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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Phaedra’s Love di Sarah Kane secondo Iva Milosevic

Phaedra’s Love è forse il testo di Sarah Kane più difficile da rappresentare senza incappare nel rischio del grand guignol o della kitch soap opera. E’ un testo dalla struttura malferma,con qualche scena di troppo e un finale confuso, una commedia nera neo-giacobita che ha però il merito e la forza di scavare la psicologia della disperazione con una potenza e una rabbia da togliere il fiato. Messo in scena per la prima volta al Gate Theatre nel 1996 per la regia della stessa Kane, il dramma si ispira alla Fedra senechiana, di cui conserva parte dell’ossatura dell’intreccio, per poi reinterpretare la psicologia di Ippolito e della regina incestuosa nel contesto di una società contemporanea anestetizzata dal consumo e corrotta fino al midollo. Ippolito è un nichilista depresso, un eterno adolescente che si lascia vivere disteso davanti alla tv, ingozzandosi di patatine. La purezza dell’Ippolito del mito viene tradotta nell’assoluta onestà di un moderno principe incurante del potere e che ha il coraggio o l’impudenza di esporre la propria devianza davanti allo sguardo di tutti, persino di Dio di cui,qualora esistesse, non teme il giudizio. Anzi, l’Ippolito moderno reclama la libertà di essere se stesso anche a costo di essere dannato e, quando Fedra si impicca, si libera dalla presa dei poliziotti per gettarsi in pasto alla folla. Fedra è l’opposto, se non addirittura la controparte femminile di Ippolito. Se lui è incapace di venire a contatto con le proprie emozioni, lei è letteralmente devastata da un desiderio irresistibile. Ma entrambi aspirano all’autodistruzione.

La regia della serba Iva Milosevic (regista, tra gli altri, di testi come Shopping and Fucking di Mark Ravenhill, Kasimir and Karoline di Odon von Horvarth e Blash di Neil LaBute) pone con forza lo spettatore di fronte al disgusto e all’impotenza di chi l’orrore lo può solo stare a guardare ma non riesce a smussare le evidenti imperfezioni formali della pièce. La regia è tutta giocata sull’ understatement, e sulla misura, e sulla ironica e dolorosa denuncia di una società letteralmente terrorizzata dai mostri che essa stessa produce. Il tutto è sostenuto dall’intensità interpretativa degli attori alle prese con personaggi fortemente ambigui e tutti, eccetto Ippolito, perennemente in bilico tra la dimensione dell’essere e quella dell’apparire.

Lo spazio scenico si suddivide in due zone separate e complementari : la stanza bianca e disadorna dove Ippolito consuma la sua inerzia, e il salotto borghese al quale fanno da contraltare, in proscenio, una specie di specchio di camerino, sulla sinistra, dove i personaggi a turno si preparano la maschera da portare in pubblico, e uno schermo sulla destra che espande l’immagine dei loro volti deformati dalle smorfie della disperazione. L’apparato scenico si modifica impercettibilmente durante la rappresentazione che all’inizio lascia in ombra la zona bianca di Ippolito per poi rivelarla in piena luce a partire dalla prima incursione di Fedra nella stanza del figliastro. Il movimento del progressivo svelamento dell’ incesto e il passaggio dalla sfera intima a quella pubblica vengono definiti dall’ avanzamento graduale del divano di Ippolito verso il pubblico. Dopo la pubblica accusa di stupro mossa da Fedra nei confronti di Ippolito e dopo la condanna, la scena in cui il prete invita Ippolito a pentirsi, mette in ombra, con la sua luce abbacinante e irreale, tutto il resto degli arredi scenici e, con l’incursione della polizia, il muro divisorio tra le due stanze viene addirittura divelto.

Lo iato tra coscienza di sé e immagine che del sé si vuole dare è il perno tematico su cui ruota l’intera rappresentazione. La corte di Teseo è nel testo di Kane il correlativo oggettivo della chiacchieratissima famiglia reale con chiari riferimenti alla creazione mediatica del suo stesso mito. Nella versione della Milosevic la famiglia corrotta di Teseo potrebbe essere una qualsiasi famiglia ai vertici del potere in uno stato ex comunista. Gli interni e i costumi evocano un decoro borghese di basso tono e l’ipocrisia di una classe sociale mediocre diviene il corpo del reato di questa versione che più che sulla perversione dei rapporti, sembra puntare l’attenzione sui modi in cui essa viene percepita e rifiutata sia all’interno della famiglia che all’esterno. Emblematica è in questo senso la scena iniziale dove Fedra, Teseo e sua figlia Strophe si sistemano sul divano assumendo pose diverse per un fotografo immaginario o per una qualche ripresa televisiva. Strophe aggiusta la posizione del mento di una Fedra grassoccia e impacciata, con effetti garbatamente comici. La passione del mito è come stemperata dall’aspetto fisico e dai modi della donna che nasconde persino a se stessa i suoi istinti, comportandosi da madre premurosa più simile ad una chioccia che non ad una regina. Si assiste ad un voluto ridimensionamento del conflitto interiore della regina che vorrebbe curare la “malattia” del figliastro e nasconderla al mondo ma che tuttavia non controlla la sua stessa devianza. Sembra quasi che attraverso un vistoso trattenimento della passione di Fedra, la Milosevic voglia mettere il personaggio in secondo piano rispetto a quello di Ippolito magistralmente interpretato da Ermin Bravo. La sua apatia e la sua flaccida bulimia producono disagio e anche disgusto nello spettatore, anche se le scene che lo ritraggono a masturbarsi o a riempirsi di cibo evitano qualsiasi eccesso scontato.

L’incontro con la matrigna è carico di tensione ma i dialoghi essenziali della Kane vengono detti con naturalezza estrema, senza spezzettare le frasi e senza chiosarle con pause estenuanti. Ippolito racconta dei suoi rapporti sessuali con uomini e donne come se parlasse di fatti asettici che non lo riguardano. Accetta la fellatio offerta da Fedra tanto per farlo. Fedra giustifica il suo atto sulla base del suo desiderio di “vedere il suo volto mentre viene” e “ di vederlo perdere se stesso”, lui replica che “tutti si assomigliano quando vengono”. Grazie alla misura dell’interpretazione, Ippolito provoca inquietudine non soltanto per quello che fa o per quello che dice, ma per la sua assoluta impermeabilità alla vita. E’ disarmante e ironico e la portata del suo malessere si rivela maggiormente quando, nel momento in cui viene arrestato, viene colto per la prima volta dal desiderio di vivere. La regista sembra essere dalla sua parte perché è attraverso la sua voce e il suo corpo abusato, prima dalla matrigna e poi dal prete, che dà forma alla denuncia sociale. La libertà di Ippolito si afferma sulla oscenità di un male sociale più vasto e incancrenito. In questo senso la scena in cui lo psichiatra parla del caso in modo piuttosto sbrigativo e quella in cui il sacerdote redentore offre al condannato la possibilità di salvarsi, acquistano in questa versione una maggiore rilevanza. Certo il finale rimane confuso con l’eccessivo accumulo di violenza e di cadaveri. Come se il suicidio di Fedra non bastasse, Teseo violenta la figlia, la uccide involontariamente e si suicida. La Milosevic accumula gli eventi in modo rapido per non distrarre lo spettatore dalla animalesca e violenta reazione del popolo che giudica e divora il mostro. I protagonisti si infilano il passamontagna e impugnano le armi come fossero dei terroristi. L’idea di far mascherare gli stessi potenti corrotti da giustizieri macellai che affettano i genitali di Ippolito sortisce il suo macabro effetto. E’ un lavoro forte, di quelli che l’Italietta degli tagli alla cultura e del teatro d’evasione non ha il coraggio di mettere in scena. Lo ha fatto L’Accademia degli Artefatti nel 2005, con una pregevole versione di Phaedra’s Love, ma l’impegno del gruppo non fa ancora troppa notizia.

Scheda tecnica

Phaedra’s love, di Sarah Kane. Traduzione di Olivera Milenkovic.Con: Mirjana Karanovic, Ermin Bravo, Andjelika Simic, Siobodan Bestic, Goran Jevtic, Ljubomir Bandovic. Regia di Iva Milosevic.
Visto al Teatro India di Roma il 3 febbraio 2011.

 

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