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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Duramadre, di Fibre Parallele

 

 

L'ombra del modello di Castellucci grava ancora irrisolto su Duramadre di di Fibre Parallele che, a distanza di due anni dal suo debutto al Fast / Festival di Terni, non ha ancora riequilibrato i registri narrativi per acquistare quella potenza espressiva alla quale aspira. Ponderata tuttavia la scelta di riproporre il lavoro al Teatro Palladium, nell'ambito della rassegna Puglia in Scena, perché lo spettacolo regala momenti e passaggi di stupefacente intensità e pregnanza visiva, e reca tutti i segni dell'impegno onesto e costante di un gruppo che, nonostante i riconoscimenti della critica, rifiuta la scorciatoia di più facili meccanismi produttivi.

La scena fortemente allegorica è una sorta di utero claustrofobico, le pareti di un glaciale bianco equoreo, pochi oggetti sparsi in un luogo onirico amniotico. A destra, un tavolo dalle gambe sproporzionatamente alte con sopra la macchina da cucire della grande Madre Meridionale intenta a tessere la tela del destino di tre figli incompleti. Sulla sinistra una casetta su palafitte dove vive segregata la figlia femmina, sparse un po' ovunque, grandi sfere bianche e altre, più piccole, nere che creano una simmetria cromatica con gli abiti scuri appesi sul fondo, in attesa di essere indossati dai cuccioli ignudi.

Intabarrata in un abito nero impolverato, i capelli rossi da megera, la Madre impersonata da Licia Lanera, è, come suggerisce il bisbiglio di una voce fuori scena, " una madre potente e inferma insieme / Una madre di parto e di volere matrigna ". Vecchia, rancorosa e crudele, sbraita una lingua arcaica, un misto di barese, italiano e latino, e la sua voce strozzata e cavernosa grida ordini perentori ai tre cuccioli fuoriusciti da placente di nylon, i corpi nudi imbiancati come fossero ancora bozzoli.
L'incipit impressiona per il contrasto tra la geometria simbolica della scena e la grezza matericità dei corpi imbrattati da grumi di biacca, sputati nel mondo da un ventre arido di madre tellurica, archetipo dell'origine della vita, ma di una vita che scaturisce da un suolo spaccato dalla siccità.

Le parole della Madre esprimono un amore impastato di odio e di una tenace volonà di sopraffazione. Declina i suoi personalissimi dieci comandamenti con voce sguaiata e tuona rimproveri e maledizioni volgari: "Avite fernuto de scassà 'u cazzu ", " Vui avite 'a crepà primma 'e me".

Ma la forza del testo si sgrana nel corso della rappresentazione, dove i movimenti scenici indulgono un po' troppo sulla ripetizione, non senza cadute nell'ovvio e nel didascalico. I figli giocano a palla, ad uno ad uno si lasciano prendere le misure dalla Madre che gli appiccica addosso cartamodelli incompleti, pazientemente la liberano dalle scarpe per massaggiarle i piedi gonfi e doloranti. Ogni gesto si moltiplica puntualmente per tre in modo prevedibile e meccanico e, a volte, i passaggi performativi si dilungano in movimenti superflui, compromettendo la coesione e la tenuta drammaturgica e performativa. L'andamento avrebbe dovuto mantenere un ritmo spasmodico, per trasmettere appieno quell'atroce mescolanza di amore e di desiderio di possedere la vita dell'oggetto amato, che spinge la madre a procurare terribili sofferenze a quei figli proiettati verso una seconda vita, non meno ardua della prima.

Questi figli innocenti, nudi e sottomessi abitano un incubo ma giocano a misurarsi il pene, mentre la sorella, una volta liberata dalla palafitta si scatena inebetita in saltelli frenetici per scaricare una vitalità troppo a lungo inespressa. Sono terribilmente fragili e disarmati e, forse, per niente equipaggiati per affrontare il futuro. Quando la Madre muore, il fondale bianco collassa per svelare la vita che li aspetta, simboleggiata da alberi visibilmente di plastica. E' tutt'altro che un lieto fine.
Come si sa, la Dea Madre nella fase della vecchiaia è la luna che scomparendo getta il mondo nell'oscurità e i quattro giovani, liberati a nuova vita dalla sua morte, avanzano lentamente in proscenio con gli occhi persi nel vuoto. Un epilogo emblematico forte, che tuttavia disorienta perché apre uno squarcio su tematiche precedentemente accennate ma non del tutto sviluppate. La sterile precarietà dell'oggi non trova infatti una compiuta rappresentazione nell'allegoria del mito delle origini.

Licia Lanara si impone con la sua prepotenza espressiva, ma l'archetipo che incarna non riesce ad essere veramente arcaico e brutale. Mino Decataldo, Marialuisa Longo, Simone Scibilia e lo stesso Riccardo Spagnulo, trasmettono sul palco tutta l' energia di cui sono capaci, ma che tuttavia non è la stessa di Furie de Sanghe. La causa è forse da ascriversi ad alcuni cedimenti dell'impianto drammaturgico che in parte allentano la tensione del pubblico.

 

Scheda tecnica
DURAMADRE, di Riccardo Spagnulo.
Realizzazione scene: Mimmo e Michele Miolli. Luci: Giuseppe Dentamaro. Con Mino Decataldo, Licia Lanera, Marialuisa Longo, Simone Scibilia, Riccardo Spagnulo. Voce narrante: Rossana Marangelli. Regia e scene di Licia Lanera.
Produzione FIBRE PARALLELE, in coproduzione con il Festival Internazionale Castel dei Mondi di Andria e il Festival Operaestate di Bassano del Grappa.
Visto al Teatro Palladium di Roma il il 22 marzo 2013.

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