Statistiche dal 2010

Visite agli articoli
4406003

Abbiamo 364 visitatori online

Cerca nel sito

Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile la "libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".


Iscriviti al nostro
canale WhatsApp
sul cellulare

 - Nuova informativa sui cookie -

 


Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Hedda Gabler sotto la lente di Thomas Ostermeier


Sebbene d'impianto tradizionale, l'allestimento di Hedda Gabler di Ostermaier trapianta il capolavoro ibseniano nel terreno accidentato del ventunesimo secolo in modo assolutamente radicale. A un anno di distanza dalla sua versione di Casa di Bambola (2004), il regista prosegue la sua lucida analisi del teatro di Ibsen mettendo in luce le ambiguità di Hedda e costringendo lo spettatore a osservare dal di fuori una complessa dinamica di comportamenti umani che non tollera interpretazioni univoche e che, soprattutto, impone la sospensione del giudizio.

La piattaforma girevole di Jan Peppelbaum, sovrastata da un enorme specchio, permette una visione simultanea dall'alto di ciò che accade nei vari ambienti dell'appartamento ultramoderno dei Tesman. Una immensa vetrata di modulari scorrevoli separa l'algido salotto dal design essenziale da una veranda oscura. L'interno borghese di Ibsen diviene una grande teca trasparente, dove un gioco di luci fredde cattura solitudini abissali, una metafora scenica della noia che immobilizza una Hedda Gabler insolita, ma terribilmente vicina a quella concepita da Ibsen.

Il corpo androgino, il volto diafano e lo sguardo opaco della giovane Katharina Schuttler esprimono l'inquietudine, l' insoddisfazione e l'altezzosa apatia di una donna bambinesca e viziata che non trova un senso alla proria esistenza. Gli abiti moderni azzerano la differenza di classe, ma i suoi gesti e il suo modo di relazionarsi con gli altri tradiscono la diversità di stile che separa la figlia snob di un generale aristocratico dai borghesi mediocri che la circondano. A partire dal goffo e noiosissimo marito che aspira ad una carriera accademica della quale non è all'altezza, per passare al subdolo avvocato Brack (nel testo è un consigliere) che le propone di intrecciare una relazione a tre, fino al debosciato Lovborg che si illude di scrivere libri geniali per redimersi dal vizio dell'alcol e dalla passione per i bordelli.

L'impeccabile recitazione, sostanzialmente naturalistica e volutamente sottotono, attutisce i conflitti verbali conferendo un tono di casuale spontaneità anche alle discussioni più scabrose. Il sottotesto si traduce nel gesto, nelle occhiate d' intesa, nei silenzi o negli improvvisi e rari sfoghi di rabbia implosa. La caratterizzazione dei personaggi che orbitano intorno alla protagonista tende significativamente verso una certa omologazione dei comportamenti, visibilmente accentuata dall'uso di cellulari e di laptop.

L'azione è secondaria, come del resto lo era per Ibsen, rispetto allo scavo negli abissi dell' infelicità e della paura di vivere. Ostermaier punta molto sulle relazioni corporee, sulla prossemica e sulla disposizione degli attori nello spazio per analizzare le dinamiche relazionali che, a loro volta, esprimono, ancor più delle parole, le ossessioni dei personaggi. L' ambizione di Hedda ad annoiarsi a morte è raccontata dalla sua tendenza a sdraiarsi mollemente sul divano o dal suo guardare spesso nel vuoto, mentre la sua ennui viene spesso ritratta nella sua immagine riflessa sul vetro. La sua contraddittoria femminilità si esprime attraverso una gestualità un po' gattesca e sensuale che tuttavia tradisce il terrore del contatto fisico. Il suo disperato tentativo di controllare la vita degli altri trova un corrispettivo scenico nel suo volersi sedere tra Lovborg e la signora Elvsted, colpevoli di un sodalizio che lei non riesce a stringere nemmeno con se stessa, o nel suo puntare la rivoltella contro Brak e Lovborg. La sua infantile perversione viene enfatizzata da compulsive prove di tiro al bersaglio a danno dei vasi di fiori.

Le didascalie ibseniane vengono ovviamente reinterpretate, ma l'adattamento drammaturgico di Marius von Mayenburg rimane sostanzialmente fedele all'originale, a parte qualche leggero taglio trasversale e l'eliminazione della cameriera Berta. Lo sfoltimento esalta i nodi centrali del dramma e la contestualizzazione nell'oggi ne rivela la problematicità e l'insita modernità.

Invece di bruciarlo nella stufa, Hedda distrugge il testo di Lovborg sfasciando a martellate il portatile che ne contiene i file, il sex club dove Lovborg trascorre una notte brava è frequentata da prostitute coreane. Ma questi sono dettagli che non cambiano la sostanza del testo. Sono altre le invenzioni registiche che lo centrano nel cuore. A partire dal roteare monotono della pedana ad ogni cambio di scena commentato da canzoni dei Beach Boys, una monumentale metafora scenotecnica della banalità e della ripetitività di un vivere privo di scopi. Al finto tentativo di Loveborg di spararsi alla tempia con il volto spalmato sulla finestra, mentre Hedda l'osserva spaventata. Una trovata grottesca e agghiacciante allo stesso tempo, che fa luce sulle fragilità della protagonista. Lo scrittore fallito sembra prendersi gioco di Hedda che lo vorrebbe indurre al suicidio per farne un eroe della morte. Lei che non ha avuto il coraggio di vivere come avrebbe desiderato, lei che ha accettato il capestro del matrimonio per sistemarsi, ma anche per colmare vuoti insondabili. Ma il colpo da maestro giunge nel finale, con Tesman e la signora Elvsted intenti a ricostruire il libro del defunto Lovborg, attaccando sulle pareti i brandelli del manoscritto stracciato che la donna aveva amorevolmente conservato. Un vano tentativo di ricreare quel figlio dell'intelletto che Hedda, madre mancata, ha cinicamente distrutto e non certo per facilitare la carriera del marito. La pedana adesso gira senza sosta per rivelare una nuova alleanza e una solitudine radicata nel passato. E continua a farlo anche dopo lo sparo, perché nel trambusto generale, il suicidio di Hedda passa del tutto inosservato. Nessuno si precipita nella stanza adiacente per vedere cosa ne è stato di lei. Il suo esile corpo afflosciato a terra e irrigato di sangue lo vede solo il pubblico, mentre gli altri continuano ad affannarsi a vuoto nel salone. Le due ore e mezza di spettacolo, senza intervallo, trascorrono intense e veloci e si esce dalla sala con la sensazione che il dramma ci riguardi e con qualche motivo di riflessione in più sulla problematicità dell'agire umano.

 

Scheda tecnica

HEDDA GABLER, di Henrik Ibsen.

Traduzione in Tedesco: Hinrich Schmidt_Henkel.

Scene: Jan Pappelbaum. Costumi: Nina Wetzel. Musiche originali: Malte Beckenbach. Drammaturgia: Marius von Mayenburg. Video: Sébastien Dupouey. Luci: Erich Schneider.

Con: Annedore Bauer, Lars Eidinger, Jorg Hartmann, Katharina Schuttler, Kay Bartholomaus Schulze, Lore Stefanek.

Regia di Thomas Ostermeier.

Prima nazionale: 24 ottobre 2013, al Teatro Argentina di Roma, nell'ambito di Romaeuropa Festival.

 

abbiamo aggiornato l'informativa sui cookie