Le Meduse

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Fig. 1

Le meduse, dall’elegante aspetto, sprigionano un veleno urticante che crea abrasioni e sensazioni urticanti sulla pelle di chi le tocca. Così gli artisti aderenti al movimento omonimo: tramite pitture di indubbio godimento tecnico/estetico, celano al loro interno una sostanza culturalmente urticante che, nel momento del contatto visivo, si sprigiona con l’obbiettivo di “avvelenare” di ragione i sensi del visitatore, di illuminarne la visione delle cose.
Tutto il contesto in cui le Meduse si muovono è costellato di elementi suggestivi e apparentemente non lasciati al caso: la stessa ubicazione della mostra è suggestiva, siamo in corso Buenos Aires 77 nello spazio Open Art, in uno scenario che si dipana tra le vetrine dei negozi di una delle vie principali del centro di Milano, che in questo frangente concede spazio a una nicchia di riflessione.L’entrata della galleria non è proprio visibile a prima vista, e parrebbe quasi fatto apposta, come per dire che se si vuole la qualità ce la si deve andare a cercare, o magari è solo un caso, ma è bello farsi portare anche solo dalla poesia del pensiero.

Dice del gruppo Vera Agosti: “La selezione, cominciata dal settembre 2009, avviene in base a diversi fattori: talento, doti tecniche, sensibilità ed età anagrafica.
L’intento è costituire un movimento che combatta l’isolamento dell’artista, con un maestro a guida di un gruppo di ragazzi più giovani, dove ognuno ha voce in capitolo. Solitudine e incomunicabilità sono i temi degli artisti delle Meduse, con un occhio alle tematiche sociali praticando una costante presenza di elementi atti alla distorsione della realtà, restando comunque nell’ambito dell’arte figurativa”. Si è parlato di godimento estetico: qui ( mostra alla Fabbrica del Vapore del maggio 2010) abbiamo l’imbarazzo della scelta.

Fig. 2Giovanni Cerri è il maestro del gruppo, il veterano, eppure per assurdo è colui che maggiormente manifesta segnali di connessione all'Io bambino. Un disegno su tutti, Le Meduse, dichiarazione sostitutiva, ricorda i quadri malinconici del primo Munch e le atmosfere dell’Espressionismo tedesco. Nei suoi quadri ad olio (Fig. 1) invece ritroviamo la confusione della società odierna, il ricongiungimento quasi a un caos primordiale, passando per la denuncia di temi sociali, una visione simbolista riletta in chiave moderna, un rimando alla Guernica picassiana.

Più legato alla ricerca estetica è invece Andrea Riga, che si concentra sull’incarnato, sul dettaglio, arrivando a rappresentare persino escoriazioni e cicatrici della pelle. Possiamo rileggere in lui la maniacalità della ricerca dermica di Lucian Freud, ma con un indubbio slancio dissacrante in più, un cinetismo narrativo senz’altro differente. Sono così vari i temi trattati: Big Bubble (Fig. 2) raffigura un omosessuale incinto, mentre in Smettila di guardarmi si indaga sulla condizione femminile, e viene prediletta la visione pop della cromia e della stesura del colore.

Maurizio Cariati suggerisce un percorso diverso: parla infatti al pubblico attraverso estroflessioni su tela di juta, riprendendo un po’ il gusto pop di Marco Lodola, ma con un senso prospettico e volumetrico del tutto unici. La juta è di difficile gestione: asciuga presto e nella stesura del colore non ci si può permettere l’errore, e questo senz’altro complica l’esecuzione, ma aiuta la crescita tecnica. L’artista traccia quindi il disegno con un gessetto sulla tela e interviene con la pittura. I volti sono spesso spostati di tre quarti per accentuare la volumetria della figura, mentre i titoli dei quadri sono espressioni di idee più che titoli in sé per sé. Ricordiamo Hei, apri sono io! (Fig. 3), che rappresenta una persona vista dallo spioncino di casa con l’estroflessione atta ad indicare la deformazione dell’ingrandimento della lente.

Anna Madia narra di connessioni romanzesche con i suoi lavori: si ispira infatti alla protagonista del romanzo I ragazzi dello Zoo di Berlino, Cristiane F. Anna leggendo il libro ritrova nel mondo odierno gli stessi problemi del romanzo degli anni ’80, e li fa rivivere attraverso le sue opere. Da sottolineare a livello di espressività il quadro Icona Rossa II , dove ritroviamo la giovane Christiane dolce, giovane, con lo sguardo abbassato e distaccata dalla realtà, con il volto trattato pittoricamente con pennellate tenui e morbide. L’artista compie una ricerca esistenziale, con una forte attenzione per i mali sociali e l’attualità, il tutto paFig. 3ssando attraverso una rappresentazione formale che evoca la delicatezza post-impressionista.

Da un’artista dolce si passa ad uno aggressivo, duro, che fa della sporcatura dell’immagine un imperativo. Parliamo di Lorenzo Manenti, che negli anni più recenti ha sviluppato una passione per il Medio Oriente. Partendo da un disegno preciso e definito, Manenti completa e rovina i suoi lavori, una storpiatura che evoca le atmosfere care a Francis Bacon, esprimendo una sorta di nuovo ciclo del graffitismo, una sporcatura sociale non più fatta con rabbia ma con raziocinio e metodicità. Si può trovare in mostra un’installazione dal titolo Lost Iraq (Iraq perduto), inerente alla guerra in atto nel paese asiatico (Fig. 4). Una costruzione molto rigorosa e di grande impatto visivo, con un video montato con spezzoni presi da youtube e un altare laico, il tutto a far da sfondo a piccole figure antropomorfe atte a voler indagare le ragioni della guerra come silenziosi testimoni. Le atmosfere evocate paiono quasi una rievocazione degli antichi totem Maya, e lasciano sensazioni miste tra paura e riflessione.

A proposito di totem chiudiamo la rassegna degli artisti presenti in mostra con Jaya Cozzani. La ragazza di origini indiane compie un lavoro prettamente introspettivo tramite l’uso di video; Quello che ci portiamo dentro e dietro, ripercorre le orme di Warburg, riproponendo un atlante della memoria visiva, un palazzo costruito in legno con una porta che ci permette di accedere al regno della memoria. Ai vari piani si aprono finestre video atte a denunciare la massificazione della società, dove la perdita di identità dei singoli richiama quella di interi popoli, a simboleggiare come fenomeni quali la globalizzazione e la tecnologia portino sì vantaggi commerciali ma aumentino a livelli preoccupanti l’indifferenza umana. Questo percorso è una riproposizione in chiave orientale di alcuni progetti che già Alfredo Jaar fece per il Sud America, uno su tutti la Camera chiara, dove un piano del Museo d’arte contemporanea di Caracas veniva popolato dalle foto di cittadini intenti a raccontare la propria intimità: si rivede dunque, con l’artista, una richiesta di costruire nuove memorie sociali.

Fig. 4Le Meduse vogliono far emergere l’anima nera che si agita negli uomini determinando le loro azioni e le loro responsabilità” afferma la curatrice della mostra, e il fascino dell’evento sta nel fatto che questo intento venga percepito sistematicamente in tutti gli artisti, attraverso”autostrade emotive” composte da percorsi ognuno diverso ma tutti convergenti verso un’unica meta.

L’essenziale è invisibile agli occhi” diceva Saint Exupéry nel Piccolo Principe, ma le Meduse sembrano rispondere “ Sì, ma l’essenziale è suggeribile attraverso gli occhi, a questo non si era pensato? Non c’è problema, risolviamo noi”, e tutto pare indicare che i prossimi capitoli di questa avventura artistica saranno sempre più avvincenti.

Didascalie delle immagini

Fig. 1, G. Cerri, Gomorra-L'Altro Eden, olio, 2008
Fig. 2, A. Riga, Big bubble, acrilico su tela, 2008
Fig. 3, M. Cariati, Hei apri sono io!, acrilico su juta estroflessa, 2008

Fig. 4, L. Manenti, LOST IRAQ, materiali vari, videoclip in loop, 2008-2009