Statistiche dal 2010

Visite agli articoli
4405705

Abbiamo 274 visitatori online

Cerca nel sito

Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile la "libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".


Iscriviti al nostro
canale WhatsApp
sul cellulare

 - Nuova informativa sui cookie -

 


Hic sunt dracones. Il “Nuovo Mondo” nella tana del drago secondo Vittore Carpaccio


Ebbe mai un drago una grotta così bella?

Stupendo tiranno! Angelico demonio!
W. Shakespeare - Giulietta e Romeo

 

Fig. 1“Il popolo cinese crede nei draghi più che in altre divinità, perché li vede così spesso nelle mutevoli nubi”. Così Jorge Luis Borges ne Il libro degli esseri immaginari1 descrive la passione dei cinesi per la figura del drago. Immagine candida, eterea e insieme coerente con un certo esotismo che sembra poter giustificare l’ingenua credulità di popoli lontani.

Ma anche l’Occidente cristiano sembra non avere niente da invidiare al misterioso Oriente. Secondo un certosino censimento di Damiano Grenci (facilmente reperibile in Rete), sono ben 83 i santi del nostro panteon il cui attributo iconografico è il drago, o la cui storia personale può essere associata al mostruoso animale. E se alcuni di questi santi si limitano ad ammansirlo, è il caso di Margherita di Antiochia (in molte raffigurazioni lo tiene accanto a sé, al guinzaglio, quasi fosse un docile animale domestico) [Fig. 1], altri inesorabilmente lo sopprimono, come San Giorgio, dando luogo a una stupefacente galleria di trafitture immortalate in innumerevoli opere d’arte.

Fonte primaria del San Giorgio in lotta col drago, pressoché per tutti gli interpreti, è la Legenda aurea di Iacopo da Varazze (1228 ca.- 1298) – scritta in latino ma già circolante in volgare fin dal ‘300 –, dove la vicenda raccontata è così riassumibile: il santo, mentre si trova in Libia nei pressi di Selene, città sulle sponde di un lago vasto come un mare, incontra la figlia del re offerta in sacrificio al drago che imperversa in quei paraggi. Senza alcuna esitazione il cavaliere affronta l’animale e in nome di Cristo lo sconfigge salvando la fanciulla, dopodiché: “in quel giorno furono battezzate ben ventimila persone, senza tener conto dei bambini e delle donne” (Jacopo da Varazze). Il mito è molto antico e vi si può individuare la figura stessa di Cristo che difende la Chiesa dalle eresie. E infatti, tra le molte connotazioni del drago sempre riconducibili al male, vi è anche quella di: “bestia diabolica spaventosa assassina, ma alla fine distrutta, [...] immagine del turco”2; connotato più che comprensibile se visto con gli occhi della città di Venezia impegnata a contrastare l’espansionismo ottomano.

Fig. 2

Fig. 3

 

Fig. 4

 

Ma dove vive un drago, dove si ripara e trascina le proprie vittime? Se si escludono confortevoli bandiere [Fig. 2] e stemmi araldici nei quali si trova perfettamente a proprio agio, e non si dà credito a quanto scrive Jacopo da Varazze nello specifico episodio: “il drago sollevò la testa dal lago, pronto ad avvicinarsi”, per lo più gli artisti lo collocano in contesti poco ospitali e ne descrivono suggestivamente la tana come antro oscuro, una grotta – accreditando così la sua natura ctonia –, seppur dotata di un portale approssimativamente ogivale. È il caso di Paolo Uccello [Fig. 3] e Raffaello [Fig. 4], ma non di Donatello [Fig. 5] che prediligerà per l’ingresso una forma d’arco a tutto sesto, o di Rogier Wan der Weyden [fig 6] che lo ridimensiona e ne fa un anfratto al quale lo sguardo giunge condotto dai resti umani sparsi, conservandone comunque lo spunto ogivale. E in simili luoghi, si sa, non si entra né si sbircia a cuor leggero: “pervenni all’entrata d’una gran caverna [...] piegandomi in qua e in là per vedere se dentro vi discernessi alcuna cosa [...] subito salse in me due cose, paura e desiderio: paura per la minacciante e scura spilonca, desidero per vedere se là dentro fusse alcuna miracolosa cosa”3.

Fig. 5

Fig. 6

 

 

Si distinguerà tra tutti Vittore Carpaccio il quale, nel telero San Giorgio lotta contro il drago [ Fig. 7] (realizzato per la Scuola di San Giorgio a Venezia), pur richiamando nei tratti salienti la forma dell’ingresso adottata da altri, raffigurerà la spelonca in ben altro modo, nuovo e assai originale, snaturandola a tal punto da renderne azzardata (e ipotetica) l’individuazione, consentendoci però di vederne lo straniante contenuto assai prossimo (almeno idealmente) alla “miracolosa cosa” desiderata da Leonardo.

Fig. 7

Della vicenda narrata da Jacopo, il pittore veneziano illustrerà l’intero ciclo, ma concentrandosi sullo scontro tra l’eroe e la bestia, la parte dinamica e cruciale della storia, produrrà un capolavoro. In questo telero di dimensioni ragguardevoli e sviluppo fortemente orizzontale, in primo piano si stagliano il drago sul lato sinistro e il cavaliere su quello destro, separati nel mezzo da un albero fronzuto solo sul lato del cavaliere (netta contrapposizione tra una parte morta e una ancora viva e suscettibile di nuovo rigoglio). In secondo piano i macabri resti delle numerose vittime sparpagliati sul terreno, e sullo sfondo – dalla parte del drago – un esotico quanto favolistico paesaggio urbano (una mirabile città-patchwork liberamente ispirata al Cairo, o a Tripoli, e a edifici di gusto veneto-rinascimentale), mentre dalla parte del santo, la principessa con alle spalle un ripido colle sormontato da una chiesa nella quale si suole riconoscere il San Ciriaco di Ancona. Nella dettagliatissima scena il pittore sembrerebbe aver trascurato proprio la tana del drago, il che giustificherebbe i numerosi sparsi avanzi dei precedenti pasti – quasi assenti nelle altre raffigurazioni dotate di antro – il che induce a pensare che il Carpaccio potrebbe aver accolto la natura acquatica del mostro deducibile dal testo del da Varazze. In realtà c’è dell’altro4: discosto dalla scena in primo piano e nel quadrante opposto a quello del drago, un singolare arco nella roccia la cui forma ricorda esattamente la rappresentazione dell’ingresso di una grotta, e tre navi, una a vele spiegate perfettamente incorniciata dall’arco stesso, un’altra sempre all’interno dell’arco ma ormai all’orizzonte e perciò a mala pena distinguibile, e una terza solo parzialmente invelata e al di fuori dell’arco, forse arenata oppure all’ancora in attesa di equipaggio [Fig. 8].

Fig. 8

A proposito di questo telero Jean Petitot scrive: “Se il crociato gotico va a Gerusalemme a conquistare il centro del mondo, l’esploratore rinascimentale (Colombo) va all’orizzonte a sfidarne la circonferenza”5. Alcuni elementi dell’organizzazione spaziale parrebbero confermare: sul lato del drago una lunga teoria di alberi in prospettiva conduce all’abitato, mentre dal lato dell’eroe si vagheggia un altrove aperto, invisibile e remoto.

All’insegna della mirabilia, ed estendendo l’influenza culturale al di fuori dei confini della Serenissima, quel portale aperto sull’acqua acquista un senso allargato e mette in scena un’invenzione (appena enunciata ma potenzialmente gravida di sviluppi) dell’artista:

 Sul finire del Quattrocento i viaggi verso est, dettati da ragioni commerciali e missionarie, erano ormai diventati routine e riservavano ben poche sorprese, novità e imprevisti. Di conseguenza, anche i testi scritti, che di tali viaggi conservavano memoria, esibivano una serie di topoi autorizzati da una lunga tradizione e ingeneravano noia e sazietà. In questo stato di cose la scoperta dell’America [...] offrì una risposta provvidenziale alla situazione di stallo e di stanchezza che si era venuta a creare nell’immaginario collettivo europeo. Protagonisti, divulgatori e pubblico di questa epopea della scoperta si trovarono a dover riportare nelle coordinate del noto un universo del tutto incognito, a volte ostile e inquietante [...]; di qui il tentativo di conciliare a tutti i costi il passato con il futuro sempre più attuale, [...] le figure di ambito classico con quelle di un’alterità spesso incomprensibile ed equivoca.6

E infatti, in una simile opera sembra di scorgere la sensibilità inventiva di un pittore ancora legato a temi cavallereschi e cortesi – l’ideale del cavaliere errante si esplicita chiaramente nella impostazione complessivamente araldica e soprattutto nella salvazione e liberazione della vergine –, ma al tempo stesso già conscio dei cambiamenti epocali in atto e desideroso di dare loro corpo, seppur ancora dubbioso sulla esatta forma da assegnare. E nel tentativo di armonizzazione dei contrasti, nella creazione di connessioni tra mondi eterogenei, l’artista sembra fornire uno spiraglio e una concretezza visiva alla sfida (anche intellettuale) rappresentata dal nuovo, che per lui è ancora una proiezione del conosciuto su ciò che resta per il momento sconosciuto .

D’altronde, se per Carpaccio il nuovo è allo stato attuale un significante in attesa di un significato, e in tal senso il ‘mostro’ con le sue ambiguità gli fa gioco, la situazione era paradossalmente tale per lo stesso Cristoforo Colombo. Eroe pronto alla scoperta, certo, ma con un bagaglio culturale non adeguato perché precostituito (in buona parte medievale, irrazionalistico e libresco), e indotto all’esplorazione da un’idea ‘arcaica’ e bizzarra (fonte di perplessità per gli stessi reali di Spagna): trovare la vera sede del Paradiso terrestre e lì raccogliere tanto oro, tutto l’oro necessario per finanziare una nuova crociata destinata a liberare definitivamente il Santo Sepolcro7.

In definitiva: “Cristoforo Colombo [...] è un uomo a doppia faccia: appartiene a un tempo al passato e annuncia l’avvenire. Non c’è dubbio, colui che avrebbe tanto contribuito alla nascita del mondo moderno non poteva di già appartenervi”8.

Bifronte il navigatore Colombo, e bifronte l’artista Carpaccio, ma mentre il primo non scoprirà le Americhe perché fermamente convinto di dover trovare le Indie, il secondo, dall’incontro/scontro con l’alterità del drago (mostro di incerta genealogia, dalle sembianze irriducibili a categorie certe) e grazie al suo ‘astratto’ e plurisignificante ricovero notturno, saprà far scaturire un’indefinibile ma suggestiva immagine della scoperta avventurosa, intesa come un altrove percepibile in astratto però accessibile all’uomo.

Si tratta al dunque di farsi catturare dalla visionarietà dell’artista, di cedere alle sue inquietudini aderendo all’invito formulato autorevolmente da Pietro Zampetti: “Il Carpaccio vuole andare in fondo alle cose: il paesaggio non è una scena, è un mondo che vive e che talvolta è una vera impresa poter scoprire fino in fondo. Provate ad inserirvi in quel mondo [...]. Entrate in uno spazio generato da altro spazio: e vi sembrerà che la vita con gli aspetti più vari e più segreti sia proprio quella più lontana”9.

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1, Andrea del Sarto, Santa Margherita d’Antiochia, 1530 ca., olio su tavola, Duomo di Pisa.

Fig. 2, Piero della Francesca, Vittoria di Costantino, 1452-1459, affresco, cm 322 x 764, Arezzo, Chiesa di San Francesco.

Fig. 3, Paolo Uccello, San Giorgio e il drago, 1470 ca., olio su tela, cm 55,6 x 74,2, Londra, National Gallery.

Fig. 4, Raffaello, San Giorgio, 1505-1506, olio su tavola, cm 28,5 x 21,5, Washington, National Gallery of Art.

Fig. 5, Donatello, San Giorgio e il drago, 1416 ca., marmo, cm 39 x 120, Firenze, Museo del Bargello.

Fig. 6, Rogier Wan der Weyden, San Giorgio, 1430-1432, Washington, National Gallery of Art.

Fig. 7, Carpaccio, San Giorgio lotta contro il drago, 1502-1507, olio su tela, cm 141 x 360, Venezia, Scuola di San Giorgio degli Schiavoni.

Fig. 8, particolare, Carpaccio, San Giorgio lotta contro il drago, 1502-1507, olio su tela, cm 141 x 360, Venezia, Scuola di San Giorgio degli Schiavoni.

 

Note al testo

1 J. L. Borges, Il libro degli esseri immaginari, Theoria, 1978, p. 18

2 A. Gentili, Le storie di Carpaccio, Marsilio, 1996, p. 78

3 L. da Vinci, Scritti letterari, Rizzoli, 2001, p. 185

4 Molte, in effetti, le cose da tener presenti quando si affronta una descrizione, ma quanto sintetizzato da Cesare Segre ci sembra in questo contesto appropriato: “Il quadro rappresenta persone, animali, oggetti, ecc.: essi sono posti in una gerarchia prospettica, che può parzialmente, ma solo parzialmente indicarne le connessioni. Descrivere è scegliere una data relazionalità (spaziale, causale, ecc.), forse riportabile a una tipologia; è, dunque, individuare il contenuto immediato dell’informazione”. C. Segre, Semiotica filologica, Einaudi, 1979, p. 143.

5 J. Petitot, San Giorgio: note sullo spazio pittorico, in AA. VV., Semiotica della pittura, Il Saggiatore, 1980, p. 212

6 M. Masoero, I mostri nella letteratura della scoperta, in AA. VV., Disarmonia, bruttezza e bizzarria nel Rinascimento, Casati, 1998, p. 298

7 Per un opportuno approfondimento: G. Tardiola, Cristoforo Colombo e le meraviglie dell’America, De Rubeis, 1992

8 T. Todorov, Viaggiatori e indigeni, in AA. VV., L’uomo del Rinascimento, Laterza, 2008, p. 334.

9 P. Zampetti, Vittore Carpaccio, Alfieri, 1966, p. 47.

 

abbiamo aggiornato l'informativa sui cookie