pittore professionista. Si può ben dire che Raffaello era pittore ancor prima di nascere. Alcuni dati del suo apprendistato sono incerti, ma si può tranquillamente affermare che a 17 anni Raffaello era titolare - o contitolare - di una bottega a Perugia.  

Van Gogh era figlio di un pastore evangelico e durante la giovinezza coltivò il sogno di diventare anche lui uomo di chiesa. Ma ad aiutarlo poi nella carriera di pittore fu soltanto il fratello minore, Theo, che rimase sempre l'unico punto fermo della sua vita. Di fatto, pur avendo avuto la passione del disegno da quando era ragazzo, Van Gogh decise di essere pittore a 27 anni, dopo diverse esperienze lavorative, tutte fallimentari.

Da Urbino Raffaello si spostò a Perugia, a Città di Castello, a Siena, poi a Firenze, infine a Roma; quando nel 1508 fu assunto da Giulio II, Raffaello aveva 25 anni e fu posto a capo di una squadra di pittori professionisti, alcuni dei quali erano più grandi di lui. 

Van Gogh dall'Olanda passò – per motivi di lavoro – a varie città e paesi, tra cui Bruxelles e Londra, poi cercò di diventare una specie di missionario nelle miniere del Belgio e infine, divenuto pittore, si trasferì a Parigi, quindi in Provenza e – nel tentativo di curare la malattia mentale - di nuovo nei dintorni di Parigi. A parte il breve sodalizio ad Arles con Paul Gauguin e l'amicizia con Emile Bernard, l'attività di Van Gogh fu in gran parte autonoma, quasi autodidatta, e sicuramente solitaria. 

Entrambi quindi sono uomini non legati a luoghi o persone o cose che ne limitino la capacità di ricerca; gli spostamenti di Raffaello possono essere letti come una rapida ascesa verso il traguardo romano, verso la corte pontificia, mentre i movimenti di Van Gogh sono legati dapprima a problemi economici e famigliari, poi al suo umore, alla volontà di trovare amici e soci nel lavoro o nella sua vocazione artistica, e  infine alla scelta dei luoghi più adatti alla pittura.
Curiosamente, la morte dei due artisti a 37 anni è in entrambi i casi ambigua, da un lato quella misteriosa di Raffaello, legata a intemperanze sessuali secondo la tradizione innescata da Vasari, dovuta comunque a una febbre altissima che non si seppe curare. Dall'altro lato la morte volontaria di Van Gogh, di cui si leggono le più strane versioni, ora con un fucile, ora con una pistola, ora con un colpo a un fianco, oppure al petto, oppure all'inguine; di fatto, un colpo che non uccise immediatamente il pittore, ma che lo fece morire nell'arco delle successive 48 ore.

Due morti strane e poco chiare; la morte interrompe la trionfale marcia di Raffaello a Roma, la morte interrompe i primi segnali di attenzione e di successo per Van Gogh.
Non sono mancate – naturalmente – le ipotesi di un assassinio per gelosia nel caso di  Raffaello, e di uno sciagurato incidente, nel caso di Van Gogh.      

 

Dipingere

Raffaello non dipinge paesaggi o luoghi, ma persone e argomenti sacri o mitici; Van Gogh dipinge solo cose che vede, e quindi in particolare luoghi e paesaggi, ma anche uomini e donne che incontra nella sua vita. All'interno dei generi pittorici, in comune i due pittori hanno quindi la ritrattistica.

In questa sede ho pensato di limitarmi a proporre una scelta di appena sei ritratti per ciascuno dei due maestri, tenendo conto peraltro che per Raffaello si tratta di una percentuale abbastanza alta, mentre per Van Gogh è decisamente molto più bassa. Ho scelto questi quadri in modo funzionale, cioè cercando soluzioni visive che mi facevano comodo per spiegare l'uno e l'altro pittore, ma è stato davvero sorprendente, quando ho dispiegato le riproduzioni dei quadri in un'unica tavola, accorgermi che molti dei ritratti scelti si somigliano, si somigliano a volte in modo impressionante nonostante l'esecuzione tecnica che resta diversissima.

 

 

  

 

  

 

Sicuramente, la ritrattistica non prevede possibilità infinite di composizione, e da una generazione all'altra i pittori tendono a sovrapporre soluzioni simili, ma resta indubbio che Van Gogh, di cui si conosce l'ammirazione per Rembrandt e per Delacroix ad esempio, come ritrattista appare molto più vicino alla classicità che al romanticismo. 

Torniamo ora all'inizio, al momento in cui ho immaginato e cercato di trovare agganci e somiglianze tra i due pittori. Dopo i ritratti, che hanno un valore soprattutto legato ai sentimenti, sono arrivato naturalmente al tema della religione, ovvero della fede.

Come tanti pittori del passato, Raffaello è stato grande pittore di pale d'altare e grande affrescatore di ambienti sacri, come le stanze del papa o le logge del Vaticano. Sulla base dei soggetti e delle committenze, dovremmo assumere e ritenere che Raffaello fosse profondamente religioso e che la sua pittura sacra rifletta questa fede.

Nel caso di Van Gogh invece i quadri a soggetto sacro sono quasi nulli, e addirittura l'unica tela di questo tipo di un certo rilievo nella sua produzione non è di sua invenzione, ma è la copia di una Pietà di Delacroix.

Allora Raffaello è un pittore sacro e Van Gogh un pittore laico? nient' affatto. Se si guardano con attenzione le opere sacre di Raffaello, si scopre che spesso sono infarcite di personaggi, di movimenti, di gesti, di cose, che non sono sacri e che rimandano alla realtà, alla vita quotidiana, e addirittura ammiccano a temi popolari e molto poco sacri.

Viceversa, se si cerca di capire lo spirito con cui Van Gogh dipingeva, ci si accorge presto che il pittore era immerso in una visione della vita in cui la dimensione del sacro è sempre presente. Sono molti gli studiosi che sottolineano questo aspetto; ad esempio Massimo Recalcati ha scritto che:

Van Gogh resta profondamente interessato al mistero di Dio che si fa uomo, che vive sino in fondo la sua incarnazione, che si dissolve scandalosamente in essa. Verbo che si fa carne, assoluto che abita il mondo, che è in ogni cosa, in ogni volto del mondo. Per questo egli non dipinge mai le icone religiose della tradizione, ma solo le cose del mondo, la natura e i volti degli umani elevandoli alla dignità dell’icona.

Antonin Artaud dal canto suo rifletteva che:

Van Gogh pensava che si dovesse saper dedurre il mito dalle cose più terra terra della vita. Sul che, io penso che avesse dannatamente ragione. Poiché la realtà è terribilmente superiore ad ogni storia, ad ogni favola, ad ogni divinità, ad ogni surrealtà. Basta avere il talento per saperla interpretare.

Al contrario, la pittura sacra di Raffaello è stata spesso resa laica e popolare da letture critiche che hanno evidenziato come, ad esempio, molte Madonne create dal pittore abbiano atteggiamenti e movenze più da mamme, o da ragazzine, o addirittura da seduttrici, che da madri di Dio. La malizia frequente negli sguardi dei ritratti raffaelleschi si ritrova allora, appena dissimulata, nei personaggi sacri.

 

Confronti

La presenza di molti, moltissimi personaggi in un romanzo del genere di Guerra e Pace, è l'evidente riflesso di un romanzo  che vuole descrivere molte cose, molti personaggi, molti luoghi, molte situazioni. Un romanzo del genere dell'Uomo senza qualità sembra invece descrivere nei fatti un unico personaggio, Ulrich, ma nel farlo si disperde in migliaia di rivoli che definiscono il mondo prima della Grande Guerra. Se Tolstoj quindi descrive mille persone per definire un mondo, Musil ne descrive soltanto una, ma raggiunge lo stesso risultato. 

Raffaello è come Tolstoj, affolla i suoi grandi quadri o affreschi di personaggi diversi, di situazioni molteplici, e ci consegna immagini complesse, ricchissime, che hanno peraltro il dono di essere riassumibili in una sintesi.

Van Gogh è come Musil, descrive solo se stesso e ciò che vede davanti a sé, dipinge un quadro per volta, ma i suoi quadri tutti insieme sono lo specchio di un mondo.

Ho fatto una prova e ho scelto due tra le opere più note di entrambi, dipinte verso la fine della carriera, per l'esattezza proprio alla fine per la Trasfigurazione di Raffaello nel 1520 e un anno prima del suicidio, nel 1889, per la Notte Stellata di Van Gogh.


La Trasfigurazione

Per il contenuto e il senso immediato della pala d'altare di  Raffaello, destinata alla cattedrale di Narbonne, ma  conservata a Roma dapprima a San Pietro in Montorio e poi nella Pinacoteca Vaticana, dobbiamo leggere il vangelo:

Matteo 17, 1-9
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: “Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: “Alzatevi e non temete”. Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo. E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: “Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti”.

Matteo 17, 14-21
Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo che, gettatosi in ginocchio, gli disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua; l'ho gia portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo». E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui». E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito.

Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». Ed egli rispose: «Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile. Questa razza di demoni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno».



Raffaello quindi, in modo originale, racconta due episodi consecutivi nella stessa opera. Il primo in alto, il secondo in basso. Tra le due scene non c'è contatto, ma alcuni personaggi in basso additano – senza guardarla – la figura di Cristo. Il miracolo è opera di Cristo dopo la trasfigurazione, ma Raffaello immagina che esso avvenga proprio per via di quella. Possiamo vedere nella luce di Cristo un segnale della sua potenza miracolosa, che il diavolo, ovvero l'oscurità del male, non può sopportare.

Notte stellata

Sui quadri di Van Gogh, il primo riferimento che si cerca è sempre legato alla mole delle sue lettere a Theo, nelle quali sono spesso contenute indicazioni sul suo lavoro e sulle sue intenzioni. 
A proposito della celebre Notte stellata non ci sono invece notizie di questo tipo,  a parte due righe scritte da Vincent in una lettera al fratello nel giugno 1889 quando il pittore si trovava a Saint-Remy, in Provenza. Il pittore scrive:

Questa mattina dalla mia finestra ho guardato a lungo la campagna prima del sorgere del Sole, e non c'era che la stella del mattino, che sembrava molto grande. 


Il quadro viene poi forse citato un'altra volta, ma senza alcuna importanza rispetto al soggetto; alcuni interpreti leggono in una lettera successiva qualche traccia relativa alla Notte e sarebbe l'indicazione di un fallimento nel tentativo di dipingere le stelle. In un'altra lettera del settembre successivo Van Gogh parlando di un altro quadro, Oliveto con nuvola bianca, scrive queste belle parole:

Gli ulivi con la nuvola bianca e lo sfondo di montagne, così come il sorgere della luna e l'effetto notturno, costituiscono un'esagerazione dal punto di vista dell'esecuzione; le linee sono incisive come quelle degli antichi legni. Là dove queste linee sono serrate e volute comincia il quadro, anche se può sembrare esagerato. È un po' quello che sentono Bernard e Gauguin. Non ricercano la forma esatta di un albero, ma vogliono assolutamente che sia definito se essa è tonda o quadrata, e io do loro ragione, perché sono esasperato dalla perfezione fotografica e banale di certuni … 


 

Van Gogh aveva scritto a Theo nel 1885 questa frase: "bisogna iniziare dalla propria tavolozza, dalla conoscenza che si ha dell’armonia dei colori, il che è ben altra cosa del seguire servilmente e meccanicamente la natura".

In Notte Stellata fa qualcosa di decisamente poco servile, anzi in realtà si libera del tutto dalla schiavitù. Dipinge un paesaggio con cipressi e case che in parte è la combinazione di altri quadri dipinti in precedenza, e dipinge questo paesaggio di "semi-fantasia" di notte, o meglio alla fine della notte. Nel cielo chiaro ci sono la luna e alcune stelle, e questi corpi celesti sembrano vivere di luce propria, ruotano, lasciano tracce, si dissolvono. Sono una sorte di allucinazione che tende verso l'alto. Il contrasto con il paese buio al di sotto è netto, e il contatto tra i due mondi è labile, una striscia di luce che segue il profilo delle colline e i due aguzzi oggetti che dal basso spingono verso l'alto, vale a dire il cipresso e il campanile.

 

Notte stellata  fu apprezzato dalla vera esecutrice della fortuna di Van Gogh, la moglie di Theo, che si trovò da sola – dopo la morte di entrambi i fratelli - a gestire il numero spropositato di quadri che Theo aveva accatastato a Parigi.

Nel caso di Notte Stellata, Johanna Bonger Van Gogh lo vendette nel 1900 ma ne volle tornare in possesso nel 1906 per poi rivenderlo a una galleria d'arte, da cui il quadro con due successivi passaggi giunse a New York nel 1941. La sua fama crebbe a dispetto della scarsa stima che Vincent gli aveva dimostrato. Se messo all’asta oggi, batterebbe sicuramente qualunque record di vendita.  

Il confronto visivo con la Trasfigurazione di Raffaello è interessante, ma sono le immagini a parlare in questo caso. Ho messo a confronto per le due opere il lato in alto e poi quello in basso.

 



Per entrambi il cielo diventa spettacolo di luce, ma se in Raffaello è soprattutto il corpo di Cristo a sprigionare l'essenza divina, in Van Gogh il mistero diventa universale e coinvolge le stelle e i pianeti.

In basso ovviamente ci sono gli esseri mortali e la terra. Per Raffello gli apostoli e i seguaci, per Van Gogh le case malamente illuminate della gente comune.  Il rapporto tra i due mondi in Raffaello è dato dagli uomini, che indicano con le mani verso Cristo. Nel quadro di Van Gogh la spinta verso il cielo è data invece dal cipresso e dal campanile, volutamente allungati dal pittore.

 

Gli uomini di Raffaello, la moltitudine, trovano la salvezza nell'apparizione sovrannaturale del figlio di Dio, ma in realtà sono soli nel buio della Terra.
Gli uomini di Van Gogh, solitari e invisibili nelle case, dove sono accese le prime luci, non assistono ai miracoli notturni che le stelle creano nel cielo. Soltanto al pittore, l’artista che ha questo dono, è dato di vederli.

 



 

Questo intervento risale al 2015, al convegno della rivista Azioni Parallele “Moltitudine-Solitudine”.
Nella pubblicazione degli atti relativi preferii in quell'occasione non farlo inserire, perché troppo discosto dal tenore degli altri contributi.
Oggi l'ho casualmente riletto, e apprezzato, e ho deciso di pubblicarlo.