La signora in rosso erroneamente detta “La belle ferronnière”

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Fig. 1: Ritratto di dama (La belle ferronnière), Louvre, cm 63,5 x 44,5 x mm7, inventario 778

 

Il Ritratto di dama chiamato per errore La belle ferronnière è stato prestato dal Louvre in occasione dell’EXPO di Milano e in tale occasione si è potuta vedere esposta l’opera a restauro finito: infatti il restauro, iniziato nel settembre 2014, è stato ultimato nell’aprile 2015, giusto in tempo per l’esposizione.

Dalla relazione tenuta il 14 maggio 2015 al Convegno internazionale di studi, presso il Politecnico di Milano, dal Conservatore dei dipinti italiani del XVI secolo del Louvre Vincent Delieuvin, congiuntamente con Elisabeth Ravaud, responsabile del Centro ricerche e restauri del museo parigino, si sono avuti interessanti ragguagli sull’andamento del delicato lavoro effettuato. E’ interessante premettere un breve resoconto di informazioni relative al percorso storico e di dati aggiornati degli esami di laboratorio esposti in quella sede, poiché utili alla comprensione del ritratto attraverso una lettura che non prescinda dalle più recenti acquisizioni scientifiche sul quadro.

L’attribuzione a Leonardo tra contributi critici e apporti degli esami di laboratorio

E’ emerso innanzitutto che non vi sono tracce di un qualche importante restauro precedente, e si ha certezza che durante tutto l’800 non vi furono interventi. Circa il suo buono stato di conservazione, alla data del 1788 fa fede l’inventario dei quadri del re fatto da Durameau (di cui compare il nome sul verso della tavola). L’opera - catalogata erroneamente ferronnière nell’inventario in quanto scambiata per una amante del re Francesco I - entrò al museo del Louvre nel 1797.

Circa la necessità di un restauro, è solo a partire dalla prima decade del 2000 che la preoccupazione per l’ingiallimento della vernice ossidata ha condotto alla decisione di sottoporre La belleferronnière a una serie di indagini di laboratorio finalizzate a rimuovere la “patina” che la insidiava e ad effettuare un alleggerimento calibrato e non invasivo della vernice, con ripristino dei colori naturali della carnagione.

Il problema che ha incontrato il restauro, oltre al programma di routine, è consistito nel risolvere l’effetto di un riflesso rosso caldo sulla guancia, che risultava troppo acceso nell’ alchimia cromatica dell’opera (per quanto in passato considerato con interesse da molti critici). Peraltro, fino agli esami del 2014-15, che hanno stabilito trattarsi di una lieve abrasione corretta, non si era potuto stabilire con certezza se tale riflesso rosso nella sua accesa evidenza fosse dovuto ad una scelta autoriale originale. Pur valutandolo un guasto del tempo, la commissione internazionale formata appositamente per il restauro del dipinto, ha convenuto sull’opportunità di un ritocco non invasivo, che attenuasse appena la preparazione rossa con un’ombra correttiva più fredda. Inoltre si è mirato a restituire al nero dello sfondo l’effetto di profondità.

Gli esami di laboratorio hanno rivelato pochi pentimenti, circoscritti al busto, relativi alla decorazione dell’abito e al collier sul dècolleté. Soprattutto si è riscontrato che Leonardo ha corretto la posizione della donna ruotando leggermente il busto più a sinistra rispetto allo spettatore e la testa più frontalmente, orientando lo sguardo maggiormente a sinistra, per conferire all’espressione un effetto di ambiguità.

In particolare, la riflettografia ha evidenziato due significativi elementi per quanto concerne l’analisi dell’opera, anche sotto il profilo critico. Infatti non si è riusciti a stabilire con certezza se il gioiello sulla fronte – ritenuto di qualità minore - fosse originale o dovuto a un ritocco fatto da mano molto antica. Soprattutto si è appurato che il parapetto – che aveva suscitato in passato riserve e un contrastato dibattito - è indubbiamente originale, nonostante se ne sia appurata la mancata finitura delle ombre e la scarsa tridimensionalità. E inoltre, tramite comparazioni più approfondite, non si è trovata conferma del fatto che la tavola de La belle ferronnière fosse stata ricavata dal medesimo noce usato per La dama con l’ermellino, come prima avevano sostenuto accreditati studiosi.

I contributi degli storici dell’arte e gli esami di laboratorio susseguitisi nel corso del tempo hanno accompagnato la costante ri-valutazione di un quadro che fin dall’inizio era apparso opera di estrema qualità pittorica e di rilevante potenza scultorea e profondità.

All’inizio del 1900 si inizia a porre in discussione l’ipotizzata autografia del Boltraffio. I giudizi di Ramuz (1903) Scheffer (1909) Siren (1928) Suida (1929) costituiscono tappe significative sulla via che conduce a Leonardo. E’ Scheffer tra i primi a fare il nome di Lucrezia Crivelli, identificando nella misteriosa dama l’ultima “scandalosa” amante di Ludovico il Moro, inquadrando il contesto storico e avvalorando così le ipotesi attributive.Dopo l’intervento di pulitura del ritratto, avvenuta nel 1919, Holmes, (che lavorava alla National Gallery), in un suo intervento pubblicato nel 1921 sul Burlington Magazine, sposta in modo decisivo l’attribuzione da Boltraffio a Leonardo. I dubbi tuttavia permangono per tutta la prima metà del ‘900.

Nel 1952, in occasione dell’anniversario della nascita di Leonardo, il ritratto viene sottoposto ad alcuni ritocchi di restauro e viene effettuato un accurato studio tecnico di laboratorio, pubblicato nello stesso anno. In particolare la radiografia pone in evidenza la grande prossimità tecnica con la Gioconda, determinando un passo avanti molto importante ai fini dell’attribuzione.

 

Il rosso dominante, il nero, e quella problematica ombra rosso fuoco sulla guancia

Nella profondità del contrasto alchemico rosso/nero la statuaria figura femminile pare quasi emergere dal buio. Un’ombra infuocata (poi attenuata dal restauro) le segnava la guancia, in passato interpretata come il riflesso dell’abito, in seguito, da alcuni critici decifrata come originale elemento caratterizzante personalità e storia della donna nel contesto dell’opera. Questa seconda suggestiva interpretazione – anche a fronte della recente scoperta che l’ombra rossastra andava posta in relazione con una lieve abrasione in quel punto - non va del tutto rigettata, poiché effettivamente lascia intuire un legame simbolico profondo con il ritratto nel suo insieme e in particolare con i moti mentali della donna che ne traspaiono. E, forse anche per questo, il restauro del 2015 ha preservato – sebbene raffreddandola un poco – la vibrazione del rosso nello stesso punto, ritenuta parte della storia del ritratto, pur non potendo stabilire se essa ne facesse parte dall’origine e – nel probabile caso affermativo – con quale intensità cromatica.

Una frase di Ramuz (1902-03) dà l’idea di come la “signora in rosso” fosse in grado di affascinare con la sua aura misteriosa e sensuale: “un reflet eu peu rose caresse le bas de la joue gauche comme d’un feu ou d’un rayon de soleil couchant.”E l’evocazione di un fiore sbocciato, nel rosso di un tramonto, non pare estranea all’atmosfera satura di umori scarlatti che aleggia nel dipinto.

L’abito, unitamente a un precedente collier, appare uno dei pochi elementi a cui sono state apportate piccole varianti rispetto al disegno originario che appare in riflettografia. I motivi delle variazioni sull’abito potrebbero essere dovuti a una decisione del Pittore o a una scelta della committenza in corso d’opera, ma in base alla ricostruzione suggerita nel corso di questa esposizione, potrebbero essere dovuti una temporanea sospensione del lavoro, con successiva ripresa dello stesso in un periodo successivo (al riguardo si rinvia alla parte “Una identificazione “quasi” univoca...”, nella quale la variante sull’abito viene riferita a risvolti biografici delle due probabili modelle)

Va comunque considerato chele variazioni apportate all’abito non assumono per questo ritratto un significato rilevante come nel caso della Gioconda, ove Pascal Cotte nel 2015 ha comunicato di aver scoperto l’esistenza del ritratto sottostante di una donna dipinta in precedenza. In tal caso infatti la questione comporta conseguenze cruciali, poiché nella Gioconda – stando alle conclusioni di Cotte - non cambia solo l’abito (pur permanendo i vinci sforzeschi anche sulla scollatura della prima versione sottostante), ma – soprattutto - è la fisionomia della modella che risulta essere stata trasformata fino a renderla irriconoscibile. La belle ferronnière per parte sua invece conserva i tratti del volto che vediamo in ogni fase di lavorazione del quadro e le modifiche apportate all’abito sono alquanto parziali.

Basti notare che - diversamente dai ricami sullo scollo della Gioconda, identificati come vinci sforzeschi - nel caso del Ritratto di dama in questione i motivi ricamati sulla scollatura non hanno nulla a che vedere con le decorazioni in voga presso la corte di Milano né con gli emblemi sforzeschi, ma sono individuabili come ricorrenti nelle mode adottate nelle varie corti della penisola. Cosicché non è dato circoscrivere ad una specifica corte quel prezioso ricamo “generico”, che intreccia motivi geometrici e arabeschi vegetali, stante il suo carattere puramente ornamentale. Tuttavia i nastri annodati riconducono alla moda milanese imposta da Beatrice d’Este. Così pure il coazzone, di uso tradizionale (come comprova la Madonna del coazzone di Pietro Antonio Solari, del 1479) era molto in voga a corte dopo l’arrivo di Beatrice, ma di per sé non costituisce indizio certo, poiché risulta che già verso il 1494 l’uso si era esteso alle nobildonne di varie corti della penisola.

 

Una identificazione “quasi” univoca: il rosso si addice alle amanti del Moro

Non si sa né quando né come il ritratto sia stato acquistato da Francesco I di Francia. Nel 1642 Padre Dan, in “Trésor des Merveilles de Fontainebleau”, si riferisce alla modella del ritratto come a una “Duchessa di Mantova”. Gli studi e i giudizi successivi hanno confermato trattarsi di ritratto milanese. Già Anna Brownell Jameson in “Lionardo da Vinci”, del 1868, vi riconosce Lucrezia Crivelli, ben prima del citato Scheffer. E così pure Angela Ottino Della Chiesa nel suo “The Complete Paintings of Leonardo da Vinci”, del 1967, vi riconosce Lucrezia. Di diverso avviso sono Adolf Rosenberg (1898) e Singer (1915) che la identificano con Cecilia Gallerani molti anni dopo il primo ritratto de La dama con l’ermellino, per via della somiglianza che ravvisano nelle fisionomie dei due volti. Martin Kemp sostiene trattarsi di Lucrezia Crivelli dipinta da Leonardo nel 1497.

Cassata - in quanto erronea - la prima identificazione con la moglie di un mastro ferraio, che fu amante di Francesco I e che le valse il soprannome “ferronnière”, due candidate sono state ritenute le più probabili: le due ex amanti del Moro Cecilia e Lucrezia. E in effetti la dama in rosso, ritratta sull’orlo del tramonto e che riflette nel velluto nero dei capelli e nello sguardo rabbuiato il nero dello sfondo, potrebbe essere sia una matura e sconfitta Gallerani che una inquietata Crivelli, in quanto entrambe protagoniste di una relazione che le aveva poste al centro delle critiche cortigiane. Tra le due ipotesi ha prevalso alfine quella che identifica il personaggio in Lucrezia Crivelli.

La belle ferronnière” è datata dal Museo del Louvre 1495-1497, e la datazione post 1495 è da ritenersi corretta sia identificandovi Lucrezia Crivelli che, in alternativa, una versione più matura di Cecilia Gallerani (ma in tal caso la datazione dovrebbe essere spostata successivamente al 1498, stando alla corrispondenza intercorsa con Isabella d’Este). Il dato biografico per entrambe le due ex amanti è suscettibile di integrazione temporale con il successivo periodo di esilio trascorso a Mantova (primi anni dopo il 1500), sotto la protezione di Isabella d’Este, dopo la sconfitta del Moro. Tale dato biografico ha una incidenza non solo riguardo alla definizione “ duchessa di Mantova” tramandataci da Padre Dan, ma anche in rapporto al significativo ricamo dell’abito che non trova riscontro nella moda della corte sforzesca di Ludovico il Moro. In tale prospettiva la “parentesi mantovana” comporta implicazioni sulla datazione del quadro limitatamente alla fase di ultimazione (essendo indubbiamente stato dipinto, ancorchè non del tutto finito, durante il primo soggiorno milanese).

Dopo la caduta del Moro, sia Cecilia che Lucrezia, al pari di altre famiglie di nobili milanesi, trovarono generosa ospitalità presso Isabella d’Este, signora di Mantova. E’ probabile che La belle ferroniére sia pervenuta con la fuorviante dicitura “Ritratto di una Duchessa di Mantova”, per un fraintendimento connesso al dato della provenienza. Infatti non va escluso che, durante il soggiorno presso la corte dei Gonzaga, a qualche titolo (per dono o vendita), la proprietaria rifugiata abbia ceduto quel ritratto, che aveva portato con sé nella fuga da Milano. Oppure che in Mantova Leonardo abbia completato quel quadro, e che là sia stato poi lasciato dalla proprietaria. Ciò spiegherebbe l’errata descrizione di Padre Dan connessa alla provenienza.

Isabella d’Este con grande generosità accolse sia Cecilia Gallerani, con la quale aveva intrattenuto rapporti epistolari proprio sul suo primo ritratto giovanile del ‘90, sia Lucrezia Crivelli, che perdonò nonostante avesse causato offesa e dolore in vita a sua sorella Beatrice. Nel caso di Lucrezia, quando la situazione politico militare travolse il Moro, riuscì a fuggire da Milano dopo aver messo al sicuro le sue consistenti ricchezze. Visse per un lungo periodo con il figlio Giampaolo, avuto dal Moro, nella rocca di Canneto sull’Oglio.

 

Il dilemma tra Lucrezia e Cecilia, e il profilo di una terza donna.

Nel caso di Lucrezia Crivelli, la datazione del ritratto risale al secondo quinquennio del ’90, e fanno fede tre epigrammi latini del Codice Atlantico , scritti non da Leonardo ma da un poeta di corte, in cui si legge: Pinxit Leonardus, amavit Maurus(Leonardo la dipinse, il Moro l’amò)

Non esiste invece alcun documento che attesti di un secondo ritratto della Gallerani dopo quello de La dama con l’ermellino, ma i tratti somatici della ferronnière sono approssimativamente compatibili con quelli dell’acerba fanciulla aristocratica del 1990. Un ipotetico secondo ritratto di Cecilia andrebbe tuttavia datato dopo la corrispondenza epistolare tenuta con Isabella d’Este del 29 aprile 1498 (in risposta alla richiesta del 26 aprile di Isabella di avere in visione il famoso ritratto fattole in giovane età da Leonardo). In questa lettera la Gallerani parla esclusivamente del primo quadro del ’90 e nulla lascia sospettare che ne esista un secondo o che sia in lavorazione.

D’altra parte non va sottaciuta l’esistenza di un “ostacolo” finora poco considerato. Trattasi dell’esistenza di un ritratto di profilo dichiarato originale dalla famiglia Crivelli, che intorno al 1995 è stato esposto dai discendenti di Lucrezia Crivelli presso l’Historisches Museum di Speyer. I discendenti dei Crivelli sostengono trattarsi del vero ritratto di Lucrezia, conservato per secoli. Adolfo Venturi nel 1933 lo ha attribuito a Leonardo datandolo al 1495, mentre Pinin Barcilon Brambilla, che lo esaminò nel 1983, trovò che alcuni pigmenti erano gli stessi dell’Ultima Cena.

Fig.2: Ritratto di Lucrezia Crivelli, 1495/97 – att. a Leonardo da A. Venturi
(Catalogue Exhibition Speyer, The Speyer Lady, Nathalie Guttmann, 1997)

 

Al di là della questione dell’attribuzione o meno a Leonardo di questa opera nota a pochi, è del tutto palese che il ritratto di profilo, dichiarato dai discendenti quale raffigurazione originale della bionda e altera Lucrezia loro antenata, presenta fisionomia totalmente differente da quella della Belle Ferronnière, e tale dato costituisce non trascurabile ipoteca sulla identificazione della dama. Vi vediamo infatti raffigurata una donna visibilmente matura, di tipo nordico, oltre la trentina, mentre Julia Cartwright, senza tuttavia documentare in alcun modo, la definisce col termine di ragazza (“girl”).

L’ulteriore termine “maild” usato dalla Cartwright dà l’idea di una fanciulla virginale, ma significa pure “donzella o damigella”, e in questa ultima accezione, in quanto damigella di Beatrice, andrebbe forse inteso il suo discorso, se si vuol far fede a quanto ne scrive Rachele Farina nel Dizionario biografico delle donne Lombarde (Baldini Castoldi, 1995, p 360) , secondo la quale era nata nel 1464 (data incerta, che indica che era all’incirca trentenne all’epoca della relazione), e quindi maggiore di una decina d’anni di Beatrice d’Este. Secondo la ricostruzione della Farina, Lucrezia era figlia di Bernabò Crivelli, podestà di Lomello (PV), data in sposa a Giovanni Andrea da Monastirolo, che era stato cameriere ducale presso Bona di Savoia. Dal matrimonio, avvenuto nel 1494 nacque una figlia chiamata Bona. Uno o due anni dopo aver contratto il matrimonio, diventò l’amante del duca Ludovico il Moro e, da una lettera di Galeazzo Sanseverino al duca suo suocero (per il quale faceva da tramite nella relazione), sappiamo che nel 1496 era incinta del figlio Giampaolo (capostipite del ramo Sforza di Caravaggio, creato marchese dal fratellastro Francesco II nel 1532). Nel 1500 fuggì da Milano e – secondo quanto scrive Rachele Farina – dopo un lungo periodo nella rocca di Canneto sull’Oglio si ri-sposò, ormai in età avanzata, con Gaspare del Conte e morì settantenne in Milano, in un’abitazione posta presso la parrocchia di Santa Maria della Porta. .

In ogni caso la data della nascita di Lucrezia Crivelli permane incerta e le notizie biografiche carenti e discordi. Anche la probabile Lucrezia identificata ufficialmente dal Louvre non è più una fanciulla: sul suo volto “maturo” e pensieroso possono aver pesato il documentato ostracismo di parte della corte per il suo ruolo di “amante ufficiale” in odio alla duchessa Beatrice ed i fatti tragici (sia militari che famigliari) che, dal 1495, e sempre più dal 1497 in poi, portarono il Moro a perdere ricchezze e potere, costringendola infine a fuggire e mendicare asilo presso Isabella d’Este, sorella della donna da lei tradita e condotta alla disperazione.

Qualora si volesse invece accogliere la tesi dell’identificazione della “signora in rosso” in una matura Cecilia Gallerani, conforta questa tesi il fatto che la si ritrova presso la corte mantovana ingrassata rispetto al 1490 e – come attestato dall’Uzielli e altri storici e biografi – assuefatta a stravizi. In tal senso si giustificherebbe la trasformazione del volto e della fisionomia, che tuttavia suggerisce alcune somiglianze con la giovane raffinata de La dama dell’ermellino. Ma al di là della somiglianza o meno di alcuni tratti del volto, è soprattutto la diversa personalità femminile delineata nel ritratto della belle ferronnière che porta a privilegiare l’ipotesi che si tratti della terza importante amante del Moro (la prima era stata Bernardina de Corradis, di cui non si conoscono ritratti).

In ultima istanza l’identificazione della signora in rosso con Lucrezia Crivelli pare la più fondata e sostenibile. In tal caso si può concludere che Leonardo portò avanti il ritratto durante il suo primo soggiorno in Milano, ma resta il dubbio che possa averlo ultimato nei dettagli in un momento successivo, presso Lucrezia nel periodo dell’“esilio mantovano”.

 

Il parapetto: una comparazione significativa e il tema dell’incompiutezza

L’elemento del quadro che, più di ogni altro, aveva suscitato perplessità e pareri contrastanti, è stato fino al 2015 il parapetto. L’accertamento di laboratorio che ha confermato l’autenticità di questa parte costitutiva del dipinto non dovrebbe suscitare stupore alcuno in chi da anni approfondisca l’opera pittorica di Leonardo. Poiché il “taglio” trasgressivo e audace che imprime al ritratto converge nel confermare l’autografia di un genio, tutt’altro che conciliante con le regole, sperimentatore e ben poco allineato con gli ambienti accademici.

La relazione del maggio 2015, tenuta dai responsabili del Louvre presso il Politecnico, si è incentrata soprattutto su aspetti tecnici, tralasciando l’analisi di questa singolare e inedita anomalia compositiva e delle sue implicazioni significative per lettura del ritratto. I risultati degli esami svolti hanno evidenziato che il parapetto non è stato finito. In particolare si è segnalata la mancanza di tridimensionalità e l’assenza di ombre. La conclusione converge nel rilevare l’incompiutezza che contraddistingue, anche in questo caso, il lavoro di Leonardo.

E’ arduo spiegare le ragioni di tale caratteristica ricorrente in varie e differenti opere vinciane: per un verso potrebbe trattarsi di una scelta dell’autore che - similmente ad Apelle – si asteneva dal dare compimento alla sua opera perfetta ; oppure potrebbe trattarsi di una questione di metodo, poiché sappiamo che Leonardo portava avanti molti e diversi lavori contemporaneamente e giocoforza non era uso rifinire minutamente quei dettagli non significativi che potevano essere lasciati alla cura della bottega, forse neppure seguendone l’esecuzione. In ogni caso il tema dell’incompiutezza nell’operare pittorico di Leonardo è stato segnalato come importante nella relazione tenuta dal conservatore Vincent Delieuvin, che problematicamente suggerisce possa costituire un “valore esterico” facente parte del suo lavoro artistico.

Non esiste a tutt’oggi una comparazione tra il parapetto della ferronnière e quello della Gioconda, dove il particolare è poco visibile anche in alta definizione: la presentazione della riflettografia della Gioconda a fronte di quella della “copia simultanea” della Gioconda del Prado, che ne riprende le medesime linee, se comparata con il parapetto della ferronniere evidenzia una inequivocabile coincidenza formale ed esecutiva. Anche nella Gioconda (e parimenti nella copia del Prado eseguita da allievo in tempo reale) si nota la stessa scarsa accuratezza nel delineare e rifinire il particolare in questione.

Fig.3: Il parapetto della Gioconda (a  sinistra di chi guarda) e della copia del Prado (a destra di chi guarda) –
Immagine riflettografica tratta dallo studio tecnico comparato pubblicato sul sito del Museo del Prado

Fig. 4: Il particolare del parapetto nel “Ritratto di dama” conosciuto come “La belle ferronniere”

Nelle due figure 3) e 4) sono ben visibili le lavorazioni lineari del tutto simili sul bordo del parapetto.

Poiché in Leonardo il pur minimo dettaglio riveste profondo significato, la comparazione dei due parapetti suscita alcune riflessioni sui due quadri, che sono portatori di plurime similitudini. Li accomuna anche l’uso dello sfumato che, pur con diversa declinazione tecnica e in minor grado, ricorre ne La belle ferronniere. Altre similitudini contribuiscono ad avvicinare le due opere e la rispettiva datazione: I) Il corpo di entrambe le donne, secondo la tipologia dei ritratti di spalla, è girato di tre quarti rispetto all’osservatore; II) La testa è leggermente spostata su tale asse verso la loro sinistra, così che il loro viso risulta quasi di fronte; III) Entrambe hanno lo sguardo rivolto alla loro sinistra, in modo da risultare sempre sfuggente rispetto a qualsiasi posizione da cui le si guardi.

 

Tentando di ricostruire l’”istoria”: il parapetto emblematico

L’emblematico parapetto assume rilevante importanza anche per il modo in cui viene disposto nei due quadri, comportando implicazioni significative sotto il profilo simbolico e per la comprensione delle due “istorie” femminili ritratte.

Si osserva che nel caso della Gioconda il parapetto è dipinto, in modo tradizionale, dietro la figura della modella seduta, mentre ne La belle ferronnière è posto – con un taglio compositivo all’epoca sconcertante, al limite del “temerario” – davanti alla figura eretta della modella, come se questa si affacciasse da un balcone contro lo sfondo buio di un interno o come se fosse vista dentro il palco di un teatro.

In realtà anche il parapetto della Gioconda sottende un’ottica trasgressiva e del tutto inedita, per via delle sezioni appena visibili delle colonne e delle loro basi monche poste ai due lati, a creare un “minimale” invaso per la seduta di posa.

Nella Gioconda il parapetto è la linea oltre cui si spalanca un paesaggio carico di valori simbolici connessi alla vita e alla morte misteriosa della donna (per cui si rinvia alla tesi esposta in Savona 2011-12). Per la belle ferronnière - sia che si tratti di Cecilia o più probabilmente di Lucrezia - il parapetto antistante, posto in quella inattesa e apparentemente bizzarra posizione, è portatore di precisi riferimenti al destino di entrambe le amanti in quanto tali.

Alle spalle della “signora in rosso” è uno sfondo buio, che può ben significare lo sfondo entro il quale la sua storia personale si svolge (l’ambiente cortigiano con gli intrighi, l’ostacolo al riconoscimento ufficiale accanto all’uomo, l’interdizione ad una convivenza nella luce del giorno, la condizione di minorità rispetto alla moglie e ai suoi diritti, le inevitabili maldicenze, invidie, ambiguità…). In quel contesto l’amante gode di onori e di un potere riconosciuto e ampio, la cui natura tuttavia è marchiata dal vincolo del suo ruolo. Di fronte al parapetto, posizionato con inaudito rovesciamento di ogni canone, si intuisce lo sguardo di chi la sta osservando e rispetto al quale la Bella oppone il suo sguardo sfuggente e velato, carico di sentimenti inespressi. Lei è bene in vista, esposta ai giudizi di cui si sente al centro, e nel suo sguardo si riflette un flusso di pensieri muti e confinati nell’ombra. Le mani sono nascoste e le braccia pendono abbandonate, mentre la rigidità del busto sta ad accentuare la sua tesa e costretta immobilità. Dietro il parapetto la Bella è in mostra. Mentre il parapetto sta a delimitare lo spazio chiuso e senza via di fuga.

La passività femminile della preda prescelta del “signore”, (nella fattispecie il potente Moro), traspare in quello sguardo, ad adombrare il destino della favorita, il suo ruolo ambivalente a fronte dei privilegi... Privilegi al tramonto per l’ormai matura Cecilia (umiliata ed estromessa dal suo status consolidato di “seconda moglie”) e privilegi attuali ma gravati dalla colpa per Lucrezia (pietra dello scandalo e - quale ex damigella della defunta duchessa Beatrice e concubina del di lei marito - considerata rea di tradimento).

In entrambi i casi la corte di Milano è idealmente schierata nell’invisibile, davanti a quel parapetto.

Fig. 5: La belle ferronnière: un particolare dell’abito (che può essere interpretato in chiave simbolica)



Una parentesi letteraria per un’opera “ingannevolmente arcaica”

Fig. 6: Particolare de La belle ferronnière

Con una felice definizione Carlo Pedretti (Il ritratto, Giunti, Firenze, 1998, p.32), nel sottolinearne lo straordinario valore, definisce l’opera “ingannevolmente arcaica”, soffermandosi su fondamentali aspetti del ritratto in Leonardo quali i “moti mentali” e la rappresentazione dell’occhio come “finestra dell’anima”.

Il femminile rispecchiato nel ritratto è portatore di suggestioni retrò agli occhi della donna contemporanea. Ma il magnetismo dello sguardo della dama, carico di ambiguità, evoca riflessioni che sconfinano nella più disincantata rivisitazione critica femminista novecentesca. Poiché l’aura “ingannevolmente arcaica”che sprigiona dal ritratto della Bella è lo specchio di un passato lontano ma non ancora del tutto cancellato dalla memoria, che proietta fantasmi che premono al confine del rimosso per oltrepassare la zona d’ombra in cui sono stati relegati.

La Belle Ferronnière è una grandiosa “opera letteraria”. La inattuale “signora in rosso” può essere vista come proiezione (incarnazione) di pur diversi ma complementari caratteri di donne, portatrici delle miserie e delle grandezze di archetipi quali Anna Karenina o Madame Bovary ... Figure obsolescenti, capaci di evocare alla riflessione contemporanea inquietanti pensieri sul loro destino, sull’amore e sul potere.

 

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1: Ritratto di dama, detto La belle ferronnière, Louvre, cm 63,5x44,5x mm7, inventario 778

Fig.2: Ritratto di Lucrezia Crivelli, 1495/97 – att. a Leonardo da A. Venturi (Catalogue Exhibition Speyer, The Speyer Lady, Nathalie Guttmann, 1997)

Fig.3: Il parapetto della Gioconda (a destra di chi guarda) e della copia del Prado (alla sinistra di chi guarda) – Immagine rifletto grafica tratta dallo studio tecnico comparato pubblicato sul sito del Museo del Prado

Fig. 4: Il particolare del parapetto nel “Ritratto di dama” conosciuto come “La belle ferronniere”

Fig. 5: particolare de La belle ferronnière

Fig. 6: particolare de La belle ferronnière

 

Indicazioni bibliografiche

- "Léonard de Vinci : restaurer une œuvre unique", entretien avec Sébastien Allard et Vincent Delieuvin dans Grande Galerie, le journal du Louvre no 2, juin-août 2015, p. 68-73.

- Vincent Delieuvin, "Les secrets de la Belle Ferronnière", dans Grande Galerie, le journal du Louvre no 2, juin-août 2015, p. 74-75.