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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Fogli freschi di stampa

Non si vede niente. Descrizioni, di Daniel Arasse

 

Daniel Arasse, prematuramente scomparso a neppure 60 anni, è stato un importante storico dell’arte, direttore dell’Istituto francese di Firenze dal 1982 al 1989 e direttore di ricerca presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi. Arasse concepì il progetto di Non si vede niente” intorno agli anni 90, rifacendosi al già famoso volume di Hubert Damisch “Y voir mieux, y regarder de plus près”, che riassume perfettamente l’intento di base, “guardare meglio, più da vicino” l’opera d’arte. Ironicamente Arasse chiamerà il suo progetto “On n’y voit rien” facendo quasi il verso alla sua opera precedente “Le détail. Pour une histoire rapprochée de la peinture1.

Il contrasto tra queste due espressioni chiarisce il punto di vista di Arasse: se ci si concentra troppo sul generale si finisce “per non vedere niente”. Occorre invece andare dal generale al particolare, concentrandosi sui dettagli, sulle piccolezze, su ciò che non viene notato immediatamente. L’intento di Arasse con questo libro è quindi quello di allontanarsi dal tipo tradizionale di sguardo rivolto all’opera d’arte, quello sguardo che “...vi fa capire: in ciò che guardate non vedete niente” (Pag. XV della Prefazione di Claudia Cieri Via), ma di andare piuttosto verso un tipo di sguardo nuovo e più attento, capace di simbolizzare ed interpretare, che non si limiti a guardare ma cerchi di vedere realmente quello che ci sta di fronte.

Sei sono i saggi che compongono il libro, ognuno dei quali si propone di rileggere o re-interpretare alcune grandi opere d’arte a partire dall’analisi minuziosa dei dettagli.

Marte e Venere sorpresi da Vulcano, di TintorettoIl primo saggio “Cara Giulia” rilegge il Marte e Venere sorpresi da Vulcano di Tintoretto concentrandosi, come già detto, sui dettagli piuttoto che sulla scena globale. E’ il caso di Cupido addormentato nella culla a sinistra, del cagnetto entusiasta, o dello stesso Marte, non immediatamente visibile perchè nascosto, con tanto di armatura, sotto le coltri del tavolo antico, tanto da sembrare più un ragazzotto appassionato che si nasconde dalle ire di un marito geloso, che non il classico amante vigoroso della dea dell’Amore. Arasse analizza punto per punto dettagli sorprendenti, come il gioco specchio di Venere - scudo di Marte (simbolo del desiderio condiviso), sottolineandone la posizione bizzarra, che copre per metà una finestra senza essere appoggiato al muro in quanto troppo basso e che ad uno sguardo più attento si nota non riflettere (come invece dovrebbe fare uno specchio!) l’esatta scena dipinta, bensì quello che accadrà un istante dopo, Marte che non c’è più e Vulcano che ne prende il posto, arrampicandosi sul letto della moglie Venere. Sono appunto questi dettagli, dei quali quasi non ci si accorge, il vero nuovo protagonista dell’opera, perchè Arasse vuole proprio alle­narci a questo nuovo tipo di sguardo.

Il secondo saggio è il famoso “Sguardo della lumaca” che ha origine dall’Annunciazione di Francesco del Cossa del 1470. La lumaca che compare in primo piano è il vero chiodo fisso di Arasse: “Se il pittore l’ha dipinta così è proprio perchè la si veda! E ci si chieda che cosa ci sta a fare lì” (pag. 19).Annunciazione, di Francesco del Cossa

Arasse è convinto che non si tratti di un mero capriccio artistico, ma piuttosto, considerando anche il grado di eleganza e sofisticatezza del Cossa, di un simbolo ben preciso, anzi, di un simbolo che contiene a sua volta una sottile critica religiosa, pur se inserita in un contesto del tutto inattaccabile ed ineccepibile dal punto di vista sacro. Ebbene, secondo Arasse, Francesco del Cossa ha voluto simboleggiare con la sua lumaca la lentezza con cui Dio Padre ha deciso di incarnarsi (e quindi redimere l’umanità) dopo la caduta di Adamo ed Eva. A prova di questo sta il fatto che la lumaca si trova esattamente sulla stessa linea che collega Dio Padre (in alto, a sinistra, della stessa dimensione e quasi, perfino, con la stessa forma della lumaca2) alla mano di Gabriele e poi alla lumaca stessa, linea obliqua sulla quale è costruita tutta l’Annunciazione. Un gioco geometrico troppo studiato e complesso perchè possa essere casuale. Ulteriore dettaglio degno di nota è il fatto che, come fa notare Arasse, la lumaca non è dentro il dipinto, quindi non è un semplice elemento iconografico, ma non è nemmeno fuori, quindi non è nemmeno un elemento trompe-l’oeil3, ma si colloca esattamente al limite del dipinto; indica così la sua funzione di simbolo riferito a ciò che effettivamente sta dentro la cornice, e vuole spiegarci dal bordo quello che vediamo.

Adorazione dei Magi, di Pieter Bruegel il VecchioNel terzo saggio, “Un occhio nero”, che analizza l’Adorazione dei Magi di Pieter Bruegel il Vecchio, Arasse vuole letteralemnte smitizzare l’aura di perfetta sinfonia del dipinto. Lo fa ovviamente partendo dai dettagli; dettagli quanto mai evidenti ma che non vengono interpretati per quello che sono proprio perchè inseriti in una composizione dal tono alto, serio e solenne come l’Epifania. Eppure l’autore sembra avere perfettamente ragione: ad uno sguardo più attento e ravvicinato è evidente che il corteo rappresentato non è dotato di quella altera dignità e austerità che gli dovrebbe competere.Arasse non si fa scrupolo di descrivere i personaggi semplicemente come appaiono, slegati dal loro contesto, “con quei capelli lunghi, sporchi e mal pettinati hanno l’aria di vecchi hippy svaccati, di fricchettoni sdentati, di vecchi rimbambiti” (pag. 43). Tali sono la maggior parte dei personaggi dipinti; gli unici che sfuggono al ridicolo sono la Vergine, il Bambino e il re nero, Gaspare. Da qui parte un’analisi più che dettagliata della sua figura, dalla tonalità della pelle ai doni che reca, dal portamento (l’unico veramente fiero e onorevole) alla direzione del suo sguardo. In effetti proprio gli sguardi dei personaggi, le loro direzioni, il modo in cui sono dipinti gli occhi, i dettagli delle palpebre e delle ciglia, l’incrocio tra gli sguardi di persone diverse, diventano il vero centro di questo saggio, sviluppandosi anche attraverso il confronto con altre opere simili, l’Adorazione dei Magi di Mantegna, di Botticelli (1478-1482 circa), del Ghirlandaio (1487), di Hieronimus Bosch (1510), per concludere con un’altra operadello stesso Bruegel, le Nozze Contadine, in cui si nota esattamente lo stesso tipo di ridicolizzazione veritiera e brutale della realtà delle persone.

Il quarto saggio, senza ausilio di immagini, è intitolato “Il pelo della Maddalena”. E’ evidente che il soggetto del saggio è proprio la figura della Maddalena, e determinati suoi dettagli, ma come per un capriccio letterario poi il discorso si amplia fino a coinvolgere l’intero universo femminile e la triade sacra per eccellenza (Maria, Eva e appunto la Maddalena) giocando sul confine tra pudore, licenziosità ed intimità.

Venere di Urbino, di TizianoIl quinto saggio, “La donna nel cassone”, è dedicato a una delle opere più conosciute di tutta la storia dell’arte, la Venere di Urbino di Tiziano Vecellio (1538). Anche in questo saggio Arasse parte dei dettagli: dai più evidenti, la posizione della mano della Venere che richiama la Venere dormiente dipinta trent’anni prima da Giorgione e che sarà successivamente il modello dell’Olympia di Manet (1863), al bellissimo piccolo spaniel bianco e nocciola acciambellato sul letto; ai dettagli meno immediati, la posizione del letto stesso, i bordi asimmetrici e il modo in cui cadono le pieghe delle lenzuola, la tenda verde smeraldo dietro la Venere, come si costruisce la prospettiva, sulla sinistra, tra l’anta di legno e il balcone con colonne sullo sfondo ed infine, ovviamente, l’enigma delle donne vicino alla cassapanca sullo sfondo a destra. Il tutto esaminato con continui rimandi da un dettaglio all’altro, come un reticolo di linee che si intrecciano continuamente nello spazio, ideale e reale, del dipinto, il tutto svolto sotto forma di dialogo tra due interlocutori, in cui ovviamente l’autore fa la parte di colui che domanda, stimolando l’osservazione, il ragionamento, il nuovo sguardo dell’altro.

L’ultimo saggio, “L’occhio del Maestro”, il più lungo ed analitico, è incentrato su Las Meninas di Velazquez (1656) e prende le mosse da Foucault e dalla prefazione del suo Le Parole e le Cose, tuttadedicata proprio al dipinto in questione. Arasse analizza praticamente ogni dettaglio, del tipo di committenza regale (Filippo IV), alla rappresentazione degli stessi sovrani nell’ormai celebre specchio dello sfondo, definendolo “Capricho” e fornendo una lunga spiegazione del concetto (pag. 141). Immancabile l’analisi dell’autoritratto del pittore a partire dal qualeLas Meninas, di Velazquez si origina il gioco teatrale che regge tutto il quadro. Una messa in scena vera e propria costruita su regole geometriche precisissime e dove ogni minimo dettaglio è appositamente studiato per occupare uno spazio predefinito sul palcoscenico di Velazquez, il quale a sua volta crea con la propria presenza un altro livello di finzione, coinvolgendo lo spettatore tramite “l’atto di puntare lo sguardo che lo definisce in quanto tale” (pag. 149).

E’ il gioco degli sguardi che costruisce tutta l’opera: lo sguardo del re, lo sguardo di chi esce, lo sguardo dell’Infanta, lo sguardo delle dame, lo sgurado del cagnone addormentato (pag.160), lo sguardo del pittore, insomma è il “solco dello sguardo che trafigge perpendicolarmente la tela, soggetto e oggetto, spettatore e modello, invertendo le loro parti all’infinito” (pag. 151) come scriveva Foucault, qui citato.

Con questo saggio si conclude il libro di Daniel Arasse, dimostrazione di quanto sia importante allenare l’occhio e la mente ad un nuovo tipo di sguardo, allargare gli orizzonti partendo dai dettagli, analizzare e ragionare, sforzarsi di vedere, e non solo di guardare.

 

Note al testo

1 Il Dettaglio. La pittura vista da vicino. Il Saggiatore, Milano, 2007.
 
2 "La presenza dell’Invisibile deve solo affiorare e sfugge a qualsiasi dimensione”, pag. 39.
 
3 Come certe mosche di tradizione fiamminga e non solo, basti pensare alla Madonna con Bambino di Carlo Crivelli (1480 circa).
 

Scheda tecnica

Daniel Arasse, Non si vede niente. Descrizioni, Piccola Biblioteca Einaudi, Mappe, 2013, XXX-164 pagine, 26 euro.

 

 

 

 

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