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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Eduardo Paolozzi a Berlino, lots of fun!

Fig. 1

Eduardo Paolozzi è stato tra i più produttivi e vulcanici artisti del secondo dopoguerra, un maestro curioso, infaticabile e, a quanto si legge nelle sue biografie, generosissimo e vitale nei rapporti umani e famigliari. Pittore e scultore se si usano i termini tradizionali, di fatto uno straordinario creatore di montaggi bidimensionali e tridimensionali, Paolozzi era nato nel 1924 in Scozia e visse gran parte della sua vita a Londra, dove morì nel 1905. Viaggiatore e borsista, soggiornò spesso in Francia e Germania, dove entrò in contatto con i maggiori artisti del Novecento, in particolare con i surrealisti. Nell’opera di Paolozzi si può quasi sempre trovare una traccia, uno spunto o una trovata tecnica connessa con il nonsense dadaista o con la poetica spiazzante del Surrealismo; i suoi riferimenti storici o attuali sono stati sicuramente Picasso, Duchamp, Ernst, Brancusi, Giacometti e i primi artefici dadaisti del fotomontaggio. La personale combinazione che Paolozzi riuscì a trovare sin dagli anni Cinquanta è frutto di una volontà creatrice innovativa, multiforme e in qualche modo impetuosa, energica, spesso travolgente.

Personalità di successo e di chiara fama, insignito del titolo di Sir dalla corona inglese, Paolozzi fu protagonista di numerose mostre in vita e di molte altre dopo la sua morte; l’ultimo allestimento londinese nella primavera del 2017 presso la Whitechapel Gallery è approdato alla Berlinische Galerie dal 9 febbraio al 28 maggio 2018 con il titolo EDUARDO PAOLOZZI, LOTS OF PICTURES – LOTS OF FUN. L’artista scozzese amava la Germania, in particolare Monaco dove soggiornò ripetutamente e svolse attività di insegnamento, Amburgo, e Berlino, in cui nel 1974 e 1975 lavorò intensamente, lasciando tra l’altro un grande murale sul retro di un palazzo oggi distrutto (riprodotto qui su una delle pareti del museo). Poco citato e ricordato in Italia, Paolozzi - che pure era chiaramente di origini italiane, per l’esattezza ciociare - è tra gli artisti chiave del dopoguerra ed è sicuramente più interessante, per carriera, per produzione, e per qualità generale, del forse sopravvalutato Richard Hamilton, del quale fu amico e compagno in varie associazioni, nel limitato periodo della Pop Art britannica.

Fig. 3

Generalmente, quando si parla di Pop Art si pensa subito a Warhol e a Lichtenstein, poi ci si ricorda che in realtà il movimento nacque in Gran Bretagna e si cita appunto il celebre fotomontaggio di Hamilton del 1956, Just what is it that makes today's homes so different, so appealing?, trascurando il contesto in cui Hamilton lavorò. Anche la Berlinische Galerie cade parzialmente in questa trappola, ovviamente per motivi di pubblicità, e propone come manifesto della mostra una delle poche cose di Paolozzi (Fig. 3) che richiama esplicitamente Hamilton, e che inoltre - con il disegno di un membro virile - sembra sottintendere contenuti vagamente scabrosi. Sono allusioni inutili e devianti da parte dei curatori, che finiscono per sottrarre qualcosa alla qualità notevolissima dell’esposizione. Infatti, le opere di Paolozzi affini al pop internazionale sono relativamente poche, e di contenuti scabrosi qui non c’è proprio traccia; appare semmai evidente l’attribuzione allo scozzese della vera primogenitura della Pop Art, viste le sue creazioni decisamente rivoluzionarie datate nell’immediato dopoguerra (primato che peraltro gli è già stato concesso da alcuni storici dell’arte).

Dopo una sala di ingresso delimitata - ma solo sino al 26 febbraio - da una parete in lamiera e da un colossale pendolo-flagello fatto di cinture di Monica Bonvicini, la Galleria berlinese ospita nelle sue grandi sale centrali un numero rilevante di opere di Paolozzi, tra cui sono fondamentali i pezzi di scultura (Figg. 4 e 5). Tale fu in realtà la vocazione primaria del maestro, e ad essa sono legate le sue opere più universalmente visibili, come le numerose statue nelle piazze di Londra, tra cui è notissima la reinterpretazione in bronzo del Newton di William Blake davanti alla British Library. Il gusto fantascientifico, futurista, potremmo dire meccanicista di Paolozzi si manifesta al meglio in questi fantasiosi assemblaggi di forme ora umane, ora meccaniche, che nella mostra berlinese si manifestano in opere di acciaio, bronzo, alluminio, riproducenti in un unico materiale i modelli compositi generati dalla fantasia dell’artista. Non può esserci modo migliore per intuire nel Paolozzi degli anni Cinquanta, come in quello di tre decenni dopo, un impressionante anticipatore di tendenze Pop, o informali, o materiche, o postmoderne.

Fig. 4   Fig. 5

Alla base di tutto resta comunque il Surrealismo, che del resto è tuttora vivo e presente nello spirito creativo di personaggi fondamentali per l’arte contemporanea come Damien Hirst, Jeff Koons e Ai Wei Wei. Paolozzi ha visto e ha capito bene cosa è accaduto in Francia e in Germania tra le due guerre e si appropria di un bagaglio culturale intenso, strabordante, esplosivo. Riprende le creature di Ernst, le scomposizioni di Picasso, i giocattoli di Mirò, i paradossi di Magritte, e li mette insieme alle copertine dei giornali e alle immagini del cinema, immagina mondi fantascientifici, costruisce nella fantasia robot e androidi che prendono il posto dell’umanità. Ogni sua creazione è autonoma, può essere una forma di acciaio lucidato o un umanoide fatto di cilindri di alluminio, una sequenza di pezzi di motore o un totem di bronzo che mescola un frigorifero con una caldaia. E’ una nuova mitologia del presente quella che Paolozzi ci presenta ed essa va ben oltre quell’idea di Pop Art che gli si vorrebbe per comodità mettere addosso. Da padre fondatore, l’artista scozzese supera di getto quella concezione e si inoltra in terreni diversi, aperti, del tutto liberi e privi di freni. L’elefantino di Pop Art Redifined (Fig. 6) prende in giro Warhol e sancisce il distacco totale del maestro scozzese dalla vis pubblicitaria degli americani.

Fig. 6

Fig. 6   Fig. 7

Di chiara derivazione Pop sono certamente alcune delle serigrafie esposte, costruite secondo cicli stilistici. Ma dopo i collage di corpi e oggetti colorati, Paolozzi aveva da tempo virato verso scelte di montaggio meno figurative e più complesse, giocando anche qui con i meccanismi, progettista esaltato di congegni impossibili disegnati su strati superficiali. Una serie di dodici immagini si chiama As is When, e cita esplicitamente il pensiero di Wittgenstein, l’ingegnere filosofo che certamente Paolozzi poteva ritenere il più vicino alla sua sensibilità. Ogni stampa include citazioni legate al filosofo austriaco naturalizzato inglese, e lo stesso Paolozzi, scozzese di origini italiane, individuò paralleli tra la propria vita e quella di Wittgenstein, anche lui straniero in Inghilterra, anche lui appassionato di tecnica e di cinema (Figg. 7 e 8).

Un catalogo in tedesco riprende per buona parte il catalogo inglese della Whitechapel, e entrambi sono in vendita nel negozio del museo; tuttavia, vale la pena di cercare altri volumi, tra i tanti dedicati all’artista anche in occasione di precedenti grandi esposizioni. Una visita alla Berlinische Galerie entro la fine di maggio è comunque consigliatissima a chiunque si trovi a Berlino in questa primavera del 2018.

  

Didascalie delle immagini

Fig. 1, La mostra nella Berlinische Galerie. fotografia di A. Bonavoglia

Fig. 2, Ulrich Mack, Paolozzi, Portrait, © Ulrich Mack, fotografia.

Fig. 3, Eduardo Paolozzi, Bunk: Evadne in Green Dimension, 1952−1972 © Trustees of the Paolozzi Foundation, Licensed by/VG Bild-Kunst, Bonn 2018
Fig. 4, Eduardo Paolozzi, Parrot, 1964 © Trustees of the Paolozzi Foundation, Licensed by/VG Bild-Kunst, Bonn 2018

Fig. 5, Eduardo Paolozzi, His Majesty the Wheel, 1958–1959 © Trustees of the Paolozzi Foundation, Licensed by/VG Bild-Kunst, Bonn 2018

Fig. 6, Eduardo Paolozzi, Pop Art Redefined (Lots of Pictures – Lots of Fun), 1971 © Trustees of the Paolozzi Foundation, Licensed by/VG Bild-Kunst, Bonn 2018

Fig. 7, Eduardo Paolozzi, As is When: Wittgenstein in New York, 1965 © Trustees of the Paolozzi Foundation, Licensed by/VG Bild-Kunst, Bonn 2018

Fig. 8, Eduardo Paolozzi, As is When: Wittgenstein the Soldier, 1965 © Trustees of the Paolozzi Foundation, Licensed by/VG Bild-Kunst, Bonn 2018

 

Scheda tecnica

EDUARDO PAOLOZZI, LOTS OF PICTURES – LOTS OF FUN, Berlinische Galerie, Alt-Jacob-Strasse, Berlin. Dal 9 febbraio al 28 maggio 2018.
Ingresso 8 euro, aperta dalle 10 alle 18 tutti i giorni escluso il martedì.

 

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