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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

La solitudine del maratoneta, secondo Nicola Pistoia


Non è certo impresa facile adattare per la scena La solitudine del maratoneta di Alan Sillitoe, un romanzo breve in forma di monologo drammatico retrospettivo. dove le riflessioni del detenuto Colin Smith si alternano ai suoi ricordi assecondando un ritmo narrativo non dissimile a quello della corsa. Veloce e indisciplinato, il racconto del maratoneta passa dagli sfoghi di rabbia al ragionamento disteso, dall'umorismo macabro di quando rievoca il momento del suo arresto, al ricordo struggente di quando, vicino al traguardo, si lascia sorpassare da un altro.

L'adattamento teatrale e il taglio registico di Nicola Pistoia smembrano il monologo in una pièce decisamente corale, con tre attori simultaneamente costretti in una scena oberata di oggetti. Lo spazio decisamente claustrofobico contiene una brandina inclinata sulla destra, un tavolo con due sedie al centro sormontati da un lampadario con i bracci sottosopra, una stufa sulla sinistra e un appendiabiti sullo sfondo per i cambi di costume a vista. Strutture lignee alla Ceroli si fanno largo tra gli arredi. Il maratoneta di sdoppia in due, il Colin narratore ben vestito (Alfredo Angelici), e il suo doppio in calzoncini e canottiera (Dimitri D'Urbano) e, come se non bastasse, la sorella in carne e ossa (Antonella Civale) sopraggiunge in scena per interagire con i due. Rievocano l'ubriachezza del padre operaio, l'infanzia trascorsa davanti alla tv, la madre spendacciona che riduce la famiglia in miseria. Il flashback si traduce in azione scenica tanto tangibile da perdere la fugacità incorporea del ricordo.

Più che al testo di Sillitoe, l'adattamento sembra ispirarsi al film "Gioventù, amore e rabbia " di Tony Richardson, dove l'ordine cronologico viene spezzato da continui flashback sulla vita di Colin prima di essere rinchiuso nel riformatorio di Borstal. Eppure Pistoia libera la scrittura di Sillitoe da quella profonda coscienza di classe che tutta la pervade, decontestualizzando in parte la vicenda dal quadro sociale del proletariato inglese degli Anni Cinquanta. L' urlo di protesta contro l'ottusità del sistema viene semmai forzatamente diretto al regime politico attuale nostrano. Operazione legittima che, tuttavia, rischia di far perdere di vista la forza drammatica della solitudine del protagonista come forma assoluta e definitiva di rifiuto del potere.

Il maratoneta di Alfredo Angelici oltre a non essere più solo, appare troppo scisso tra ciò che era ai tempi della cattura e ciò che è diventato. L'assunzione di più ruoli (il direttore del riformatorio, il poliziotto), i continui sdoppiamenti d'identità nei dialoghi, e il frequente passaggio dalla prima alla terza persona, di fatto frantumano il personaggio al punto di impedirne lo sviluppo nel corso della performance. Il racconto di Silletoe inizia in prigione e termina prima del rilascio di Colin, lasciando intendere che il maratoneta non è stato riformato dall'esperienza in carcere e che il suo futuro è un punto interrogativo. La problematicità del testo viene in parte semplificata e, soprattutto, la complessità del personaggio viene svilita. Il Colin di Angelici è sicuro di sé dall'inizio alla fine, tanto che si stenta a credere che "l'altro" sia il suo doppio. Parla con veemenza e con l'impeto scatenato dall'odio nei confronti del Direttore, dei polizotti e del sistema in genere, ma il tono, oltre ad essere monocorde, appare, in certi punti, troppo declamatorio. Colin in realtà conduce la sua lotta tra sé e sé, non è un giocatore di squadra, ma un solitario che trova la sua libertà nella corsa. Lo sport è il suo strumento per minare l'autorità e il suo riscatto. Non si lascia riformare dalla pratica sportiva, non sta al gioco del direttore, ma lo combatte trasformando l'imposizione di una disciplina in una fuga verso la libertà. Tutto questo si evince dallo spettacolo, ma quello che non passa al pubblico è la dimensione interiore del personaggio che Sillitoe scolpisce attraverso frasi che si imprimono nella memoria: " I'm a ghost who wouldn't know the earth was under him if he didn't see it now and then through the mist".

Con i suoi limiti, lo spettacolo, tuttavia, funziona, grazie al ritmo registico serrato e spedito, sostenuto da una serie di trovate scenche ironiche e da una efficace orchestrazione delle azioni, spesso giocata sulla simultaneità. Un ottimo gioco di squadra, in cui spicca 'interpretazione dell'esordiente Dimitri D'Urbano e la coesione del gruppo. Un gioco di squadra, tuttavia, che non lascia mai solo il maratoneta.

 

Scheda tecnica

La solitudine del maratoneta, di Alan Sillitoe. Regia di Nicola Pistoia.

Adattamento di Nicola Pistoia. Scene: Morena Nastasi. Costumi: Sabina Solimando. Disegno Luci: Pietro Sperduti.

Con Alfredo Angelici, Antonella Civale, Dimitri D'Urbano.

Al Teatro Argot di Roma dal 23 aprile al 12 maggio 2013.

 

 

 

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