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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Gorgheggi e avanspettacolo in semiserietà

 

Per chi non avesse mai frequentato il ‘Lanificio’ (via di Pietralata 159, Roma), è una esperienza che vale la pena, e una occasione stimolante di un ‘tour nel tour’ è stata offerta di recente (28 febbraio e 13 marzo 2016) dall’antologia teatrale ‘Shakespeare-grand-tour’, uno spettacolo ‘site specific’ per la regia di Serena Ventrella, già andato in scena nel 2015 a Borgo Pio, presso la Fondazione Roma solidale.

Vecchia fabbrica da anni riattata ad altro uso, il ‘Lanificio’ è uno splendido spazio polivalente, a più piani, con scantinati e cunicoli, androni e terrazzamenti sull’Aniene, dove convivono laboratori teatrali e di danza, ristorante, bricolage su mobili e oggetti di modernariato, e via dicendo. Uno spazio affascinante dove collocare squarci onirici, a collage, dell’opera di Shakespeare. E’ quanto viene proposto al pubblico, che dopo una sosta nel vasto bar, trasformato in sala d’aspetto aeroportuale, con imbonimento su maxi schermo, sarà intruppato per un volo della fantasia davanti al grande montacarichi industriale della stanza accanto, da degli attori-musici-hostess. E da lì, su per le scale, tra apparizioni e fosforescenze verdastre, inizia il viaggio nei più ficcanti personaggi dell’universo shakespeariano, rimodernati tra afasia, borborigmi d’infanzia e lacerti operistici virati ad effetto comico espressionistico. E qua e là lampeggia lo stile classico, la serietà ruminativa di Amleto, e la furia, glaciale in Shylock, barbarica in Calibano.

Tutto comincia davanti ad un Oppini-Shakespeare scoronato, alla Ubu Roi, in nevrotica crisi creativa, afflosciato e recriminante su immensa poltrona-trono, su una pedana. Dopo aver tentato invano di riacchiappare l’ispirazione, ossessionato dalla committenza, e tormentato da un selvaggio e vitalissimo attore, una specie di bestia Calibano che lo maltratta con torrenziale eloquio sudamericano, Oppini schiude a sé e al pubblico il libro dei sogni dei suoi personaggi più famosi. Un tuffo onirico per rivitalizzare la realtà. E così ci conducono. Di stanza in stanza, corridoio in corridoio, e giù per scale, scantinati, all’epifania delle apparizioni.


La voce fuori campo di un angelo, ora tra noi, ora alto su una struttura metallica (Ariel? La fantasia?), ci guida, incalzando, dirigendo i movimenti della folla insieme ad altri attori guida. Commentando.

La prima a comparire è Miranda (da La tempesta), una dolce e puerile sognante innamorata (Elisa Menchicchi), che si avvinghia su un materassone ad un gigantesco gorilla di peluche. Sogna, contro la legge del padre, l’iniziazione sentimentale. Poi la luce si sposta, e in piedi, in bilico su un cubo, con movimenti robotico marionettistici, Ivano Calafato (Polonio, da Amleto) ripete frammenti di catafratta perplessità, con stile tra la balbuzie e il disco rotto, meccanico. Siamo ancora in alto, all’anticamera del tragico. Ora si scendono le scale verso i sotterranei. Qui ci attende - dopo un corridoio di scatenamenti calibanici (una splendida e selvaggia Antonia Fama, coatta, ululante e tossica) - seduto su una sedia da dentista, nelle strettoie di una folla di mobili, Diego Migeni, un trasognato e pensoso Amleto, che si crocifigge sul confine tra realtà e recita, per capovolgere poi la recita in verità, prospettando il famoso teatro nel teatro che smaschererà le colpe dello zio assassino.

E’ forse nei sotterranei del sogno che il pubblico deve trovare nella finzione la sua verità ?

Sta di fatto che mentre scende in questi abissi, la recita è spesso accompagnata da lacerti d’opera adattati al testo shakespeariano. Uno Shakespeare che comincia a virare alla passione, e dove la parola recitata non basta. E così tutto il lato feroce si concentra in una stanza degli attrezzi, ingombra di un lungo tavolo, e con alla parete appesi, come morti, i giganteschi manichini dell’opera dei pupi siciliana. Qui, pigiati senza via di fuga, i membri del pubblico si fanno attori, aggrediti viso a viso dalla splendida requisitoria dell’ebreo Shylock sulla libbra di carne (un sulfureo Yaser Moammed), mentre Ylenia Cammisa fa capolino da una porta a vetri, e con ilare tragicommedia alla Laura Betti gorgheggia operisticamente il monologo di lady Macbeth sul bambino strappato dal seno, e dà con movimenti da marionetta coltellate nel vuoto (“peggio per te” dice a uno del pubblico, che non si toglie). Sulla via, come in un locale equivoco, si esibisce una sensuale Viola (La dodicesima notte), una serpentina e sarcastica Glenda Canino.


E’ l’ora del rientro. Si sale fino a tornare davanti al gigantesco montacarichi. Le sue porte si aprono, ed appare Oppini-Shakespeare, contornato dagli altri. Stop motion, fosforescenze ed applausi. Ritorno alla realtà.

Niente di nuovo sotto il sole. Interazione attori-pubblico, senza quarta parete. La performance come percorso esperienziale. Cose da terzo teatro. Ma il collage è montato bene, la cornice del viaggio credibile, ben sfruttato l’ambiente. C’è un certo suggestivo tono di fosforescenza da limbo, e le apparizioni degli attori, tutti bravi, sono come stazioni di un eterno ritorno, in fissità, con una vaga suggestione inquietantemente kantoriana (si pensi alla ‘Classe morta’). Le figure sorgono dal nulla, come da un aldilà degli archetipi, e lo stile è stranito e straniato. Uno spettacolo che si destreggia tra la leggerezza e colpi di lama, in un sottile depistamento espressionistico.

In definitiva un’esperienza che lascia qualcosa.

 

Scheda tecnica

Shakespeare-grand-tour, regia Serena Ventrella. In scena - Franco Oppini (Shakespeare), Christian Laiontini (Mercuzio), Elisa Menchicchi (Miranda), Ivano Calafato (Polonio), Rossana Bellizzi (Ariel), Antonia Fama (Calibano), Diego Migeni (Amleto), Yaser Mohamed (Shylock), Ylenia Cammisa (Lady Macbeth), Glenda Canino (Viola). e con Roberta Anna, Asiyat Gamzatova, Jonathan Giusto, Angelo Lotfredi, Giulia Malavasi, Marzia Mancino, Mariano Matrone. 
danza - Chiara Sasso
performance musicale - Gianni Trotta
28 febbraio / 13 marzo, Lanificio 159, Roma

 

 

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