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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Un tram che si chiama desiderio, di Antonio Latella

Nel disturbante allestimento di Latella di Un tram che si chiama desiderio, tutto ha inizio con la fine, con la follia di Blanche introdotta dal suo medico che, in funzione di narratore esterno alla vicenda, accompagna il pubblico negli inferi di una storia che viene rievocata dall'interno, da come l'ha percepita la sua paziente. Il palcoscenico irradia una luce accecante, quasi insopportabile alla vista, e a malapena si riesce a distinguere l'accozzaglia di oggetti che ingombra l'avanscena. Mobili inutilizzabili, microfoni, cavi, proiettori, altoparlanti e fari di varie dimensioni concretizzano il groviglio delle ossessioni della giovane protagonista e dichiarano guerra ad una rappresentazione realistica della sua storia. Eppure, nonostante lo straniamento sia sforzato all'eccesso, le verità esplosive celate nel testo, catturano l'immaginario e la coscienza, provocando un coinvolgimento totale, quasi adrenalinico.

Dunque non c'è nulla che rievochi la New Orleans dei basifondi sfasciati del Dopoguerra e l'arrivo della aristocratica Blanche Dubois nella casa ai Campi Elisi dove vive sua sorella Slella con il marito Stanley, è descritto con cura dal dottore che, dopo aver ricostruito in modo quasi didascalico l'ambiente, agisce da grande demiurgo della scena chiamando per nome i personaggi e imboccandogli le batture che loro ripetono quasi meccanicamente. Più tardi agirà anche da coro greco, a mano a mano che i personaggi acquistano una graduale autonomia. Soprattutto all'inizio, i piani della realtà e della finzione vengono apertamente giustapposti, per poi sovrapporsi nel corso dello spettacolo. Gli attori sono sempre tutti in scena e agiscono sia da performer che da attori veri e propri. Quando uno parla, c'è un'altro che gli porge il microfono, e quando il dottore declina una didascalia, qualcuno ne produce il commento sonoro, compreso il miagolio di un gatto. Ovviamente si cambiano a vista e, mentre l'azione procede verso i suoi vertici più melodrammatici, le magliette pop e i jeans lasciano il posto a costumi che rievocano gli Anni Cinquanta. Si assiste insomma ad un lento materializzarsi della vicenda sulla scena, al suo progressivo focalizzarsi nella mente di Blanche. I dialoghi sono più o meno quelli del testo, ma vengono amplificati al limite dell'urlo, le singole scene dilatate nel tempo, le liti e gli scontri tra sorelle o tra cognati chiosate da rumori deflagranti, le scene di confronto scandite da puntate di luce alternate sui volti dei personaggi al modo del campo- controcampo cinematografico.

Non c'è analisi dei sentimenti, ma una sovraesposizione di stati d'animo alterati. Per Blanche la stamberga è una specie di Casa Usher e le scene di sesso brutale consumate nel recinto del letto sfondato sono quelle partorite dalla sua fantasia malata. Sono immagini a dir poco ripugnanti che mostrano una Stella aggrappata alla spalliera del letto, vestitino attillato stelle e strisce, che ancheggia da sola al ritmo forsennato della musica rock, o che si passa tra le gambe un microfono che amplifica i sospiri. Ma la violenza scoppia in modo ancor più doloroso nella definizione del contrasto tra il mondo di bugie in cui si rifugia Blanche (fatto di principi azzurri inesistenti e di bauli carichi di pellicce) e quello di una realtà sociale dominata dal profitto. La questione della tenuta di famiglia che Blanche si è lasciata sfuggire dalle mani acquista un risalto centrale e provoca le reazioni più brutali di Stanley, che si arroga il diritto di controllare i beni patrimoniali della moglie a forza di botte. Ne viene fuori l'immagine di un America che stritola l'individuo nel perseguire il suo sogno dorato, un'America pseudo puritana, dominata dai vizi dell'alcol e del gioco, che taglia fuori la romantica Blanche per la sua presunta ninfomania (la donna ha perso il suo lavoro di insegnante per aver molestato uno studente). La scena si costella di icone pop che commentano in modo ironico e anche auto-ironico, le contaddizioni del paese, dall'enorme vaso di pop corn che Stella porta in scena per il compleanno di Blanche, le bottiglie di Coca-cola, le magliette stampate con il volto di Marlon Brando o con un teschio ritagliato sulla bandiera statunitense. Stass, brillantini e paillettes di ogni tipo baluginano nel chiaroscuro della scena al ritmo forsennato dei Led Zeppelin e dei System of a Down. Tuttavia, al di là delle sollecitazioni visive e sonore, la verità dei conflitti arriva dritta al cuore e allo stomaco, grazie al talento degli attori che, alla faccia di tanto sfoggio di techicologia, rimangono i padroni assoluti della scena. Colpisce soprattutto l'intensità interpretativa di Laura Marinoni (vincitrice di un premio Duse per Le lacrime amare di Petra Von Kant, sempre di Latella) nei panni di Blanche, e quella di Vinicio Marchioni che mette a nudo uno Stanley animalesco e carico di rabbia. Grazie ad un profondo scavo nel personaggio, la Marinoni trasmette con forza il senso di inadeguatezza e la solitudine di Blanche, la s e rende palpabili le sue contraddizioni. Nonostante la presenza ingombrante del dottore (Rosario Tedesco) che a volte le suggerisce i sentimenti che deve mostrare, Blanche è sempre terribilmente credibile, come lo è Stanley che viene privato dal suo interprete del fascino che Brando gli aveva attribuito. A dispetto del film culto di Elia Kazan, il polacco è un tipo che bada al sodo, pratico e primitivo, ma che quando reclama la sua cittadinanza americana, la voce gli si strozza in gola. Stella (Elisabetta Valgol) incarna nei gesti la rassegnata accettazione del suo ruolo biologico di donna appagata e di futura madre della prossima vittima di un sistema implacabile. La si vede che estrae dal pancione di cartapesta manciate di coriandoli dorati, mentre sull'avanscena, Blanche soccombe definitivamente alla sensualità di Stanley.

Violentando il capolavo di Williams, Latella ne restituisce il grido e l'eversività originarie ai contemporanei. Basta rileggere il testo, soffermandosi in particolare sulle didascalie, per capire quanto l'autore stesse trascendendo il realismo che le minute descrizioni di luoghi, oggetti e stati d'animo, sembrano suggerire. In un certo senso, Latella tradisce senza tradire, esaspera e deforma, ma, sostanzialmente, rimane fedele alla sensibilità di Williams nell'esposizione della barbarie sociale e, soprattutto, nel viaggio introspettivo nella follia. Le tre ore di spettacolo sono strazianti perché sembra davvero di partecipare ad un incubo, eppure volano via lasciando gli spettatori costernati, inquieti e divisi.

 

Scheda tecnica

Un tram che si chiama desiderio
di Tennesse Williams. Traduzione di Masolino D'Amico.

Con : Laura Marinoni, Vinicio Marchioni, Elisabetta Valgol, Giuseppe Lanino, Annibale Pavone, Rosario Tedesco. Regia di Antonio Latella.
Scene: Annalisa Zaccheria. Costumi : Fabio Sonnino. Luci : Robert John Resteghini. Suono : Franco Visioli.

Al Teatro Argentina di Roma dal all'11 marzo 2012.

Prossime repliche :

Teatro Stignani, Imola, dal 13 al 19 marzo 2012.

Teatro Sanzio, Urbino, 23 marzo.

Teatro Pergolesi, Iesi, dal 24 al 25 marzo 2012.

Teatro Orfeo, Taranto, dal 27 al 28 marzo 2012.

Teatro Fraschini , Pavia, dal 30 marzo al 1 aprile 2012.

Teatro Alfieri, Asti, il 2 aprile 2012.

Teatro Moderno, Grosseto, il 4 aprile 2012.

Teatro Ambasciatori, Catania, dal 10 al 22 aprile 2012.

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