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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

The Pride, secondo Luca Zingaretti

 

Giunto alla sua terza regia, Luca Zingaretti ritorna al Teatro Argentina di Roma con The Pride, l'acclamato testo di esordio del drammaturgo greco-britannico Alexi Kaye Campbell che affronta in modo articolato e complesso il tema della difficoltà di essere omosessuali. Importare in Italia un testo scomodo e scottante come questo che, pur andando molto oltre i limiti del gay play, rimane pur sempre un manifesto politico, è stato un atto di coraggio da parte di Zingaretti che vi compare anche come interprete di due personaggi omosessuali. La notorietà del rassicurante commissario Montalbano, amato dal grande pubblico televisivo di un paese che non ha ancora legalizzato le unioni civili tra omosessuali, è un motivo di rischio per l'attore ma è anche un valore aggiunto della sua sfida teatrale.

Una sfida doppia perché il dramma, insignito del Critic Circle Award e dell'Oliver Award, è molto difficile da mettere in scena. Il testo, efficacemente tradotto da Monica Capuano, si compone infatti di due trame parallele, ambientate in epoche diverse, che si sviluppano a fasi alterne, mettendo a dura prova attori, scenografi e registi. Le due storie inoltre coinvolgono tre personaggi principali ciascuna, che oltre ad essere omonimi sono anche pensati per essere interpretati dagli stessi attori. Ci sono due Oliver (Maurizio Lombardi), due Philip (Luca Zingaretti) e due Sylvia (Valeria Milillo). Personaggi diversi e distanti tra loro ma anche legati da alcune analogie. Ciascuno può essere visto come il doppio o come il fantasma del suo omonimo. I passaggi da una trama all'altra sono molto rapidi e impongono agli interpreti di entrare e di uscire da un personaggio all'altro in un batter d'occhio.

La prima storia è ambientata a Londra negli anni Cinquanta, nella casa borghese di Philip, un agente immobiliare frustrato, e di sua moglie Sylvia, ex attrice e illustratrice, da poco uscita da un esaurimento nervoso. Una coppia qualunque e apparentemente normale che viene destabilizzata dall'incontro con Oliver, uno scrittore di libri per bambini. Sulle prime, l'attrazione sessuale che scatta tra i due uomini rimane taciuta in un'epoca in cui l'omosessualità è un reato ed è spesso vissuta come una vera e propria malattia. La seconda trama è ambientata ai nostri giorni nella casa dell'affermato giornalista Oliver che, dopo una convivenza di due anni, viene lasciato da Philip, esasperato dalla cronica infedeltà del compagno. Tanto per non perdere il vizio e per riprendersi dall'abbandono, Oliver adesca in rete una marchetta che si presenta vestita da nazista. In un'Inghilterra finalmente approdata al matrimonio omosessuale, molti gay non riescono a liberarsi dall'etichetta di degenerati e si buttano del mercato del sesso promiscuo promosso da siti web specializzati. Nonostante l'appoggio morale dell'amica Sylvia, Oliver non si dà pace per aver perso l'amore solido di Philip e, soprattutto, non riesce a capire perché, pur amandolo, non riesca a fare a meno di tradirlo.

Sia la repressione che la liberazione producono infelicità perché solo la piena accettazione della propria identità e la conseguente capacità di amare l'altro possono garantire un certo equilibrio. Questo filo tematico che accomuna le due storie è quello più curato dalla regia di Zingaretti che punta l'accento più su quell'aspetto sentimentale del testo che ricorda i drammi di Terence Rattingan, che non sulla denuncia politico-sociale che lo attraversa.

Una regia sobria ed equilibrata che incastra a perfezione le due storie, le spiega con puntiglio didascalico ma che non osa più di tanto sul piano della performance.

La scena di Andrè Benaim ricrea un salotto borghese molto semplice e con pochi arredi che viene nascosto da una sorta di fondalino bianco che viene calato dall'alto quando si passa alla storia odierna. A parte qualche inciampo nel ritmo e qualche luogo comune di troppo, la doppia azione si dipana in modo fluido e chiaro. Le omonimie non creano fraintendimenti, e il passaggio da un epoca all'altra viene caratterizzato dal cambiamento repentino dei tempi dell'azione. Più lenti quelli della prima storia dove il non detto e i silenzi prevalgono sul parlato, più concitati quelli della seconda, dove il linguaggio diviene più esplicito e crudo. La prova attoriale risente in parte dei limiti del testo dove i personaggi sono poco caratterizzati, riducendosi il più delle volte a semplici portavoce delle idee dell'autore. Zingaretti convince di più nella parte del marito velato e abbottonato della prima trama, mentre la prova di Maurizio Lombardi appare più ricca di sfaccettature e di mezzi toni in entrambe le parti. Valeria Milillo alterna momenti di intensità interpretativa ad alcuni scivoloni nella stereotipia.

Lo spettacolo, tuttavia, mantiene nel complesso una buona tenuta scenica nonostante i continui salti nel tempo e i continui scambi di ruolo. Ma soprattutto ha il pregio di mettere in secondo piano gli aspetti più esteriori del comportamento omosessuale per puntare l'attenzione sulla estrema vulnerabilità affettiva e sulla solitudine non soltanto dei gay ma anche delle cosiddette persone normali.

 

Scheda tecnica

THE PRIDE, di Alexi Kaye Campbell. Traduzione di Monica Capuani. Scene:Andrè Benaim. Luci: Pasquale Mari. Costumi: Chiara Ferrantini. Musiche: Arturo Annecchino. Con: Luca Zingaretti, Valeria Milillo, Maurizio Lombardi, Alex Cendron. 
Regia di Luca Zingaretti.

Visto al Teatro Argentina di Roma nel dicembre 2015. 
Prima nazionale: 10 novembre 2015 al Teatro Carignano di Torino.

 

 

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