L'altro volto della Gioconda

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L”ALTRO VOLTO” DELLA GIOCONDA

IL “RITRATTO NASCOSTO” RIVELATO DALLA TECNOLOGIA

La presente anteprima, pubblicata con titolo provvisorio, è un estratto dello studio integrale dal titolo LA GIOCONDA DI LEONARDO E IL PORTRAIT DE FEMME DI DEGAS: DUE RITRATTI NASCOSTI RIVELATI DALLA TECNOLOGIA, del quale è prevista nel 2017 la pubblicazione su Academia.edu. L’anteprima si accentra sulla Parte II dedicata alla scoperta fatta da Pascal Cotte sulla Gioconda tralasciando la Parte I (relativa al Portrait de femme) e la Parte III (che affronta il tema del “tempo” in Leonardo e Degas)

 

PREMESSA (Introduzione allo studio riportata integralmente)

Nel giro di pochi mesi – tra il dicembre 2015 e l’agosto 2016 –il mainstream mediatico ha imposto all’attenzione del largo pubblico due scoperte che, avvalendosi di dotazioni scientifiche altamentespecialistiche, prospettano in un futuro prossimo sviluppi radicalmente innovativi nel campo della storia dell’arte.

Si tratta nel primo caso della scoperta fatta da Pascal Cotte, ingegnere ottico e co-fondatore della Lumiere Technology, del “ritratto nascosto” sotto la Gioconda, che raffigurava una donna giovane dai tratti aristocratici, e nel secondo caso della “messa a fuoco” nella sfera del visibile della donna più giovane nascosta sotto il Portrait de femme di Degas da parte di Daryl Howard (Sincrotrone Australiano di Calyton) e di Saul Thurrowgood (Università di Brisbane). Entrambe le scoperte, ottenute con differenti tecnologie, non solo promettono di estendere la possibilità di analisi di un dipinto fin “nell’invisibile” e di studiare l'evoluzione dello stile e della tecnica di un pittore con una precisione scientifica senza precedenti, ma addirittura consentono, citando Cotte, di “sbucciare gli strati di un dipinto come fosse una cipolla”, di penetrarne in profondità la superficie dipinta e di portarne in luce gli strati più profondi. All’esperto e all’appassionato d’arte è così possibile intraprendere una sorta di “viaggio a ritroso nel tempo”, fino alla fase iniziale del concepimento dell’opera. Tale affascinante esplorazione consente di vagliare, lungo linee di relativa continuità o su segmenti di discontinuità e rottura, le varianti apportate, le mutazioni e in alcuni casi le radicali trasformazioni o le cancellazioni di preesistenti creazioni, rimosse dall’autore nel tempo.

L'attenzione particolare riservata ai due ritratti di Leonardo e Degas prescinde da enfasi o sopravvalutazione delle scoperte di dipinti celati sotto altri quadri, non costituendo la scoperta di per sé un evento eccezionale: come dimostrano molti casi analoghi venuti recentemente alla luce, il fatto di riciclare una tela per un dipinto successivo ricorre spesso e per lo più avviene per motivi banali (si ritiene che un quarto circa delle opere di Van Gogh nasconda un dipinto precedente - come ad esempio Il sentiero d'erba del 1887, dove soggiace il volto di una contadina olandese - e nel suo caso il riciclo era imputabile alla penuria di mezzi economici). Tuttavia, in ciascuno dei due casi in esame l’analisi fa emergere un singolare intreccio di relazioni e similitudini, e, all’approfondimento, pur nella discontinuità delle fisionomie delle modelle, emergono alcune significative linee di continuità, che fanno capo a fondate ipotesi, concernenti la comune appartenenza della diade “ritratto nascosto/opera firmata” al continuum di una storia svoltasi sull’arco del tempo e coinvolgente per un verso l’identità delle rispettive modelle, e per l’altro le personalità artistiche di Leonardo e Degas (se non per implicazioni biografiche, quantomeno per la costante tematica del “tempo” pur diversamente concepita nelle loro opere).

Seguendo il “filo” di una continuità sottesa, l’analisi perviene a formulare l’ipotesi che in entrambi i casi ci si trovi dinanzi al nascondimento, o meglio alla trasformazione, delle identità di due donne, a cui Leonardo e Degas avevano dato vita ed anima. Non quindi una rimozione nell’oblio delle due donne originarie con loro successiva “sostituzione” con soggetti diversi, ma piuttosto una trasformazione che, per quanto incisiva o radicale, ne conserva un “legame di memoria” e preserva l’appartenenza delle rispettive “coppie femminili” alla costante di una storia sottesa. Il senso insoluto di tale “apparente sostituzione” o “profonda trasformazione” del ritratto antecedente con quello definitivo che noi vediamo è il nucleo enigmatico intorno a cui si sviluppa questo scritto. Da una prima informativa sommariamente tecnica, volta a ricostruire le fasi e i modi dello “svelamento” scientificamente operato, si passa ad affrontare il tema sfuggente del “nascondimento” che i due Maestri, a distanza di oltre quattro secoli, hanno operato sovra-dipingendo il ritratto sottostante, e della trasformazione della fisionomia da loro compiuta nei due quadri.

Alcuni esperti, tra le varie obiezioni possibili, potranno accampare che si tratti di evoluzione del ritratto della medesima modella, sostenendo una ininterrotta continuità del lavoro in progress; oppure, adducendo i numerosi casi di “riciclo”, potranno sostenere che, cambiando idea, il Pittore per non “sprecare” il supporto (mantenendo magari parti dell’opera originaria) abbia mutato il soggetto del quadro, sostituendolo tout court con un altro. Le ipotesi al riguardo non vanno liquidate, ma necessitano di analisi e studi approfonditi che, sia per il ritratto del Louvre che per quello della National Gallery di Victoria, non risulta siano stati prodotti.A questo proposito, in forma dialetticamente aperta, viene addotta una tesi alternativa, individuando nella relazione tra il “precedente ritratto celato” e “il ritratto successivamente dipinto” l’elemento-chiave per affrontare la questione della trasformazione avvenuta nelle rispettive coppie di modelle (superando lo schema bipolare che da un lato afferma l’unicità dell’identità e dall’altro una automatica “sostituzione” dei due soggetti).

Riguardo al caso della Gioconda, i pareri sono discordi e bloccati su opposte posizioni. Pascal Cotte, congiuntamente allo storico dell’arte Andrew Graham Dixon - autore del documentario sulla scoperta dal titolo The Secrets of the Mona Lisa– ritiene che “la modella che vediamo nel capolavoro sia un’altra donna rispetto a quella del dipinto sottostante”, portata alla luce attraverso la sua tecnologia multispettrale. Lo storico dell’arte Martin J. Kemp invece si dichiara “assolutamente certoche si tratti sempre di Lisa Gherardini sia nel primo che nel secondo ritratto”, lavorato entro un processo evolutivo continuo. Dalla sua Cotte ha molti argomenti, a partire dallo studio comparato delle fisionomie delle due modelle condotto con accurate ricostruzioni grafiche, che dimostra variazioni del tutto evidenti di lineamenti e tratti del viso difformi fissati in due stadi discreti.

Nel caso del Portrait de femme, il team dei ricercatori australiani autori della scoperta ha ritenuto di identificare nel “volto nascosto” Emma Dobigny, una delle modelle favorite di Degas, non prendendo posizione circa l’ipotesi che possa trattarsi della stessa donna che vediamo nel ritratto.

Tentare di dare risposta ad alcuni interrogativi facenti capo alle due scoperte, volti a determinare l’identità delle rispettive coppie di modelle, è di per sé una avventura stimolante, indipendentemente dalle conclusioni – più o meno condivisibili – a cui il presente studio perviene. Infatti, al di là dei dati e delle informazioni registrate e rivelate nei due casi dall’occhio spettrale della macchina, e ben oltre le convinzioni che se ne possano trarre sottoponendoli ad analisi ed interpretazioni, restano pur sempre al centro i significati espressi e la psicologia e l’anima segreta dei soggetti ritratti dall’Autore. In questo senso la duplice “scoperta dei ritratti nascosti dentro i due ritratti” può essere intesa come un inedito fattore di arricchimento. E su questa direttrice di ricerca più ampia, il percorso dello studio si apre a considerare - pur nella differenza antitetica delle due personalità artistiche di Degas e Leonardo separate da quasi mezzo millennio - tematiche comuni, che improntano gli universi creativi paralleli dei due Pittori.

Tali tematiche comuni, brevemente abbozzate nella parte conclusiva (PARTE TERZA), sottendono una ambivalente concezione del “femminile” che si rivela un aspetto privilegiato della rispettiva produzione artistica. Questo aspetto tuttavia viene appena accennato nel contesto, trattandosi di questione troppo complessa e non “in tema”; mentre invece, in quanto ritenuto attinente alle due scoperte oggetto di studio, il grande tema del “ tempo “- categoria filosofica che ha rilevanti implicazioni nei due universi artistici paralleli e per molti aspetti “antitetici” di Degas e Leonardo - è considerato per entrambi quale orizzonte entro cui avviene il sorgere e il tramontare di tutte le cose ed assunto come termine di confronto essenziale delle rispettive creazioni in arte.

Più puntualmente, nel presente studio il “tempo” è considerato una variabile fondamentale, poiché è evidente che sia nel Portrait de femme che nella Gioconda l’intervallo temporale intercorso tra la stesura dei rispettivi “ritratti nascosti” e la definizione ultima dei “ritratti visibili” è un dato che non può essere azzerato in ogni caso. Pur nella impossibilità di quantificare l’intervallo temporale intercorso, resta il valore della variabile “tempo” quale dimensione e misura dell’accadere, del divenire, della memoria, della durata, del principio, della fine…E in rapporto a ciascuna “coppia di ritratti” non può ignorarsi lo spessore psicologico, storico, artistico, biografico che tale variabile viene ad assumere.La parziale sintesi finale sul tema del “tempo” - che si avvale della presentazione di una duplice selezione di dipinti e disegni di Degas e Leonardo - si sostanzia nei rispettivi casi di un legame che, all’analisi, si rivela profondo e coerente con la produzione artistica complessiva dei due Pittori. Più nello specifico, la PARTE TERZA è volta a contestualizzare le ipotesi formulate nel presente studio, incentrate sulle relazioni di continuità e di dis-continuità poste in luce rispettivamente in ciascuna coppia “modella del ritratto nascosto/modella finale dell’opera”.

Il percorso effettuato, nell’assegnare importanza all’utilizzo delle nuove e potenti tecnologie ed in generale all’impiego del metodo scientifico e del sapere disciplinare specialistico nel campo della storia dell’arte, ne coglie problematicamente il limite implicato, in quanto l’approccio critico e conoscitivo in arte comporta una molteplicità di apporti culturali non solo in ottica disciplinare e interdisciplinare, ma in una prospettiva che definirei col termine “transdisciplinare”, (un termine oggi per lo più associato all’”ipercomplessità”), qui concepito come visione unitaria connessa a un processo di unificazione dei saperi che coinvolga i sensi, la sensibilità, tutte le forme dell’ intelligenza, compresi gli aspetti irrazionali, emotivi ed intuitivi, e i vari i codici comunicativi. Nella contemporaneità frantumata dalla parcellizzazione dei saperi suona esemplare una frase di Michelangelo Pistoletto “L’arte è l’espressione più sensibile e integrale del pensiero…”, ed il suo richiamo alla responsabilità dell’artista (e nostra) di porla “in comunicazione con ogni altra attività umana…”. E tutto questo senza tradire la sua componente di mistero.

A grandi linee lo studio si sviluppa in TRE PARTI:

PARTE PRIMA: Scoperta relativa al Portrait de Femme di Degas

  • A) Esposizione in sintesi della scoperta del ritratto sottostante il Portrait de Femme di Degas e relativa documentazione essenziale per immagini

  • B) Ipotesi circa la domanda cruciale se la donna “nascosta” nel ritratto, identificata dai ricercatori con ogni probabilità in Emma Dobigny, sia anche la modella del Portrait de Femme

PARTE SECONDA: Scoperta relativa alla Gioconda di Leonardo

  • A) Esposizione in sintesi della scoperta del ritratto sottostante La Gioconda e relativa documentazione essenziale per immagini

  • B) Ipotesi circa la domanda cruciale se la modella “nascosta” nel ritratto sottostante alla Gioconda, il cui volto è stato ricostruito da Pascal Cotte, sia la stessa del ritratto del Louvre o se si tratti di un’altra donna dipinta in precedenza: una risposta alternativa

PARTE TERZA

Il “tema del tempo” nei due universi artistici paralleli di Degas e Leonardo (analizzando una selezione mirata di dipinti e disegni):

  • Degas: Il Portrait de femme e i suoi doppi (una selezione di donne allo specchio e di gruppi femminili)

  • Danzando sull’orlo della caduta: la modernità e le pieghe oscure del nulla (una selezione di “ballerine”)

  • Degas, la perfezione e il tempo “differito” nel segno della consumazione



  • Leonardo: La Gioconda: le acque e il divenire; la storia e i mondi emersi dalle acque

  • Il pittore e la bellezza sottratta al naturale processo del tempo (disegni di dee, divine e mortali, nobildonne e cortigiane)

  • I Disegni del diluvio e il dramma del tempo come potenza cosmica di dissoluzione

 

OMISSIS…


 

 

PARTE SECONDA: Scoperta relativa alla Gioconda di Leonardo

A) Esposizione in sintesi della scoperta del ritratto sottostante la Gioconda e relativa documentazione essenziale per immagini

Gli esami di laboratorio condotti nel 2004 da Pascal Cotte sul ritratto del Louvre tramite la macchina multi spettrale Layer Amplification Method (LAM) - una tecnica scientifica da lui inventata per analizzare le immagini - hanno rivelato un preesistente ritratto sotto quello della Gioconda: la fisionomia della “modella originaria” è risultata essere diversa da quella della modella del Louvre. La scoperta del ritratto soggiacente operata da Cotte – sebbene non ufficialmente riconosciuta dal comitato scientifico del Museo parigino – è da ritenersi affidabile, e così pure la ricostruzione scientifica del volto da lui operata, pur dovendosi ammettere un certo grado di approssimazione.

L’analisi dell’immagine radiografica pubblicata per la prima volta da Hours nel 1954 – dove traspariva una fisionomia diversa – avalla l’ipotesi che sussista una sufficiente somiglianza del ritratto sottostante con la sua ricostruzione virtuale ricavata in laboratorio dallo scienziato parigino, che restituisce il volto di una donna più giovane, dall’espressione malinconica e da cui traspare un senso di purezza.

L’emergere di insospettate “corrispondenze” tra la fisionomia della Gioconda e quella dell’Autoritratto di Leonardo induce a ipotizzare che Leonardo, che viveva conflittualmente il suo rapporto con l’automimesi, abbia trasformato il volto della modella originaria facendo in modo da instaurare una somiglianza col proprio volto. Conformemente al mio studio, Ogni dipintore dipinge sé pubblicato nel maggio 2016 su Academia edu, la conclusione che può trarsi è che la Gioconda sia la risultante in arte di una complessa trasformazione, a partire dalla diversa fisionomia della modella originaria, nella quale ha avuto parte preponderante la confessata e combattuta propensione di Leonardo all’automimesi.

Fig. 1 

Fig. 1, Radiografia della Gioconda (pubblicata da Hours nel 1954)

 

Già a far data dal 2003 Pietro Marani aveva individuato un volto diverso da quello della modella del Louvre, scrivendo: “L’immagine radiografica…mostra quanto diversa sia stata l’impostazione iniziale del volto che, privo del velo nero, appariva meglio caratterizzato per contrasti di masse, più smagrito sulla guancia destra (quella a sinistra per chi guarda), privo delle lunghe ciocche di capelli ricadenti sul petto a sinistra e soprattutto ancora mancante di quell’accenno di sorriso che avrebbe caratterizzato la dama e condizionato gran parte delle letture del dipinto. Anzi, la bocca appare, nella radiografia, ben serrata e con un’espressione quasi amara. Queste differenze, spiegabili per via del fatto che Leonardo sarebbe andato a precisare meglio la forma e i vari dettagli sovrapponendo sottilissime velature di colore a olio (prive quasi di pigmento bianco e perciò non registrabili attraverso i raggi X), l’una sull’altra, non fanno che confermare la lunga elaborazione del dipinto e la sua graduale trasformazione in un volto idealizzato”– [Marani P.C., La Gioconda, in Art dossier, giugno 2003, p 33]

Per parte sua, Cotte, sulla base dei nuovi esami, osserva che la giovane del ritratto sottostante da lui “ricostruito in vitro” non mostra tracce (se non attenuate e appena percepibili n.d.a.) del suo enigmatico e celeberrimo sorriso. La Gioconda è stata sottoposta a numerose indagini scientifiche negli ultimi 50 anni, incluse le più recenti tecniche di indagine all’infrarosso e scansioni multi-spettrali. Ma lo scienziato assicura che la sua tecnica è in grado di penetrare più profondamente nel quadro consentendogli di “analyse exactly what is happening inside the layers of the painting… we can peel like an onion all the layers of the painting. We can reconstruct all the chronology of the creation of the painting."Come spiega Cotte “la tecnica LAM è basata su immagini ottenute dalla camera multi spettrale, che registrano la luce riflessa su 13 lunghezze d’onda”. Tale tecnica rende possibile ricostruire la genesi e i passaggi di un dipinto, le fasi cronologiche di lavorazione e i vari stadi di elaborazione creativa.

L’ingegnere ottico e co-fondatore dell’Istituto Lumiere Technology di Parigi ha dichiarato di aver lavorato per un decennio per conseguire i risultati resi pubblici nel dicembre 2015. Mentre il Louvre – che nel 2004 lo aveva autorizzato a operare a diretto contatto del quadro - si è limitato a dichiarare che Cotte “non fa parte del team scientifico del Museo”, gli esperti si sono divisi assumendo posizioni contrastanti. Il suo curriculum tuttavia è tale da consentirgli un elevato grado di credibilità, in quanto varie volte in passato aveva utilizzato le strumentazioni e le tecnologie da lui inventate per digitalizzare i seguenti dipinti di Leonardo: 1) La Gioconda, 2004; 2) La dama con l’ermellino, 2007; 3) La Belle ferronnière, 2011.

L’immagine celata di cui lo scienziato parigino ha ricostruito la fisionomia completa corrisponde – secondo la successione delle fasi del lavoro da lui individuata e documentata - al “terzo ritratto”: infatti sopravvivono tracce di due precedenti raffigurazioni, delle quali non è stato possibile ricavare una compiuta ricostruzione. Cotte ricomprende ogni “ricostruzione” relativa a ciascuna fase precedente in una sintesi grafica complessiva, pubblicata sulla copertina del suo libro Mona Lisa – Hidden Portraits (riprodotta di seguito), dove rende conto della sua sorprendente scoperta. La successione delle fasi documentate è la seguente:

1°Leonardo dipinge il primo ritratto più grande, probabilmente una bozza preparatoria del secondo , con posa all’incirca identica

2° Quindi cancella il primo disegno e dipinge il secondo ritratto con un elaborato copricapo impreziosito di perle e pinze, che fanno somigliare secondo Cotte la modella a una dea (o magari a “una sposa”, poiché nella tesi che identifica la Gioconda nella primogenita del Moro ho ipotizzato che originariamente si trattasse di ritratto nuziale). Queste prime due fasi sono da lui incluse nella complessiva elaborazione grafica della copertina, nella quale ricomprende tutte le variazioni apportate alla fisionomia fino al risultato finale. 

Fig. 2

Fig. 2, Pascal Cotte, Mona Lisa – Leonardo da Vinci, Hidden Portraits, Vinci Ed., 2015

 

3° Successivamente dipinge il terzo ritratto di cui offre una ricostruzione completa, dove compare una donna più giovane, con una acconciatura molto diffusa all’epoca (pressoché identica a quella del disegno di Leonardo di Isabella d’Este), e che presenta lo stesso ricamo della Gioconda coi vinci sforzeschi alla scollatura Tale“ terzo ritratto” può essere definito “il primo” in quanto solo in questa terza fase lo scienziato disponeva di sufficienti dati ed elementi per una ricostruzione completa della fisionomia della modella originaria

4° infine sovra-dipinge il ritratto del Louvre, ovvero la Gioconda, nel quale si ipotizza (vedasi studio citato pubblicato su Academia edu del 2016, che richiama l’esperimento di Lillian Schwartz del 1984), che Leonardo con procedura auto mimetica abbia trasformato profondamente la fisionomia del “terzo ritratto” soggiacente da lui ricostruito per intero. Cotte precisa che il Pittore modifica la posa della modella voltando di più la testa e gli occhi verso l’osservatore , girando le spalle più a destra e aggiungendo il velo intorno alla testa e al corpo. 

Fig. 3 Fig. 4

Fig. 3 e Fig. 4, Pascal Cotte: ricostruzione del ritratto sottostante : 3°stadio in cui è definito compiutamente il “ritratto nascosto”


Tutto richiama l’idea di una “discontinuità relativa” che autorizza, sulla base di elementi motivati e documentati, a ipotizzare tra il “ritratto nascosto” e la Gioconda una relazione non diretta, bensì mediata da modifiche mirate dei tratti del volto e improntata a processi auto mimetici

  • B) Ipotesi circa la domanda cruciale se la modella “nascosta” nel ritratto sottostante alla Gioconda, il cui volto è stato ricostruito da Pascal Cotte, sia la stessa del ritratto del Louvre o se si tratti di un’altra donna dipinta in precedenza: una risposta alternativa

L’identità segreta della Gioconda e il suo volto nascosto

Il “ terzo ritratto” soggiacente, che ha dato luogo alla ricostruzione integrale del volto, può essere definito “il primo”, in quanto, come si è detto, solo in questa terza fase lo scienziato aveva a disposizione sufficienti dati ed elementi per una ricostruzione completa della fisionomia della modella originaria.

Lo storico dell’arte Andrew Graham-Dixon nel documentario della BBC “The Secrets of the Mona Lisa”, si professa certo che la scoperta di Cotte sia “la storia del secolo”, sottolineando che – nonostante la prevedibile riluttanza del Louvre – si dovrà prendere atto che la Gioconda non sia Lisa Gherardini, ma un’altra donna. Sul fronte opposto, Martin J. Kemp ritiene insostenibile l’idea che esista un qualche “ritratto nascosto” sotto La Gioconda. La tesi addotta da Kemp è che si tratti di differenti stadi del processo di evoluzione di uno stesso ritratto, un processo continuo nel quale non esistono fratture di sorta. E conclude “Io sono assolutamente convinto che la Monna Lisa sia Lisa (Gherardini)”. Infine, più cautamente, soggiunge che comunque è prassi comune per un artista sovra-dipingere una immagine nel caso che il cliente che l’ha commissionata richieda un qualche cambiamento, dicendosi non sorpreso dal fatto che possano esservi mani di fondo (“underpaintings”) anche nel ritratto del Louvre.

Cotte e Andrew Graham-Dixon, contraddetti da Martin J Kemp, sostengono che la storia del dipinto vada riscritta, affermando che la versione che vediamo al Louvre ritrae un altro soggetto e non Lisa Gherardini, riconoscendo però nella donna fiorentina che chiamano “Monna Lisa” il soggetto del “ritratto nascosto”. In ogni modo, coerentemente con la loro convinzione Cotte e Graham-Dixon ritengono che il titolo del ritratto del Louvre vada cambiato, trattandosi di una sconosciuta.

L’ipotesi che la Gioconda non possa identificarsi nella donna del “ritratto nascosto” trova rinforzo nel fatto che la trasformazione operata da Leonardo in questo caso non ricorre in nessun altro ritratto. Ne dà puntuale conferma il fatto che – pur essendo uso, come tutti gli artisti, a modificare il dipinto in progress - Leonardo preservava (salvo ritocchi minimali, per lo più “pentimenti” mirati e circoscritti) i lineamenti delle modelle. La sua continuità nel procedere trova conferma prendendo in esame le fasi di lavorazione della Dama con l’ermellino

L’esame della ricostruzione operata da Cotte con la medesima tecnologia LAM sulla Dama con l’ermellino attesta che, anche nel caso di cambiamenti apportati in corso d’opera, l’identità del “personaggio” conserva i suoi tratti distintivi e piena riconoscibilità – ovvero il suo DNA originale - poiché intento essenziale del Pittore nel ritrarre è proprio quello di operare lo scavo psicologico in profondità, teso a coglierne la personalità e l’”istoria ”, e di fissarne in arte i “moti mentali”. Tale intento primario– evidente nella Dama con l’ermellino - nel caso della Gioconda è contraddetto dalla ricostruzione virtuale della “prima modella” operata da Cotte.

Le immagini dell’esperimento del 2007 diffuse dallo scienziato francese tramite i media intorno al 2014 valgono a confermare la persistenza dei tratti originari della dama milanese e amante del Moro identificata in Cecilia Gallerani: la fisionomia permane inalterata dall’inizio e fino alla fase finale dell’opera, rendendone inequivocabile il riconoscimento, mentre lo sviluppo del ritratto del Louvre documentato con la stessa tecnica conferma la discontinuità a vari livelli e l’ esito finale alquanto differente per quanto concerne segnatamente la fisionomia della modella.

Anche nella Dama con l’ermellino i particolari e i dettagli “parlano” e l’analisi del dipinto nelle tre fasi sotto pubblicate lo conferma: il volto resta identico, ma va sottolineato il cambiamento della posizione della mano sinistra, la quale viene cancellata, riposizionando il braccio e la mano in corrispondenza con l’inserimento dell’animale (in un primo momento mancante) in grembo alla dama. E’ l’animale a subire una trasformazione profonda e per certi versi stupefacente. Infatti, nella fase intermedia di lavorazione, l’animale risulta di colore marcatamente grigio-topo e ha la forma allungata tipica del furetto (una interpretazione freudiana ne assocerebbe la forma a un simbolo vagamente “fallico”); solo nella fase finale compare l’ermellino il quale, a parere dei più, rappresenta l’amante Ludovico il Moro. La mano della dama in un primo momento è più piccola, mentre alfine appare più grande; la forma definitiva della mano, che carezza l’animale in un moto che lascia trasparire un senso di possesso, ne accentua l’aspetto “prensile”. Le modifiche non solo esulano dalla fisionomia della modella, lasciandola invariata, ma valgono pure a confermare l’identità dell’amante Cecilia Gallerani (si ritiene allora incinta), che ha in grembo il simbolico animale (forse l’amante, da poco insignito dall’ordine dell’ermellino, o forse il loro figlio in gestazione).

Fig. 5

Fig. 5, Pascal Cotte, tre fasi della lavorazione della Dama con l’ermellino di Leonardo


Mentre l’intero arco di lavorazione della Dama con l’ermellino attesta della continuità dei tratti fisionomici della modella, pure le varianti apportate in alcuni particolari e dettagli valgono a supportare più efficacemente l’identificazione della donna, offrendo a tal fine apporti concreti e simbolici. All’opposto, il processo di lavorazione della Gioconda ricostruito dallo stesso Cotte mette in luce un percorso caratterizzato da discontinuità, o meglio da una frattura della continuità che prende forma in una palese differenza delle “due fisionomie precedente/successiva”. A delineare tuttavia una “discontinuità relativa” sta il fatto che tutti i particolari e i dettagli del ritratto del Louvre vengono preservati inalterati, come se la “trasmutazione” della modella non alterasse i termini della “istoria” in cui era stata inscritta, nella quale il paesaggio e altri minimi aspetti dello sfondo, come accade in ogni dipinto di Leonardo, sono portatori di un significato.

Per quanto concerne la natura dell’intervento operato sulla fisionomia originaria, lo studio Ogni dipintore dipinge sé, (supportato dall’esperimento della Schwartz e da una vasta bibliografia mirata), evidenzia un processo di proiezione automimetica nella trasformazione del volto soggiacente in quello della Gioconda. La “mutazione per automimesi” della “prima modella”, unitamente alla conservazione di tutti i particolari e i dettagli preesistenti, riconduce all’idea di una “discontinuità relativa”, come se l’”istoria” che il Pittore aveva sovrascritto non fosse estranea all’”istoria” originaria da lui ritratta ma conservasse un filo di continuità con essa. La definizione “discontinuità relativa” è usata per designare la metamorfosi impressa per “automimesi” dal Pittore nella modella originaria e lo scarto temporale in cui si realizza il “mutare delle forme in corpi nuovi” (la citazione dell’attacco delle Metamorfosi di Ovidio non è casuale, poiché era uno dei libri più cari a Leonardo).

L’idea di “discontinuità relativa” sopra definita comporta un superamento dell’interrogativo se la modella originaria del dipinto sottostante sia la Gioconda stessa in una fase antecedente di lavorazione del ritratto (come sostiene Kemp) o sia invece un soggetto del tutto diverso (come ritengono Cotte e Graham-Dixon). In questa nuova ottica, tra il ritratto sottostante e la Gioconda si instaura una relazione complessa, in cui l’identità originaria e l’istoria della prima donna si intrecciano con la fisionomia e la storia della modella del Louvre. Nel tentativo di rintracciare indizi significativi e la trama della storia segreta della modella e del quadro, assume importanza la messa a fuoco di particolari e perfino di dettagli apparentemente secondari - come ad esempio l’acconciatura, l’abito, l’aggiunta del velo, l’assenza della vera nuziale, la sedia a pozzetto ecc. – in quanto sono da assumersi come portatori di informazioni facenti capo a un determinato contesto ambientale, storico e biografico e all’”istoria” del soggetto femminile che Leonardo ha inteso fissare nel ritratto.

Tralasciando di fare riferimento alla tesi di cui sono autrice (che identifica la Gioconda tramite documenti storico-biografici e la localizzazione dello sfondo, e che rende conto delle informazioni ricavabili dall’analisi dei suddetti minimi dettagli), al fine di contribuire a far luce sulla storia a tutt’oggi oscura del quadro, ritengo non vada omessa la pubblicazione di alcune immagini ed elaborazioni grafiche frutto della ricerca svolta: tali informazioni mettono concretamente in dubbio la “fiorentinità” assegnata dalla tradizione alla Gioconda. Trattasi di elementi oggettivi e visivamente verificabili, che convergono nello smentire, sia per il ritratto del Louvre che per quello antecedente poi celato, l’esistenza di tracce che provino l’appartenenza della modella all’ambiente fiorentino.

La radicata e inossidabile convinzione della “fiorentinità” del ritratto è stata condivisa dallo stesso Cotte riguardo la modella del “dipinto sottostante”. La documentazione in immagini riprodotta nel paragrafo Rettificando storici fraintendimenti ed errori è finalizzata a confutare con dati oggettivi la “fiorentinità” tradizionalmente assegnata al quadro. Trattasi di dimostrazione scevra da intenti polemici o strumentali che mirino a far prevalere tesi alternative, in quanto addotta per l’esigenza di apportare elementi utili al conseguimento di una verità storica e artistica a tutt’oggi travisata. La “rettifica” è inoltre soggettivamente necessitata da quella onestà intellettuale che non può essere mai scissa da qualunque approccio scientifico, tanto più nel campo dell’arte.

D’altra parte è stato da più parti sottolineato che la tradizionale identificazione della Gioconda con la fiorentina Lisa Gherardini non è a tutt’oggi comprovata da documentazione necessaria e sufficiente, non solo per le contraddizioni da tempo evidenziate nella testimonianza del Vasari (la cui descrizione diverge completamente sia dal ritratto del Louvre che da quello ad esso sottostante), ma neppure per l’interpretazione malintesa della nota di Heidelberg, che - prescindendo dal rapportare al passo sull’incompiutezza di Cicerone il paragone fatto dal Vespucci tra Leonardo e Apelle - ne travisa il senso (infatti se si rapporta la nota del Vespucci all’epistola ciceroniana, si perviene a sconfessare l’autografia del ritratto di Lisa del Giocondo, mentre per converso è asseverata l’integrale autografia del ritratto del Louvre). In difetto di informazioni univoche e tali da instaurare relazioni certe tra il ritratto del Louvre e la fiorentina Lisa Gherardini, non sussistono neppure elementi probanti che consentano di datare il quadro al 1503, così come tradizionalmente avviene, con una sicurezza ferrea che lascia alquanto interdetti.

Neanche la relazione del de Beatis sul suo incontro con Leonardo a Cloux presso Amboise il 10 ottobre 1517 può sciogliere l’enigma dell’identità della donna del ritratto del Louvre. In un passo del manoscritto cartaceo originale autografo XF28 conservato presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, contenente le annotazioni in rosso apposte in margine dal de Beatis, il canonico di Molfetta scrive di un ritratto di donna fiorentina commissionato a Leonardo da Giuliano de’ Medici, e né Lisa Gherardini né nessun’altra delle candidate proposte dalle tesi alternative più accreditate certificano di possedere tale duplice requisito (l’essere fiorentina e amante di Giuliano). Peraltro – obiezione che non mi risulta esplicitata da altri prima - mancano le condizioni per porre in relazione il ritratto femminile di Leonardo citato nel diario del de Beatis con la Gioconda del Louvre: nessun documento o testimonianza sta a provare una qualche relazione tra i due ritratti; non esiste l’ atto di vendita da parte di Leonardo del ritratto citato dal de Beatis né un lascito testamentario, né un inventario o rogito notarile che consentano una documentata connessione tra la Gioconda e quel ritratto. Alfine soltanto l’atto che attesti la commissione del quadro (descritto in forma pienamente riconoscibile) e certifichi i suoi passaggi fino al Louvre potrebbe sanare la situazione anomala creatasi in base a documenti e dati conoscitivi insufficienti, che ha condotto a recepire conclusioni non scientificamente fondate sull’opera d’arte più famosa e più indecifrabile del pianeta e a cristallizzarle in un incrollabile paradigma.

Nell’elenco a seguire sono indicati alcuni fraintendimenti ed errori consolidati che, in mancanza di confutazioni, vengono generalmente accreditati, finendo con lo sviare le ricerche della verità storica ed artistica sul ritratto più celebrato di Leonardo.



Rettificando storici fraintendimenti ed errori

A) Prima rettifica: non vi è nulla di specificamente fiorentino nell’acconciatura.

Infatti, così come per la Gioconda (che porta i capelli sciolti coperti da un velo), la pettinatura del ritratto antecedente non è riferibile a una “moda fiorentina”. La prova è data dal Ritratto di Isabella d’Este di Leonardo conservato al Louvre. Evidentemente tale pettinatura era dettata da una moda diffusa all’epoca in molte corti della penisola.

Fig. 6 Fig. 7

Fig. 6 e Fig. 7, Leonardo, Ritratto di Isabella d’Este (1499-1500), Louvre

B) La semplicità dell’abito e la mancanza di gioielli non può essere addotta a riprova dell’appartenenza della modella ad un ambiente fiorentino non aristocratico.

Anche in questo caso vale il raffronto con il ritratto di Isabella d’Este, la quale, pur essendo marchesa e appartenente a una delle più potenti e prestigiose figure della nobiltà dell’epoca, è raffigurata da Leonardo con un abito sobrio (dal taglio quasi “spoglio”, analogo a quello della Gioconda), e compare del tutto priva di ornamenti preziosi.  

Fig. 8

Fig. 8

 

C) Il ricamo sulla scollatura non solo non è tipicamente fiorentino, ma riconduce alla moda sforzesca dei vinci in auge nel primo soggiorno milanese di Leonardo.

Fig. 9
Fig. 9

L’elaborazione grafica di Ugo Cappello effettuata sulla base della mia ricerca sui nodi vinciani e pubblicata in due libri (Glori-Cappello, Savona, 2011/2012), consultabile anche on line, prova con un esperimento scientificamente verificabile e ripetibile che il ricamo sulla scollatura della Gioconda - che è identico a quello della modella originaria dipinta nel “ritratto nascosto” scoperto da Cotte - è strettamente legato all’ambiente della corte sforzesca, in quanto riproduce i vinci sforzeschi. La verifica scientifica di tale ipotesi è riscontrabile nell’elaborazione grafica di cui sopra, che sintetizza visivamente l’analisi da me effettuata sul nodo dell’Incs. 9596b della Biblioteca Ambrosiana di Milano, databile nel secondo quinquennio del 1490: il ricamo sulla scollatura – come si può constatare - è la risultante dell’assemblaggio di tre precisati motivi presenti nel nodo vinciano in questione.

 

D) La sedia a pozzetto su cui siedono sia la Gioconda che la modella virtuale del “ritratto antecedente” non è – come si sostiene – un modello tipicamente fiorentino. 

Fig. 10 Fig. 11

Fig. 10, Sedia a pozzetto: Ritratto precedente ricostruito da Pascal Cotte, e 
Fig. 11, Sedia a pozzetto: La Gioconda

La sedia a pozzetto dipinta da Leonardo non è tipicamente fiorentina, ma il suo modello corrisponde a quello in uso nelle camere signorili della penisola nel XV secolo (inclusa la corte milanese). Altro sarebbe il discorso se – anziché di un esemplare comune - si fosse trattato di un esemplare raro e documentato, e perciò riconoscibile, del tipo di quello di fine XV secolo esposto al Museo Horne di Firenze, particolarmente caro al fondatore Herbert Percy Horne,

Fig. 12

Fig. 13, Il celebre pozzetto a sedile raro, del tutto differente, esposto al Museo Horne di Firenze

CONCLUDENDO. Il paragrafo Rettificando storici fraintendimenti ed errori, nel dare un contributo in chiave “destruens” relativamente all’ identificazione della Gioconda con la modella fiorentina Lisa Gherardini, si fa portatore di una “pars construens”, ponendo in evidenza alcuni dati ed informazioni oggettivamente verificabili tramite una rassegna di immagini.

 

Si può osservare che le uniche varianti apportate al “ritratto nascosto” consistono oltre che nella trasformazione della fisionomia della modella, nelle modifiche apportate all’abito, le quali tuttavia ne preservano la sobrietà, lasciando inalterato il ricamo rivelatore alla scollatura. La componente auto-mimetica che traspare dalla fisionomia della Gioconda e il mantenimento dei vinci sforzeschi sulla scollatura, unitamente alla conservazione degli altri particolari e dettagli del quadro, attestano di una “discontinuità relativa”, che induce a escludere una sostituzione tout court, potendosi fondatamente ipotizzare una relazione tra la modella originaria celata e quella del Louvre che sottende la reciproca appartenenza ad una storia. D’altra parte il lavoro in arte di Leonardo pare incompatibile con comportamenti stereotipi o banali, quali il riciclo tout court di un suo dipinto o peggio del “materiale d’uso”, poiché, oltre a testimoniare in ogni suo ritratto la cura per la “profondità” e la dimensione simbolica, in quanto uomo del Rinascimento assegnava valore irrinunciabile al significato.

Pertanto alla domanda: “la modella del ritratto sottostante è la stessa modella del ritratto che conosciamo come la Gioconda o è un soggetto diverso?” è possibile tentare una risposta non priva di fondamento. Il Pittore, a partire dal volto originario, ha operato una profonda trasformazione, tramite un processo di automimesi (circa l’automimesi in Leonardo si rinvia all’esauriente studio citato Ogni dipintore dipinge sé, in Academia edu.) Paradossalmente la prima modella ricostruita in vitro da Cotte, rispetto alla Gioconda viene ad essere quella più “reale”, essendo stata ritratta ab origine e presumibilmente dal vivo o a memoria dal Pittore, mentre la Gioconda – frutto di sopraggiunte procedure di automimesi – assume ora ai nostri occhi una inedita connotazione virtuale. Tra le due fisionomie non vi è mera sostituzione, bensì una complessa trasmutazione che adombra una storia: una storia complessa che ricomprende la biografia e la vicenda personale della modella, le motivazioni per noi sfuggenti della rielaborazione automimetica su di essa operata, la storia del quadro e la vicenda biografica dello stesso Leonardo. E questa storia, bisogna riconoscerlo, è ancora avvolta dall’enigma.

 

 

OMISSIS : Parte terza:Il “tema del tempo”….

 

NOTA - Riferimenti bibliografici in via di definizione per la pubblicazione dello studio integrale