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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Mercuzio non deve morire

Quale sogno ?

Da 25 anni Punzo porta il teatro nelle carceri ed il carcere nel teatro, ed il carcere come teatro-metafora del mondo in faccia al pubblico, nel mondo. Così l’ultimo suo spettacolo – ‘Mercuzio non deve morire’- è nato due anni fa come teatro di strada, a Volterra, e nella sua versione da palcoscenico, al Palladium di Roma (5 - 6 marzo 2013), esplode un poco claustrofobico e costipato, vittima delle strutture sceniche, non potendo farsi, come la strada invasa di pubblico-attore, a sua volta scena di una terzo pubblico.

Ciò che là era disseminato tra la folla, qua si concentra frontale, con qualche coinvolgimento, sì, del pubblico, secondo la retorica plurifocale del teatro sperimentale, ma addensandosi in superfetazione onirico visiva di effetti, nella Babele scomposta e ricomposta di uno spazio angusto. L’invenzione visiva si fa così ostentazione del caos, tra urla ironie concioni, favole surreali scomposte, sul sottofondo vibrante ora di musiche ossessive, ora di litanie operistiche straniate. Tuttavia, pur essendovi un eccesso barocco, un orror vacui (e del resto il leit motiv vita-morte è ricorrente), la frontalità si dissolve continuamente in gorghi surreal metafisici (continuo è il riferimento pittorico – Magritte, Escher, De Chirico, Chagall), in disordini circensi felliniani, in fantasmagorie da carroliano ‘mondo dello specchio’.

I pannelli delle quinte (la città, volti, quadri), accatastati a latere come in un atelier gigante (che rende gli attori tante Alici smarrite nel paese delle dis-meraviglie), vengono continuamente spostati, ad aprire su un retroscena nero, o ad avanzare e incombere soffocanti sull’avanscena, o a creare labirinti in cui perdersi, su un pavimento a scacchi, nel delirio della scissione delle identità.

A sinistra un pianista, su cui troneggia un cartonato gigante fenicottero rosa; a destra uno specchio, luogo di dubbio, interrogazioni, borbottii.

Gli stessi protagonisti, spesso una folla, sono clown assurdi, con megacilindri, con ali o libri giganti sulla schiena, e cortei fantasmagorici di ragazzine vanno e vengono, a mimare l’innocenza ferita. In nero solo i duellanti, Tebaldo e Mercuzio, e le loro controfigure oniriche. E l’affollamento labirintico non è solo visivo. Lo raddoppia la pletora di riferimenti testuali che si accalcano a comporre e scomporre la tesi di fondo, la protesta lirica che muove il messaggio.

Ma questo è il punto. Qual è il messaggio ? La critica sembra concorde nel vedere la petizione social politica incarnarsi in Mercuzio. Mercuzio morto sarebbe la morte dell’arte, della libertà di sognare che in essa si esprime, morte ad opera dell’anestetizzante tecnica dell’indifferenza della matura pseudo-democrazia post o super capitalistica. E i carcerati teatranti sono il Mercuzio che urla il rifiuto alla morte sociale nell’indifferenza.

Metafora predisposta e culminante di questo assunto sarebbe il corteo cittadino, in bianco, che alza mani insanguinate, e che il pubblico deve raddoppiare alzando le proprie mani su cui calza il quanto rosso assegnatogli all’entrata… Tutti colpevoli coscientemente ? Ok. E verso la fine, dopo essere stati coinvolti a campione sul palco a duellare, tutti dobbiamo alzare il libro, sempre dotazione di scena, come a significare la ribellione al male. Si è veramente rotto il diaframma palco-platea ? Non credo. Ben altro effetto faceva per strada, quella folla che levava mani rosse, stretta e accalcata tra i palazzi. E’ una retorica, ma per fortuna c’è altro, persino troppo.

Bisognerebbe chiedersi intanto perché Mercuzio. E se lui è l’arte, quale il sogno?

Certo Mercuzio è vittima della violenza cieca. Ma è anche colui che irride il sogno. I sogni che porta Mab non sono bei sogni. Sono i sogni del militare che spera di ‘tagliar gargarozzi di nemici’; degli uomini di legge che desiderano ‘laute parcelle’. Sono il nulla della vanità soggettiva, non il sogno di vitalità e libertà che lo spettacolo va urlando. Mercuzio in scena polemizza con l’amore lamentoso di Romeo, e con Shakespeare, è geloso della scena rubata. E benché si intesti a ‘ forse ultimo poeta’, Ulisse di una patria perduta, costruttore di città immaginarie alla Calvino – alla fine, citando Majakovskij, mette in guardia dal chiamarlo poeta. Lui è ‘nuvola in calzoni’, poeta della vita nelle sue irrisolte aperture, nella sua follia.

Si dice che la morte di Mercuzio, di colui che sa, permetta a Romeo di divenire cosciente. Ma non è così. Romeo muore nell’incoscienza di un sogno romantico. Forse la vera chiave della scelta di Mercuzio va trovata nella carrellata di controfigure che lo raddoppiano, nella sua folle contraddittorietà amletica, che lo inchioda allo specchio, nelle pause del ridicolo e ripetitivo inscenarsi del destino di duellante. Così vediamo infatti materializzarsi un Otello che, portando in groppa Mercuzio accoltellato (come metaforicamente è stato accoltellato il cuore di Otello), borbotta sulla propria quotidianità con Desdemona. E un Riccardo III, fattosi ingobbito pupazzo vampirico espressionista, che borbotta ‘l’inverno del suo sconforto’, e medita allo specchio. E ancora, Don Chisciotte. Mercuzio è il disperato, colui a cui il sogno dell’amore non è dato, se non come sogno impossibile. E’ Cyrano, condannato alle quinte. E’ il reietto della creazione, il ‘carcerato’, colui che prima di entrare alla festa in cui Romeo incontrerà Giulietta, dice, indossando la maschera, “Che importa adesso se un occhio indiscreto scopre che sono brutto ? Sul mio viso c’è questo brutto ceffo ringrugnito che arrossirà per me.”

Mercuzio è quello che in scena si accovaccia, vinto, in posizione fetale, ai piedi di una gigantografia, lambendola con una mano.

Allora sì, nel suo disperato sdoppiamento, si può accettare anche l’urlo ottimistico di ribellione, il lato più ingenuo e caduco dello spettacolo, a patto di non farsene abbagliare. Allora nel falso pieno dello spettacolo emergono come luminosi i punti di silenzio, smarrimenti, sforamento, labirinti.

E, devo dire, mi colpisce - ricordandomi una tesi critica su una ossessione shakespiriana (l’orecchio) - come campeggi in scena, a simbolo di un altrove dechirichianamente inquietante, un enorme orecchio di cartapesta, a più riprese faticosamente portato in spalla per la scena. L’orecchio del padre di Amleto, in cui fu versato il veleno dallo zio, e l’orecchio di Amleto, in cui si versa il veleno di una impossibile verità e di una impossibile giustizia.

Comunque sia uno spettacolo ricco, forse anche troppo, ricco di ambivalenze, di giochi di specchi. A ben vedere infatti la cifra è quella irrisoria e scivolosa di ‘Alice nel mondo dello specchio’, del gioco del doppio, della ricerca dell’identità e della croce della contraddizione, ben rappresentati dai due poli-cornice della scena.

La musica a sinistra (contraddetta dal fenicottero rosa, forse quello con cui la regina sadica gioca con Alice), come flusso vitale. A destra la paralisi del pensiero, lo specchio. Al centro l’azione e i suoi ingorghi tragici.

 

Scheda tecnica
Mercuzio non vuole morire - La vera tragedia in Romeo e Giulietta, ideazione e regia: Armando Punzo.
Con gli attori della Compagnia della Fortezza: Aniello Arena, Abderrahim El Boustani, Francesco Felici, Alban Filipi, Gianluca Matera, Massimiliano Mazzoni, Rosario Saiello, Massimo Terracciano,Giuseppe Venuto, Edrisa Wadda
e con: Tiziana Colagrossi, Marco Mario Gino Eugenio Marzi, Franceso Nappi, David Pierella, Roberto Raspollini, Francesca Tisano
e la partecipazione dei giovanissimi: Amelia Brunetti, Gregorio Mariottini, Andrea Taddeus Punzo de Felice, Tommaso Vaja.

voce: Anna Grazia Benassai, trombone: Fabiano Fiorenzani, musiche originali eseguite dal vivo: Andrea Salvadori, con la partecipazione straordinaria del contraltista: Maurizio Rippa, e gli interventi aerei di: Mattatoio Sospeso, Marco Mannucci e Alessandra Lanciotti.
ideazione scene e ambientazione: Alessandro Marzetti, Silvia Bertoni, Armando Punzo
costumi: Emanuela Dall’Aglio
musiche originali e sound design: Andrea Salvadori
aiuto regia: Laura Cleri
movimenti: Pascale Piscina
video: Lavinia Baroni
collaborazione alla drammaturgia: Alessandro Bandinelli, Giacomo Trinci, Lidia Riviello
bozzetti di scena: Silvia Bertoni
direzione allestimenti: Carlo Gattai, Fabio Giommarelli
disegno luci: Andrea Berselli
suono: Alessio Lombardi


 

 

 

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