Piero e la Flagellazione

The Flagellation, di Marilyn Aronberg Lavin

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The Flagellation

 

E' un dato di fatto che i maggiori studiosi del Rinascimento italiano siano stati, nel Novecento, gli anglo-americani e i tedeschi. Personaggi come Aby Warburg, Ernst Gombrich, Erwin Panofsky, Bernard Berenson, insieme a tanti altri, hanno profondamente segnato la storiografia artistica e ne hanno tracciato alcune traiettorie profonde, difficilmente evitabili quando ci si occupa di autori dei nostri secoli XV e XVI.

Gran parte delle opere capitali sono state tradotte in italiano, ma certamente un'enorme quantità di articoli, monografie e brevi saggi scritti da studiosi emeriti, quasi sempre in ambito universitario, resta disponibile soltanto in inglese (lingua divenuta anche qui l'esperanto di tutti). Un caso particolarmente grave di omissione, nelle traduzioni italiane, è quello della monografia Piero della Francesca: The Flagellation, di Marilyn Aronberg Lavin pubblicata nel 1972 da Penguin. Ho ovviato a questo problema procurandomi tramite Amazon la seconda edizione del libro, per i tipi di The University of Chicago Press nel 1990, che si è rivelato imperdibile non soltanto per capire meglio il quadro di Piero, ma anche per disporre del modello esemplare di una monografia artistica (v. il volume tradotto in PDF).

La professoressa Lavin dell'Università di Princeton è autrice di molti importanti contributi alla storiografia artistica italiana e ha sempre manifestato una predilezione per Piero e per l'epoca di Piero. The Flagellation è stato un libro di successo e di riferimento per gli studiosi, e continua ad esserlo. Parlare del libro significa, pertanto, informare i lettori italiani in primo luogo di quello che dice, soprattutto dopo che sul quadro di Piero in questi ultimi anni sono intervenuti molti studiosi in modo spesso discutibile. Se poi sono passati oltre quarant'anni da quando Lavin presentò la sua tesi, si può subito sottolineare che in questi quarant'anni, come nei precedenti 150 (dal ritrovamento del quadro a Urbino), non un solo dato nuovo è stato scoperto o determinato per fare luce sul significato della Flagellazione, con l'eccezione dei restauri. In altre parole, il libro di Lavin è tuttora attuale e del tutto autorevole per suggerire una lettura credibile del quadro di Piero.

Lavin ha costruito il suo testo secondo il metodo classico dell'analisi artistica, prima i fatti, prima l'analisi storica, prima le descrizioni visive, prima i dati cioè, e dopo le ipotesi. Sembra banale, ma molti libri fantasiosi potrebbero farci pensare che il metodo sia oggi caduto in disuso, con teorie senza capo né coda esposte all'inizio in veste di verità rivelate e poi, ovviamente, dimostrate a posteriori, adattando qualunque aspetto dell'opera alla teoria preannunciata. A questo proposito, le note di Lavin alla fine del testo (nelle edizioni successive al 1972), forniscono una indicazione molto netta sull'atteggiamento della professoressa di storia dell'arte verso i dilettanti, in questo caso il Carlo Ginzburg delle Nuove Indagini su Piero:

Ginzburg scopre riferimenti alla Questione Turca in un modo quasi ossessivo, vedendo non solo la Flagellazione, ma quasi tutte le opere di Piero in corrispondenza con la situazione sto­rica. Come risultato, e per sua stessa ammissione, egli ignora tutti i fattori artistici. Gli errori che ne derivano sono un'infi­nità; vediamone uno che serva da esempio per tutti gli altri. Ginzburg cita alle pp. 61 e 62 una mia frase sulla luce nel Pretorio, dicendo che parlo di un effetto di irradiazione misti­ca emanante da Cristo, al quale attribuisco un'interpretazione simbolica. Al contrario, egli afferma che tale effetto è dovuto all'“infelice interferenza di un restauratore”, che eseguì un'ec­cessiva pulitura della superficie, facendo diventare troppo chiara una delle porzioni del soffitto a cassettoni. A conforto di ciò egli cita un articolo di Cesare Brandi pubblicato nel 1954 sul restauro del 1951-1952. Ciò che però Ginzburg non dice è che l'effetto di luminosità fu accertato come opera di Piero, e anzi reso più evidente, dalla minuziosa campagna di restauro del 1967-1968.

L'analisi del quadro condotta da Lavin in tutto il saggio è stringente ed è estremamente efficace nei primi quattro capitoli, Introduzione, Storia fisica del quadro, I riferimenti storici della composizione, L'ambientazione. La studiosa americana ebbe l'onore di poter analizzare il quadro durante e dopo il restauro del 1968, utilizzando lenti di ingrandimento per analizzarlo e strumenti di supporto mobili per coglierne i possibili aggiustamenti legati alla sua misteriosa collocazione. Lavin si è avvalsa della collaborazione di un architetto estremamente abile nella restituzione prospettica, Thomas Czarnowski, cui si devono alcuni disegni tecnici contenuti nel libro. La scrittura di Lavin è minuziosa, alcuni dettagli soprattutto cromatici sono evidenziati con grande perizia, mentre altri, come la pelliccia del cappello dell'uomo barbuto o le lontanissime strisce bianche sul pavimento, sono dovuti a una lettura millimetrica alla quale il lettore può prestare fede, ma non vedere direttamente. Sono notevoli anche le notizie sul restauro del 1968, che restituì al quadro alcuni importanti elementi cromatici.

Bottega di A. Lorenzetti, La flagellazione L'analisi di questi particolari è interessante, ma ancora più interessante è lo studio, derivato chiaramente da una paziente e lunghissima ricerca iconografica, dei quadri rappresentanti la Flagellazione eseguiti tra XIV e XV secolo nell'Italia centrale, in luoghi che Piero poteva conoscere, come Arezzo, Assisi, Firenze e naturalmente Sansepolcro. Il confronto porta a capire da un lato la struttura pittorica che Piero poteva concepire in quanto uomo del suo tempo, dall'altro l'anomalia della presenza di tre figure estranee alla scena sacra, collocate per di più in primo piano (sul proscenio, the foreground, come si esprime l'autrice). Va ricordato naturalmente che proprio questa anomalia è alla base dell'interesse che la Flagellazione suscita negli studiosi.

La composizione del Pretorio sul lato sinistro del quadro di Piero, la parte sacra cioè (Lavin finisce per definirla il Sancta Sanctorum), non offre di per sé caratteri nuovi, e anzi nel complesso appare tradizionale. Non è tradizionale invece la struttura architettonica disegnata da Piero; Lavin la analizza in modo lento e metodico, con  una lunga dissertazione che va seguita avendo la riproduzione del quadro sempre a portata di mano e di occhi. Qui si propone con evidenza e sicurezza il gemellaggio tra Piero e Alberti, soprattutto l'Alberti del complesso Rucellai a Firenze, le colonne della Loggia e il Tempietto. Il particolare delle modanature degli archi, disposte secondo una soluzione rara sia nella Loggia Rucellai sia nel palazzo di Pilato dipinto da Piero, è convincente.

Questa quarta parte, The Setting, cioè l'ambientazione, è la più originale; dopo il confronto con Alberti, Lavin si addentra nello studio della luce. Con l'aiuto di Thomas Czarnowski, l'analisi delle ombre proprie e delle ombre portate conduce passo per passo alla definizione dei punti d'origine della luce, uno dei quali si trova all'interno del Pretorio. A conclusione di ciò, Lavin scrive (pag. 50):

Pertanto, esiste un'autentica polarità tra i due lati della piazza, e questa polarità ha lo scopo di diversificarli come due dimensioni separate. Gli edifici a sinistra rappresentano un mondo divino, con attributi sovrannaturali, strutturato secondo valori immutabili. Gli edifici a destra rappresentano il mondo reale, imprevedibile e in­completo, i cui valori sono labili e il cui ordine è elusivo e oscuro.

Gli edifici a destra, un palazzo e una torre, sono da considerarsi generici; servono a inquadrare i protagonisti in primo piano, ma non hanno requisiti che possano identificarli. Siamo ben lontani qui dalle ricerche quasi comiche di chi ha visto nelle due architetture ora un campanile mai costruito, ora il pezzo di un palazzo fiorentino, o molte altre architetture non del tutto congrue, ma sempre - chissà come - pertinenti.

 

Ludovico Gonzaga ritratto da Andrea MantegnaLudovico Gonzaga?

Detto tutto il bene possibile dell'analisi dei primi quattro capitoli, entriamo invece con qualche piccola perplessità nei successivi, I ritratti e Il soggetto, dedicati ai tre misteriosi protagonisti sul lato destro del quadro. Il metodo di Lavin è sempre stringente e solido, ma - come lei stessa afferma - le congetture sono molte, e soprattutto le congetture che si basano su una precedente congettura appaiono al lettore un po' troppo labili. E' il caso dell'identificazione dell'uomo sull'estrema destra, dai corti capelli grigi e la veste di broccato, con Ludovico Gonzaga marchese di Mantova. Lavin impiega varie pagine e molte immagini (naturalmente in particolare quelle celebri di Mantegna) per convincere il lettore che quel personaggio è Ludovico, ma resta un margine di dubbio, dovuto alla non immediata somiglianza tra le figure dipinte da Piero e da Mantegna. In realtà la miglior risposta Lavin la dà in una nota, la numero 29 del testo, chiarissima ed esplicita:

E' stato spesso sottolineato che per tutta la sua carriera Piero sembra aver preferito certe fisionomie, da ripetere e variare per tutte le occa­sioni. E si è sostenuto che i personaggi in primo piano nella Flagel­lazione non possono essere ritratti, perché somigliano ad altri perso­naggi, presumibilmente generici, presenti in altri quadri sia precedenti sia successivi. […] La posizione e la fisionomia dell'uomo con i capelli grigi a destra si ritrovano - in posizione speculare - nell'­Incontro della regina di Saba con re Salomone ad Arezzo, e molti tratti del suo profilo coincidono con quelli di uno dei membri della confraternita in preghiera nella Madonna della Misericordia di Borgo San Sepolcro.

[…] Ancor più rilevante nel nostro contesto è il ritratto del committente ingi­nocchiato nel piccolo San Girolamo e Girolamo Amadi (Fig. 54), all'Accademia veneziana. La testa di questo personaggio ha molti elementi in comune con l'uomo di profilo a destra nella Flagellazione, e la sua posizione e il vestito sono identici a quelli del devoto nella Madonna della Misericordia. Ciò nonostante, si tratta con certezza di un ritratto. E' evidente allora che le raffigurazioni fisionomiche di Pie­ro tendono a conformarsi secondo tipi standard, ma ciò non esclude per principio che esse siano ritratti di persone reali.

La segnalazione è, come si addice a una autentica studiosa della pittura del nostro Rinascimento, del tutto conforme allo stile di Piero. Tuttavia, il lettore e lo studioso possono restare ancora incerti; e l'incertezza cresce quando il secondo personaggio, il barbuto, analizzato da Lavin, diventa Ottaviano Ubaldini della Carda, la cui somiglianza con le immagini note del personaggio (un potente nobile alla corte di Urbino) è decisamente tenue. Il barbuto, vestito all'orientale, sarebbe in realtà Ottaviano nel suo ruolo di astrologo; all'astrologia riconducono anche i disegni di stelle a otto punte e il cerchio fortemente scorciati sul pavimento.

Ottaviano Ubaldini?I passi successivi tuttavia sono più convincenti e forse in grado di far ricredere gli scettici: se i due sono Ludovico e Ottaviano, il lutto comune che li colpì verso il 1460 (la morte dell'unico figlio per Ottaviano e la malattia di un adorato figlio adottivo per Ludovico) giustifica e chiarisce l'apparizione in mezzo a loro del misterioso giovane biondo, immagine e simbolo del “figlio beneamato”. A riprova della reciprocità del dolore dei due padri, Piero avrebbe collocato sulle spalle di Ludovico una veste decorata con un motivo di cardi (allusione al casato “della Carda” di Ottaviano) e sul muro di sfondo dietro Ottaviano un motivo decorativo con girasoli, fiori che appaiono nello stemma dei Gonzaga. Il quadro  nascerebbe pertanto su commissione di Ottaviano, con intento consolatorio. Questo aspetto sarebbe pertanto la chiave interpretativa del quadro e Lavin, in questo testo ma anche altrove, sottolinea come nell'analisi storico-artistica il genere consolatorio sia stato spesso trascurato o sottovalutato. Proprio come nella letteratura, dove epitaffi e poesie alla memoria sono più che frequenti, anche nella produzione pittorica questa importante motivazione affettiva è alla base di innumerevoli committenze.      

Ma è alla fine del libro che, a mio parere, Lavin cala la sua carta più valida. Varie volte nel testo aveva sottolineato il ruolo del Santo Sepolcro per capire il quadro: la Flagellazione stessa lo anticipa, la citazione letterale dell'architettura funebre di Alberti lo ripete nel Pretorio, la firma stessa Pietro di Borgo San Sepolcro lo conferma! Nel Palazzo di Urbino esiste una cappella, intarsiata di marmi come il Tempietto di Alberti, di dimensioni analoghe a quelle leggendarie del Sepolcro di Cristo, che fu gestita alla fine del 400 proprio da Ottaviano Ubaldini; in questa Cappella del Perdono c'è una superficie, in basso, sotto l'altare a nicchia, che potrebbe aver ospitato il quadro. Per dimostrarlo, Lavin segnala, in modo davvero sorprendente, che la visione della tavola richiede uno spettatore più alto del suo punto di vista; si possono fare delle prove, e in effetti la visione del quadro dall'alto raddrizza e proporziona le figure e gli sfondi, mentre la visione dal basso le deforma fortemente. Di questa originale analisi puramente pittorica, vedi caso, non ci sono tracce nelle trattazioni successive e odierne, redatte da storici in cerca di notizie clamorose e in cerca di un Piero politico, bizantinista, complice, polemista, testimone, veggente, ma mai realmente del Piero pittore.

Forse la professoressa di Princeton ha ragione, o forse ha ragione chi dice che il quadro non rappresenta nulla di particolare, ma sarebbe soltanto un pezzo di bravura di Piero. Personalmente, ho sempre trovato curioso che un'opera così notevole sia rimasta nei magazzini del Palazzo di Urbino per decenni o per secoli, e che - di conseguenza - non sia mai stata citata direttamente da altri pittori. Un motivo non artistico per tale eclissi dovette esserci, e lo scomparire della Flagellazione nei meandri del Palazzo in contemporanea con la sfortuna storica di Ottaviano (che fu addirittura incolpato della infertilità del successore di Federico e della fine dei Montefeltro), è spiegato bene dall'ipotesi di Lavin. Tuttavia, dal momento che sempre di ipotesi si tratta, si devono mantenere i “forse”, anche se una volta entrati nel gioco e nella sfida proposti dalla Flagellazione di Piero è difficile uscirne!

 

(N. B. Tutte le traduzioni dal testo inglese in italiano sono di A. B. )

 

Scheda tecnica

Marilyn Aronberg Lavin, Piero della Francesca: The Flagellation, 1990, The University of Chicago Press, ISBN 0-226-46958-1

La prima edizione del libro è del 1972, nella collana “Art in Context” di Penguin, Londra, 1972.