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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

La memoria dell'acqua, di Patricio Guzmán

 

 

 

La memoria dell'acqua
(tit. or. El botón de nácar)

Regia: Patricio Guzmán

 

Distribuzione: I Wonder Pictures

 

 

 

 

 

A molti non sarà sfuggito il particolare che La memoria dell'acqua sia stato premiato con l'Orso d'Argento per la migliore sceneggiatura al Festival del Cinema di Berlino nel 2015, esattamente un anno prima del nostro celebrato Fuocoammare di Gianfranco Rosi. Naturalmente non si tratta qui di sottolineare la predilezione della predetta kermesse per il genere documentario, quanto prendere atto che la pellicola in esame sia stata apprezzata specialmente per una narrazione sofisticata ed efficace in cui le straordinarie immagini della natura offrono importanti spunti di riflessione.


Protagonista assoluto è il Cile, una terra affacciata sull'Oceano Pacifico che si estende per circa 4.300 km in lunghezza, e per soli 200 km in larghezza, isolata a nord dal Deserto di Atacama e a est dalla Cordigliera delle Ande. Il sud del paese, la Patagonia occidentale, è costituito da un arcipelago di migliaia di isole (e 2.670 km di coste), in gran parte inesplorate, presso le quali sono vissute alcune popolazioni amerinde oggi in serio pericolo di estinzione. L'elemento liquido dominante, base della vita dell'universo, ha scandito i ritmi e la civiltà di queste comunità indigene composte da poche migliaia di unità, e chiamate Selknams, Chono, Yàmana, Alacalufe e Ona, le quali hanno attraversato i secoli e migliaia di km di canali con agili canoe e pagaie, corte e tozze, e soprattutto con il rispetto dell'ambiente in cui vivevano.

Nella prima parte l'opera di Patricio Guzmán (Nostalgia della luce, La battaglia del Cile, Il caso Pinochet, Salvador Allende...) mostra spettacolari immagini di una natura magnifica e superba, ricca di rilievi montuosi e vulcani, ghiacciai e paludi, un bioma meraviglioso quanto inospitale in cui per 10.000 anni hanno trovato riparo popoli pacifici e dotati di una grande organizzazione sociale. Le testimonianze di alcuni individui ormai "civilizzati", ma che a dispetto della storia hanno mantenuto le loro peculiarità e il loro idioma, rappresentano un idillio nostalgico per un'esistenza irrimediabilmente trascorsa. Rimangono i ricordi dei lunghi trasferimenti via mare, della fatica dei remi nelle correnti, del passaggio attraverso il tempestoso Capo Horn, dell'ostilità del clima, dei canti tradizionali e gutturali, oggi materia di studio di etnologi, antropologi, e persino di astrofisici, data la presenza sul territorio cileno di importanti osservatori e stazioni astronomiche.

Il commento musicale di Miguel Miranda, José Miguel Tobar e Hugues Maréchal ben si sposa con una fotografia cui non è estranea la lezione di Sebastiano Salgado. Ma il lirismo della prima metà del racconto, cede pian piano il passo al tono elegiaco allorché la voce fuori campo descrive le gesta degli epigoni dei conquistadores che iniziano l'opera di assimilazione e deportazione degli indios della Patagonia. Solo il governo illuminato di Salvador Allende restituirà terra e dignità a quelle tribù violate e trucidate. Ma sarà soltanto una breve parentesi.

La dittatura militare di Pinochet - durata ben 17 anni - alimentata dagli interessi della CIA, non causerà solo la completa decimazione di quelle popolazioni (oggi restano solo una ventina di discendenti) e della loro preziosa cultura, ma infliggerà al Cile una ferita profonda e indimenticabile. L'eccidio di migliaia di oppositori perpetrato dal regime fascista (lo stesso Guzmán fu imprigionato), le detenzioni e le torture somministrate agli intellettuali, spesso culminate nella sparizione, trovano ancora un legame con le vastità del Pacifico, in quanto esso ha rappresentato la tomba silenziosa di centinaia e centinaia di desaparecidos seppelliti nei mari australi.

Mari che però non sono rimasti indifferenti a tanta barbarie, conservandone la memoria, e restituendo a mo' di testimonianza, come recita il titolo originale, El botón de nácar.Si tratta di un bottone di madreperla ritrovato nei fondali dell'oceano incastonato tra le concrezioni marine sopra vecchie rotaie d'acciaio: gli aguzzini di Pinochet, nella famigerata Villa Grimaldi, a Santiago, con del fil di ferro legavano quei pesi di una trentina di kg sul torace dei dissidenti e li scaraventavano in mare dagli elicotteri e dagli aerei militari. Ma il bottone è anche il riferimento al primo indio che, nella prima metà dell'Ottocento, venne portato da un giovane ufficiale di marina in Inghilterra per tentare un - prevedibilmente - nefasto esperimento di civilizzazione. Ecco le parole del 74enne regista cileno: “Uno degli indigeni fu ribattezzato dagli inglesi Jimmi Button, perché bastò solo un bottone di madreperla per convincerlo a lasciare il suo mondo”.

In uscita sugli schermi italiani e distribuito da I Wonder Pictures a partire dal 28 aprile, La memoria dell'acqua mescola arcane simbologie e strazianti echi storici, narrando, in accordo con i canoni del realismo magico, una vicenda primordiale e moderna nello stesso tempo. L'acqua, ritratta come "scrigno dell'umanità", è liquida e adattabile come la mente dell'uomo; essa costituisce il sepolcro, cela le voci e i misteri degli esseri umani, ne preserva la storia e la memoria, e fa da specchio alle stelle e al firmamento di cui costituisce parte e nutrimento. Ma la metafora più riuscita del film (citazione di 2001: Odissea nello spazio?) risiede proprio nelle prime sequenze, laddove viene inquadrato a tutto campo un affascinante e misterioso parallelepipedo di quarzo, che contiene al suo interno dell'acqua risalente a svariati millenni or sono: il futuro è nel nostro passato!

 

 

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