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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Il figlio di Saul, di László Nemes

 

 

 

Il figlio di Saul 

Regia: László Nemes

 

Cast: Géza Röhrig, Levente Molnár,
Urs Rechn
, Sandor Zsoter,
Todd Charmont, Uwe Lauer,
Kamil Dobro wolski, Christian Harting

Distribuzione: Teodora Film

 

 

 

 

 

Scomparso nel 2012 all'età di 88 anni, Shlomo Venezia è stato l’unico in Italia, e tra i pochi al mondo, dei superstiti del “Sonderkommando” di Auschwitz-Birkenau, la squadra di lavoro formata da circa 800 prigionieri letteralmente “al servizio della morte”, cioè occupata ad ammassare gli internati nelle camere a gas, strappare i denti d’oro dalle bocche dei cadaveri, far funzionare i crematori, suddividere e smistare gli averi dei deportati rimasti sui vagoni, bruciare gli oggetti inutili, ecc. Essi stessi erano destinati a morire, e ciò avveniva con matematica precisione ogni quattro mesi.

Ho avuto la fortuna e l'onore di conoscere l'autore dello struggente memoriale Sonderkommando Auschwitz, edito presso Rizzoli (Prefazione di Walter Veltroni), proprio a Cracovia nel novembre del 2008, insieme ad altri sopravvissuti allo sterminio nazista, ai vari rappresentanti della politica, dell'amministrazione capitolina, della Comunità Ebraica, a giornalisti e fotografi, e soprattutto, insieme ai tanti studenti e docenti degli istituti di istruzione superiore della capitale, in occasione del Viaggio nella memoria, progetto del Comune di Roma per le scuole che si ripete ormai da più di un decennio.

Le parole di Shlomo Venezia le porto ancora stampate nella mente: egli inizò a narrare sulla “Bahnrampe”, il punto d’arrivo dei treni all’interno del lager di Birkenau, dove venivano smistati i prigionieri destinati al lavoro (il 25% circa) e i “pezzi” (Stücke) da inviare alla “gassazione”. Il suo racconto, che riprenderà davanti alle rovine del "Krematorium 2", dove venivano asfissiati e arsi fino a 1500 esseri umani alla volta, fu lucido e preciso, ma per ragioni di spazio siamo costretti a riportarne una minima parte. In particolare citiamo l’episodio di un unico neonato rimasto ancora vivo dopo l’esposizione allo Zyklon b (l’acido cianidrico) nelle camere a gas: “Un insistente vagito sotto la solita montagna di corpi nudi che con gli altri compagni ci accingevamo a smaltire ci fece trasalire. Si trattava di una bimba di circa due mesi rimasta ancora attaccata al seno della mamma morta. La portammo al militare tedesco di guardia. Lui le sparò un colpo secco alla nuca, con evidente soddisfazione…

Della preziosa e circostanziata testimonianza di Shlomo Venezia non ci risulta esser stato ancora realizzato un racconto per immagini, dunque, la prossima uscita sugli schermi (il 21 gennaio, in prossimità della ricorrenza della Giornata della Memoria) del film Il figlio di Saul, dell'esordiente regista ungherese László Nemes (38 anni, e parentela decimata nei lager nazisti), ci induce a riportarne l'esperienza. La pellicola in esame, Gran Premio della Giuria all'ultimo Festival di Cannes è ispirata a un volume pubblicato dal Memoriale della Shoah, e titolato Voci sotto la cenere, che raccoglie i manoscritti di alcuni membri del Sonderkommando di Auschwitz fortunosamente recuperati, poi divenuto - in Italia - La voce dei sommersi, edito da Marsilio nel 1999.

Il figlio di Saul è un'opera struggente, e non solo per il tema trattato, ma perché possiede un tratto distintivo di originalità rispetto alle numerosissime storie cinematografiche fino ad ora pubblicate sull'argomento. Dal punto di vista tecnico viene utilizzato il formato 4:3, piuttosto limitante per quanto concerne il campo visivo e la profondità di campo. La luce è semplice, diffusa, il più possibile naturale, così come il commento sonoro, quasi esclusivamente contraddistinto dalle voci e dai rumori, dalle grida e dai lamenti di quella bolgia seminterrata in cui è, in prevalenza, ambientata la vicenda. La macchina da presa, per la maggior parte a mano, pedina quasi esclusivamente il protagonista nei suoi atti e negli spostamenti, nelle sue espressioni e nei rari dialoghi ravvicinati con i compagni. L'esperienza del Dogma di Lars Von Trier e soci non sembra essere trascorsa invano.

Il fine di quest'operazione, realistica e antirealistica al tempo stesso, è palese: concentrare l'attenzione dello spettatore sull'azione, evitando ogni compiacimento estetico, gradevole o brutale che sia. Le scene di violenza e orrore, difatti, risultano filtrate, quasi prodotte da un'eco distante dalla sequenza che si sta descrivendo. I corpi ignudi delle vittime, inoltre, sono ripresi come una massa informe di carne, spesso in secondo piano e fuori fuoco, e rappresentati come i dannati dei gironi danteschi, o quelli di Masaccio e Michelangelo. L'attività degli addetti al Sonderkommando, contraddistinti da una grande X rossa verniciata sul lato posteriore della giacca, è descritta minuziosamente nei movimenti e nei tempi, sempre organizzati metodicamente, come una funzionale catena di montaggio dello sterminio. Tutto questo finché non giunge un sassolino nell'ingranaggio, l'avvenimento che modifica la situazione iniziale.

Saul Ausländer (lo straordinario Géza Röhrig) è un ebreo ungherese deportato a Birkenau nell'estate del 1944. Reclutato come addetto al Sonderkommando, è costretto ad assistere all'eccidio della sua gente, che accompagna alle docce fatali. Consci del prossimo avvicendamento, ovvero dell'inevitabile sterminio dell'intero gruppo, i suoi compagni lo stimolano a impegnarsi nella preparazione della rivolta che dovrà partire prima che venga stilata la lista di individui da eliminare, ossia l'elenco contenente i loro nomi. Ma Saul è assorto in altri pensieri da quando ha riconosciuto - o si è illuso di riconoscere - suo figlio nel cadavere di un ragazzino che ha pericolosamente sottratto ai forni crematori. Alla ricerca di un rabbino per donare l'eterno riposo, e una degna sepoltura, al suo ragazzo, l'uomo trascura la missione comune mettendo a repentaglio la vita sua e dei suoi compagni di sventura...

Non è il caso di continuare a svelare la trama di un lungometraggio di grande impatto visivo, e secondo noi, di non semplice fruizione da parte del recettore medio, che di certo offrirà vari spunti di discussione - primo tra tutti il problema della rappresentabilità dell'orrore - dentro e fuori dalle scuole, alle quali, peraltro, Il figlio di Saul risulta specialmente indirizzato. A corollario della vicenda enunciata, concludiamo - ancora una volta - con una frase esemplare di Anna Frank, tratta da Il diario:Se un cristiano compie una cattiva azione la responsabilità è soltanto sua; se un ebreo compie una cattiva azione, la colpa ricade su tutti gli ebrei.”



 

 

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