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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Di memoria si muore: Donna Rosita nubile secondo Lluìs Pasqual

 

Il Tempo è certamente il protagonista indiscusso di Donna Rosita nubile di Federico Garcia Lorca, ora in scena anche a Roma nel prestigioso allestimento di Lluìs Pasqual. E, certamente, lo è anche della regia che celebra la storia del Piccolo di Milano in occasione del suo sessantesimo genetliaco.
Pasqual oltre ad essere il regista più accreditato in Spagna e in Europa del “teatro impossibile” del poeta andaluso, è anche un palinsesto del Teatro Grassi. Basti pensare che Giorgio Strehler, con il quale aveva lavorato a lungo come assistente, gli affidò nel lontano 1986 la regia di El Pùblico, testo assai arduo che infrange ogni norma teatrale per inabissarsi nella ricerca dell’identità (anche sessuale). Seguirono il recital La oscura raiz, Mariana Pineda, La casa di Bernarda Alba, stabilendo nel tempo una sorta di gemellaggio artistico tra il Teatro Lliure di Barcellona e il Piccolo.
Non sorprende pertanto che lo spirito di Streher e del suo teatro aleggino nella ricca messinscena del Poema granadino. Dalle raffinatissime scene di Ezio Frigerio alla presenza scenica di Giulia Lazzarini (la governante), di Franca Nuti (la zia) e di Andrea Jonasson (Rosita), tutto rievoca il passato di una gloriosa istituzione teatrale, intrappolandolo però nella commemorazione e nell’auto-celebrazione.

La memoria, lo si accennava, è il cemento direi quasi strutturale di un dramma dove tutto parla del passare del tempo, a dispetto della paralisi della protagonista nell’immobilità del suo tempo interiore. I tre atti sono distanziati di un decennio, 1885, 1900 e 1910, ed assomigliano a tre movimenti musicali che scandiscono le tre età di una donna che la vita si rifiuta di viverla. Rimasta orfana, Rosita viene cresciuta da zii amorevoli nel chiuso di una casa che si apre all’esterno soltanto attraverso un giardino. Ed è all’interno di questa campana di vetro che Rosita vive per trent’anni nell’attesa del suo unico grande amore che, all’inizio del dramma, le promette di sposarla per poi partire alla volta dell’Argentina e non farne più ritorno.
Non c’è intreccio e il poco che accade lo si può ben prevedere sin dalle prime battute. L’agone tragico di quest’opera incerta tra più generi è tra la vita immaginata da Rosita e il mondo esterno. A questo credo debbano servire le scene in cui il perbenismo della borghesia granadina irrompe nello spazio tutto interiore della casa. La scena delle Manolas e quella delle Zitelle, oltre a commentare la ristrettezza di vedute del piccolo mondo della borghesia andalusa, ricordano a Rosita gli appuntamenti con la vita che lei rimanda nell’attesa. Questa tensione tuttavia non si avverte che al momento della prima comparsa in scena di Rosita adulta, interpretata da una straordinaria Andrea Jonasson. Prima di allora, momenti di lirismo e di magica sospensione temporale si alternano a pagine di comicità grottesca fine a se stessa e privata di quella terribile amarezza che sempre incupisce il sorriso di Garcia Lorca. Il buon senso della governante, interpretata dalla pur brava Lazzarini, si limita a “contrastare” il sogno di Rosita, ma non ne rivela lo spessore drammatico.
Le zitelle impennacchiate e incensate da una Madre intrusiva e limitata di vedute formano un quadro un po’ troppo caricaturale che quasi stona con altre scene. La zia di Franca Nuti è misurata nell’esprimere la sua amorevole ma soffocante cura della sua eterna bambina da un lato, e la sua coscienza, dall’altro, della realtà. La Rosita della Jonasson è suprema, soprattutto quan
do, nel terzo atto, si rivela il suo tormento al pubblico. Il timbro della voce basta da solo a tra smettere il dramma di una donna che decide di murarsi in casa per non leggere il suo invecchiare e la sua infecondità nello sguardo negli altri.
Il nocciolo drammatico della solitudine affettiva e della sterilità sessuale, che è anche il cuore della poetica lorchiana, esplode solo adesso sulla scena dove tutto appare “ben fatto”, ma un po’sottotono e di maniera. Il ritmo e l’intensità, ovviamente, ne risentono non poco. Come se gli accenti tragici venissero diluiti nel prevalente tono soave della rappresentazione. C’è un eccessivo autocompiacimento nella suggestiva bellezza dell’apparato scenico che cristallizza il dramma nelle trasparenze dei velati bianchi, attraverso i quali le luci cangianti indicano pigramente il passaggio del tempo esterno di una giornata. Quando Donna Rosita indossa un lungo abito bianco e la regia le impone pose che la ritraggono pensosa, viene subito in mente la donna delle Sinfonie in bianco di Whistler. Per dirne una delle citazioni che rischiano di portare altrove lo spettatore.

Va detto, tuttavia, che il dramma può prestarsi a tali virtuosismi. Non fosse altro per la musicalità che tutto lo pervade, per gli accenti fortemente poetici e per la presenza massiccia di elementi simbolici (Rosita è un tutt’uno con la rosa che lo zio coltiva in giardino). Per l’assenza d’intreccio e per l’andarsene via di tutti dalla casa venduta per la rovina finanziaria, che lascia una scelta interpretativa. A molti fa pensare a Il giardino dei ciliegi o a Zio Vania, ma dei Checov di Strehler che sembrano rivivere sul palcoscenico, rimane soltanto la suggestione.

 

Scheda tecnica

Donna Rosita nubile, ovvero Il linguaggio dei fiori, Poema granadino del Novecento diviso in vari giardini con scene di canto e ballo, di Federico Garcia Lorca.
Scene: Ezio Frigerio. Costumi: Franca Squarciapino. Luci: Claudio De Pace. Musiche : Josep Maria Arrizabalanga. Movimenti coreografici : Monserrat Colomé Pujol.
Con: Andrea Cappone, Gian Carlo Dettori, Pasquale Di Filippo, Martina Galletta, Alessandra Gigli, Eleonora Giovanardi, Andrea Jonasson, Giulia Lazzarini, Rosalina Neri, Franca Nuti, Stella Piccioni, Franco Sangermano, Sara Zola, simone Severgnini, Pier Paolo D’Alessandro. Regia di Lluìs Pasqual

Prima nazionale 14 maggio 2010, Piccolo Teatro Grassi di Milano.
Al Teatro Argentina di Roma, dal 23 novembre al 12 dicembre 2010.

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