Testuali parole

C'è modo e modo di dormire

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Il dormiente nell’arte: il sonno dell’altro

Quello del dormiente nell’arte è forse un tema “minore” sovrastato dal tema del sogno non sempre separabile o al quale spesso è collegato. Del sogno si sono occupate, e si occupano, varie discipline, e in differenti modi (a parte l’oniromanzia pseudo religiosa o superstiziosa): la medicina, la psicologia, la filosofia, l’arte, la letteratura e lo studio delle varie civiltà in generale con interpretazioni significative della cultura relativa. Si capisce come perciò sia un tema vastissimo e complesso già per gli esperti e gli studiosi delle singole materie che l’affrontano.


Piero della Francesca, Il sonno di Costantino


Nell’arte il sogno è stato rappresentato da uno stuolo interminabile di grandi artisti: Raffaello, Veronese, Vasari, Piero della Francesca, Tintoretto, Salvator Rosa, Luca Giordano, Tiepolo, Füssli, Dalì, Carpaccio e tanti altri; in questi casi il dormiente è il più delle volte sovrastato dall’immagine del sogno. Il sogno desiderio, incubo, presagio, messaggio divino. È il sogno che vive nel sonno come la perla nell’ostrica. Degli esempi significativi possono essere: il sogno di sant’Elena (la Croce), di Giacobbe (la scala e gli angeli), di Giuseppe (i covoni di grano, le stelle).

Il dormiente del sogno non sempre si distingue formalmente dalle opere dove il soggetto è il sonno, la persona che semplicemente dorme. Occorre perciò fare tale distinzione occupandosi a parte per quanto possibile appunto del soggetto, cioè del contenuto tematico del sonno in sé. Il sonno in sé e dunque di riflesso l’immagine del dormiente offrono spunti d’interesse minori o relativi, ciò nonostante, si può provare a individuarne alcuni attraverso l’esempio delle opere.

Nella letteratura Petrarca, Leopardi e Pavese, tra gli altri, interpretano il sonno e il dormire come sospensione della vita, immagine della morte, oblio delle fatiche o dei “cattivi” (dolorosi o pessimistici) pensieri. È Hypnos fratello di Thanatos (dai Greci a Ovidio e Cicerone). È malinconia alta e profonda, lucida e sofferente. Tasso: “il sonno oblio de’ mali …per i miseri mortali”. Michelangelo: “Caro m’è il sonno, e più l’esser di sasso / mentre che ’l danno e la vergogna dura”. Il sommo scultore rispose così, nella medesima forma poetica (quartina con stesso tipo di rima) dando voce alla propria statua, l’allegoria della Notte (non a caso parte di un monumento funebre), all’elogio di un entusiasta estimatore che si augurava che essa si svegliasse dal suo sonno per parlare.

Sono molti, infatti, gli autori che “equiparano” o accostano il sonno alla morte. Nell’Amleto di Shakespeare, il brano più famoso dell’opera recita: “Morire, dormire… nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne”. S’invoca il sonno se non che “morire, dormire. Dormire, forse sognare. Sì, qui è l’ostacolo, perché in quel sonno di morte quali sogni possano venire dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale deve farci riflettere”. Per poi ancor più domandarsi cosa ci aspetta dopo la morte.

J. Keats scrive un’“ode” Al sonno di tenore simile a quel che si è appena ricordato: sono pensieri, sentimenti, considerazioni sul proprio sonno mentre qui vogliamo limitarci al sonno dell’altro, alla vista del dormiente. Sono quelle le idee del sonno che appartengono alla filosofia esistenziale come riflessione sul proprio sonno; nella figura dell’addormentato, invece, prevale lo sguardo dell’altro. Il dormiente sognante è protagonista della vita alternativa del sonno mentre il dormiente puro è passivo, “oggetto” per chi l’osserva e in suo potere, inerme e indifeso; appartiene alla visione altrui, ma è anche sfuggente (appunto nel sogno e nell’“assenza”).

Nella terza elegia del libro I di Properzio, Cinzia dormiente appare al poeta come Arianna abbandonata da Teseo nell’isola di Nasso, come Andromeda sfinita dopo la liberazione dallo scoglio, come una baccante stanca.

Mi apparve nel calmo respiro del sonno… al suo sonno indifferente elargivo ogni sorta di doni… finché la luna, dalle finestre semiaperte, la luna che corre, mentre i suoi raggi amano indugiare, col suo lieve chiarore le dischiuse gli occhi”.

Baudelaire attribuisce all’influsso dell’astro notturno il carattere dei desideri vaghi e inappagati. “La luna che è l’essenza stessa del capriccio guardò dalla finestra mentre dormivi… ti ha teneramente stretta alla gola che tu hai conservato da allora per sempre la voglia di piangere”. Lo stesso poeta nella lirica Il Lete dice: “… voglio dormire! Meglio della vita è certo il sonno, un sonno dolce come la morte”.


Anne-Louis Girodet, Endymion

Il dormiente per antonomasia nell’arte appartiene al mito ed è Endimione. Il bel giovane ha ricevuto come dono (su propria richiesta in cambio dell’eterna giovinezza, o per desiderio della Luna, o per punizione?) un sonno a tempo indeterminato all’interno di una grotta (l’etimo del nome indica chi sta dentro) per essere amato dalla Luna a proprio piacimento. La dea presenta tre facce, nemmeno del tutto simili tra loro: Selene, Ecate, Artemide.

Le figure della dea si confondono con equiparazione e contrasti: da Ecate, velata di nubi, dea del mondo notturno e ctonio, dalla vergine delle foreste, fino alla personificazione della Natura madre efesina. In sintesi: la Luna (il cielo), Artemide/Diana (la terra), Ecate (l’oltretomba). La leggenda non è univoca, le storie s’intrecciano a seconda dei luoghi d’origine e anche subiscono modifiche ed evoluzioni nel tempo. La connotazione comune è quella del capriccio, dell’erranza in ombrose valli, dirupi, al limite degli spazi civilizzati, ai margini dell’abitare umano.

Artemide, Diana per i Romani, è la divinità che presiede alla caccia, rigorosamente casta, come si può inferire da episodi salienti che la vedono protagonista con Atteone, Callisto e altri, severa fino alla crudeltà. La dea scorrazza attraverso i boschi, armata di arco e frecce, giovane donna schiva e intangibile accompagnata dai suoi animali, il cervo, e altri, selvatica come loro. È talmente gelosa della propria intimità che punisce chi l’ha scorta nuda in modo feroce come con Atteone o trasformando in donna un altro malcapitato.

Nel canto XX del Purgatorio Dante chiama Artemide insieme ad Apollo, di cui è sorella, i due occhi del cielo. L’identificazione non è priva di discordanze o lievi incongruenze. Selene è la personificazione della luna, percorre il cielo su un carro d’argento con la faretra e ama Endimione e a ciò conviene limitarsi.

L’amore della Luna si configura come pura contemplazione? In alcuni autori è invece un abbraccio. È un amore da lontano come sembrerebbe significare il nome Ecate, regina degli inferi, delle ombre, con poteri magici. Ecate trivia spesso associata all’agricoltura, alla terra, alle fasi lunari e alla loro influenza sui raccolti: è apparentata ad Artemide (non semplice risulta distinguerla) e la sua figura ha subito evoluzioni e modifiche nel tempo e presso i vari autori.

Il mito di Endimione ha avuto grande fortuna artistica e l’elenco degli autori che l’hanno trattato è assai lungo. Pinturicchio (1503-08), Luca Giordano (1705), G. Pittoni, (1723) Tiziano, (1508, con curioso taglio orizzontale da macchiaiolo), Parmigianino (1666), Annibale Carracci (1597), Domenichino (1609), Garofalo (1445-50), Cima da Conegliano (tondo del 1505-10), Ubaldo Gandolfi (1775), Pietro Liberi pittore del Seicento autore di un Endimione e di un’Allegoria del sonno, fino ad Anne-Louis Girodet (1791), ecc. Le ambientazioni spesso si assomigliano ed è quasi sempre presente il cane.

Altra protagonista di un’immagine classica (e pure mitica) di dormiente è Arianna, la regina cretese.

La statua di Arianna è conosciuta attraverso diverse copie romane di un originale o di originali greci di età ellenistica probabilmente appartenenti all’arte di Pergamo, eseguite secoli dopo, dal II o I sec. a. C. al I o II d. C. Nella versione più nota, la donna è distesa con le gambe intrecciate, il busto lievemente sollevato e un braccio inarcato sopra la testa nell’atto di sorreggerla come nota caratteristica. Arianna è stata abbandonata da Teseo sulla spiaggia deserta e quel sonno anticipa, registra e suggerisce in quelle forme un abbandono. Il personaggio non è stato subito riconosciuto confuso con altre situazioni (Cleopatra, ninfa dormiente). De Chirico colloca nei dipinti di alcune sue piazze la statua. Niente di più adatto per rendere il clima di silenzio, sospensione, attesa, mistero che s’intende evocare. La statua al centro della piazza serrata da portici prospettici dove si aprono arcate, lunghe ombre della sera mentre in lontananza attraversa l’orizzonte un treno, una torre rossa cilindrica. La posizione della donna ricorda quella della Malinconia e una di queste opere dell’autore ha tale titolo.

I dormienti nell’arte sono tanti e diversi, non sempre raggruppabili in categorie.

 Vasilij Perov, Bambini che dormono

Dipinti di bambini: una sfilza lunga per rappresentare la facilità del sonno dell’età e dell’innocenza. Un bambino musicista dorme a bocca dischiusa contro lo schienale di una sedia di Antoine Herbert (1883); una bambina dorme su una panca sotto la quale da un cappello fuoriescono i fiori raccolti di Albert Anker (1885); due bambini dormono sullo stesso giaciglio di Vasilij Perov (1870); un bambino dorme con la testa sulla mano sul tavolo, su un libricino aperto e sgualcito di Jean-Baptiste Greuze (1755). I bambini derelitti, cenciosi, poveri e scalzi, che l’arte deve salvare dalla maniera e dal facile effetto al quale il tema si presta.

Il bambino che dorme simboleggia l’innocenza nella poesia e nella pittura, spesso ha l’aspetto di Cupido nudo. Quando invece è ritratto Gesù Bambino con la Madonna, se dormiente può prefigurare la Pietà: Piero della Francesca nella Pala di Brera (1472-74), Giovanni Bellini, Madonna del Prato (1505 circa). Il sonno della Vergine fanciulla è sereno e si può collegare alla sua morte come dormitio, Francisco de Zurbarán (1660).

Nella Sacra Famiglia di Charles Le Brun (1655) la Madonna col dito sulle labbra chiede il silenzio a san Giovannino per prolungare il sonno del figlio. Straordinaria è l’opera di Georges de la Tour, Il Neonato (1645 o 1648, circa) con il Bambino dal volto di porcellana, stretto nelle fasce, su cui si posa il tenero sguardo adorante della Madre nella stretta intimità alla presenza di sant’Anna.


Georges de la Tour, Il Neonato 

Una statua romana (del I sec. a. C.?) ritrae uno schiavo bambino, addormentato seduto su un cippo o una roccia, protetto da un cappuccio (si trova fuori di una casa nottetempo?) mentre con una mano tiene la lanterna. Si è assopito aspettando il padrone al quale dovrà far luce nella via del ritorno. È un terribile documento di quella che possiamo immaginare fosse la sua povera vita: una condizione subita per noi odiosa e commovente.

Un paragrafo a sé è quello delle guardie addormentate cadute in miracoloso sopore nella liberazione dalla prigionia di san Pietro e nella Resurrezione di Cristo (versioni celebri: Raffaello, Battistello Caracciolo e Piero della Francesca). Un esemplare veramente curioso di sentinella addormentata è di Carel Fabritius (1654).

Carel Fabritius, Sentinella

 Tamara de Lempicka, Donna che dorme

 

Cani e gatti. Questi animali cari all’uomo si trovano dormienti, quasi sempre acciambellati, com’è loro natura: Rembrandt (1640), William Turner (1796), Gerrit Dou (1650), Claude Monet (1865), Pierre-Auguste Renoir (1862).

La donna nuda dormiente è un soggetto che va da simbolo di bellezza perfetta, Venere, allo spietato realismo della miseria della carne, da erotismo a dura condizione umana offesa dal tempo. Il prototipo nella pittura rinascimentale veneta è di Giorgione (1507-10) poi Nicolas Poussin (1630-31), Paris Bordone (1540), Luca Giordano (1653), Artemisia Gentileschi (1625), Felix Vallotton (1908), Tamara de Lempicka (1927), Lucian Freud (1995) che stravolge il senso calligrafico del nudo ostentato. Di Ingres sono rimasti studi di un’opera perduta, La dormiente di Napoli, che dopo anni ripropone nella postura, del tipo di Arianna, nella Odalisca conschiava del 1839-40. Decisamente onirica l’interpretazione di Paul Delvaux (1943) con sullo sfondo una profonda prospettiva. Ma il tema è il sonno?

L’idea forse più scontata è appunto l’erotismo e non è assurdo pensare che il tema non sia il sonno ma il corpo della donna o del giovane. Il prototipo è L’ermafrodito dormiente, statua romana che riprende un originale ellenistico. Il giovane giace supino, con scoperta sensualità e un corpo perfetto offerto allo sguardo. È un’opera che ha goduto di una certa fortuna essendo stata ripresa più volte nei secoli successivi, anche da artisti di prima grandezza (ad es. Bernini). Appartengono al filone oltre le veneri nude, altre figure come la Ninfa alla fonte (1518) di Cranach il vecchio; Il sonno (1866) di Courbet, per rammentarne due fra le tante.

C’è il sonno indotto da una musica (Tacuina Sanitatis, XIV sec.), o una nenia, o dell’ubriacatura del vino, talvolta fatale: dall’ebbrezza di Noè, a Oloferne (Jan de Bray, 1659), Polifemo, Argo dai cento occhi. Sonno fatale anche per Sansone di cui Dalila approfitta: Sansone e Dalila (1609) di P. P. Rubens e stesso soggetto di Guercino (1654) solo per fare due esempi. D’impressionante realismo, nella flagranza della posa impudica, è il Fauno Barberini, o satiro ubriaco, capolavoro della scultura ellenistica.


Fauno Barberini

La storia della Bella Addormentata, prima di divenire protagonista della fiaba, aveva radici nel mito, e la stessa fiaba in alcune versioni (Basile) non è così rassicurante e addirittura presenta risvolti agghiaccianti come lo stupro su un corpo inerme. Lo stesso bacio del principe, nel suo piccolo, si configura come (con il corsivo dell’ironia) molestia sessuale, sia pure a fin di bene. È lei che ha dipinto il preraffaellita John Collier (1921)?

Le dormienti. La Fanciulla che dorme (1878) di F. Zandomeneghi è una delle tante pitture di giovani donne colte dal sonno (spesso con un libro rimasto aperto) o spiate nell’intimità del proprio giaciglio. Esse formano uno stuolo di quadri di molti pittori meno noti e relativamente recenti e che non si ritiene indispensabile elencare: è soprattutto il loro numero esorbitante che indica un deciso interesse con un significato non sempre esplicito o facile da decifrare.

F. Zandomeneghi, Fanciulla che dorme 

Un pittore specializzato nel tema delle dormienti, che ha trattato in una pluralità di varianti, nella seconda metà dell’Ottocento, è Albert Joseph Moore. Sono fanciulle panneggiate all’antica, dee o ninfe o nobili bellezze idealizzate nella luce di un passato mitico o fiabesco. Il titolo è anche quello di un fiore o di una pianta o una stagione a cui il colore prevalente dell’opera allude.

Esempi diversi sono due dipinti di G. Courbet,La filatrice (1853) dove la sorella del pittore, per l’occasione modella, dorme sopraffatta dalla stanchezza e il secondo, lo scandaloso Les demoiselles des bords de la Seine (1857), nel quale una delle due ragazze sonnecchia, finge o sta per addormentarsi mentre ci guarda sottecchi.

Un caso del tutto particolare è il vegliare dormendo dell’Allegoria della Castità di Lorenzo Lotto (1505 circa) ispirato (con ironia?) da significato moraleggiante o mistico o alchemico.

Tutto ciò è il sonno dell’altro, visto senza esser visti, che può riflettere il nostro che non ci è dato vedere.