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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

I promessi sposi alla prova di Giovanni Testori


Il teatro di Giovanni Testori è per sua stessa natura meta teatrale non fosse altro perché la sua intera opera drammaturgica è sostanzialmente una riscrittura di grandi storie già scritte da altri. Ai suoi personaggi tocca pertanto l’arduo compito di misurarsi con i loro rispettivi “doppi” del passato, reggerne il confronto e testarne la tenuta nel teatro dell’oggi. Sembra quasi che il loro autore li costringa a recitare la parte di un personaggio archetipico in una sorta di teatro della memoria.. Non ce n’è uno, infatti, che non appaia consapevole del suo rappresentarsi e quindi del suo offrirsi al pubblico, o che non faccia riferimenti espliciti alla realtà concreta del palcoscenico, magari di un qualche teatrino sperduto nelle valli lombarde. Dalla Trilogia degli Scarrozzati (L’Ambleto, Macbetto, Edipus) ai Tre Lai (Cleopatràs, Erodiàs e Mater strangosciàs), i grandi personaggi del teatro testoriano dichiarano apertamente le difficoltà che incontrano nel sostenere la loro parte, e a volte avanzano proteste nei confronti del loro autore. Come nel caso di Erodiàs che chiede al “narrator” che l’ha “poetigata” di darle “i verbi e le parole del qui e ‘adesso”. E se l’umile Maria di Nazareth si scusa di essere “ del recitar poco praticata”, Cleopatra vorrebbe che la scena della sua morte fosse ripresa “in diretta del tivù”. Il teatro di Testori, dunque, reinventa i grandi classici per restituirli alla contemporaneità ma il processo di metamorfosi si accompagna alla verifica costante da parte dell’autore della capacità dei moderni di riappropriarsi o comunque di servirsi dei grandi archetipi della cultura occidentale da lui prescelti.

Per questo I promessi sposi alla prova, sebbene atipico nell’impianto drammaturgico, o comunque costruito su un meccanismo meta teatrale più ingenuo, è di fatto un dramma paradigmatico, capace di far luce su alcuni aspetti dell’intero canone testoriano.

Composto nel 1984, o meglio confezionato su misura per l’amico Franco Parenti ed elaborato insieme agli attori nel corso delle prove nel teatro di via Rovello a Milano, I promessi sposi alla prova scardinano il romanzo per provarne la rappresentabilità in un contesto culturale degradato, edonistico e omologato. E’ un testo spurio, dove i passi manzoniani riscritti o mutuati in una limpida lingua italiana si intrecciano inevitabilmente alle battute più o meno improvvisate dagli attori e pertanto cariche di riferimenti alla realtà teatrale di quegli anni.. Tutti i personaggi sono definiti da Testori come attori nella parte di questo o quell’altro personaggio, e sono guidati da un Maestro che funge pirandellianamente da capocomico e regista. Il dramma inscena la transitività tra vita e teatro e più che interpretare Manzoni, lo utilizza come punto di partenza per raccontare quegli anni “tribolatissimi” che coincisero anche con la travagliata conversione dell’autore.

Federico Tiezzi e Sandro Lombardi che dalla morte di Testori(1993) in poi hanno lavorato alle sue opere con risultati sempre eccellenti, ne hanno riscritto e allestito una versione in occasione del 150° Anniversario dell’unità d’Italia. Un’operazione lunga e laboriosa che è in primo luogo omaggio all’impegno civile e poetico di Testori e, allo stesso tempo, profonda riflessone sul possibile valore politico della cultura e del teatro (prima di alzare il sipario, Lombardi legge l’articolo 9 della Costituzione sulla valorizzazione e sviluppo della cultura e commenta che questo principio “è ora disatteso e vilipeso”).

Il debordante testo originale è stato sfrondato, soprattutto delle parti legate alle contingenze teatrali di quegli anni, e sottoposto ad una operazione di sintesi per risalire alle intenzioni e alla parola dell’autore. L’adattamento non fa concessioni ai gusti del pubblico di oggi, bensì verifica quanto dei Promessi sposi e quanto dei valori che sono alla base dell’operazione testoriana possano costituire motivo d’interesse alla contemporaneità. L’adattamento mette in luce quegli aspetti che secondo Testori facevano del romanzo del Gran Lombardo un opera rivoluzionaria. Rivoluzionaria perché partiva dal basso mettendo al centro dell’opera la forza morale degli umili finalmente protagonisti della Storia, perché smascherava gli abusi e la corruzione del potere e, non da ultimo, perché dimostrava che la linea sottile che separa la conversione dalla corruzione è quanto mai labile per tutti. Questi e altri motivi devono essere tenuti in mente dal Maestro che si trova a lavorare con una compagnia di guitti sgangherati che portano in teatro le loro piccole miserie quotidiane, le loro rivalse e le loro frustrazioni. I più giovani scalpitano per mettere in pratica le indicazioni registiche del Maestro e a volte si rifiutano di capirle rivendicando la necessità di “sentir propria” la parte. I più navigati reclamano parti di spicco per dar prova della loro esperienza. Insomma, la pièce è un vero e proprio work in progress che costringe ciascun attore ad un continuo slittamento dalla dimensione attoriale a quella di personaggio, sul filo di una drammaturgia discontinua e che oscilla dall’alto della lingua manzoniana al basso della lingua della prova in corso.

Il sobrio luogo scenico di Pier Paolo Bisieri si articola su due piani sovrapposti : quello superiore dove gli attori seduti attorno ad un tavolo studiano il testo e fanno le prove e quello inferiore dove divengono personaggi. Gli oggetti di scena sono ridotti all’essenziale, una spada, un mantello, una parrucca, la riproduzione di un dipinto di Tanzio di Varallo, un megafono, quel tanto che basta, insomma, per suggerire un mondo che viene concretizzato sulla scena soprattutto dalla parola.. Ed è proprio sul potere della parola che vertono le prime indicazioni registiche del Maestro (Sandro Lombardi) al giovane che recita la parte di Renzo (Francesco Colella). Lombardi è supremamente ironico nel suo atteggiarsi ad attore all’antica che rimbrotta i più giovani con quel tanto di pedanteria che si concede a chi le scene le calca da un pezzo. I suoi insegnamenti possono anche sembrare datati, ma non appena si lancia nel monologo “ Quel lago di Como, che volge a mezzogiorno…”, dimostra che la parola “s’inossa, si incarna, si fa realtà”, precipitando di colpo il pubblico dentro il romanzo. Le variazioni timbriche della sua voce plasmano figure, stati d’animo e cose e le sue improvvise trasmigrazioni da un personaggio all’altro, dall’umile Don Abbondio, al raffinato Fra’ Cristoforo fino all’Innominato, avvengono in modo così fluido da farci dimenticare che egli sia un attore in prova. Lo stesso si può dire di Marion D’Amburgo che interpreta la parte di Agnese con profonda e pacata intensità e di Francesco Colella e di Debora Zuin che abitano i loro personaggi con singolare energia. I due giovani esplodono di vita e ardono dal desiderio di stare insieme, e Renzo, in particolare, è animato da una prepotente volontà di riscatto. La tensione emotiva dei due giovani e la loro passionalità sembrano fungere da carburante di un meccanismo teatrale che rischia spesso di incepparsi.

Nonostante l’uso sapiente delle luci e delle dissolvenze e il ritmo abbastanza sostenuto dell’azione, il delicato montaggio della scene subisce arresti improvvisi per le continue, seppur necessarie, interruzioni e riprese delle scene, che inevitabilmente infrangono la magia della rappresentazione. Certo, le piccole beghe tra gli attori, le loro proteste, le loro incertezze, oltre a commentare la precarietà del teatro, offrono anche un sollievo comico allo spettatore che, tuttavia, non può che rimanere disorientato dall’alternanza dei registri teatrali. Il registro drammatico inoltre non sempre si amalgama con quello comico. Come nel caso dell’episodio della Monaca di Monza ben interpretata da Iaia Forte. Prima ancora di comparire in scena, l’attrice viene criticata dagli altri per i suoi ritardi alle prove e quando fuoriesce da una botola si atteggia a grande attrice tragica e si vanta di aver interpretato personaggi del calibro di Fedora, Fedra e Violetta. E’ una subrettona sensuale e bizzosa che fatica ad entrare nella parte della sventurata che ha toccato il fondo dell’abisso. Trafitta dalla vita, è tutta presa a dar sfogo al suo rancore e lo fa in modo un tantino melodrammatico. Allo stesso modo, Don Rodrigo interpretato da Massimo Verdastro è un villain assai poco credibile, più simile ad un politicante di oggi assetato di onnipotenza, che non al temibile e minaccioso personaggio manzoniano. Tutto questo rientra chiaramente della dinamica stessa dell’adattamento che non può che calare nell’oggi il modello di partenza, soprattutto nell’ambito di una regia che privilegia la problematicità stessa della messa in scena di un grande capolavoro del passato. Una problematicità che viene affrontata con ironia estrema. Non a caso il palcoscenico rialzato è incorniciato da un sipario rosso da circo, e gli attori non fanno nulla per nascondere i loro limiti e la povertà dei loro mezzi. Ma il fragile strumento umano del teatro è comunque capace di creare momenti di rara intensità espressiva.. Come la scena dell’addio al paese natio che sintetizza la pagina manzoniana in un immagine realizzata con poco, ma il cui impatto rimane impresso nella memoria : basta un tavolaccio sistemato a mo’ di zattera con sopra i corpi esausti di Renzo e Lucia, il barcaiolo che muove lentamente il remo, lo sciabordio prodotto dal movimento della mano di Agnese in un secchio ricolmo di acqua, basta questo, dicevo, a trasmettere il dolore rassegnato di chi è costretto a fuggire altrove. Ugualmente intensa è la scena in cui il Maestro/ l’Innominato, in un continuo passaggio dalla prima alla terza persona, riflette sull’inesistenza di chi si è saziato di delitti e sulla atrocità del potere : “Vengono ora qui; dacché qui vivo; solo; cane ringhioso tra cani, prezzolati ; ma che, al delitto, han preso piacere, gusto e una cupa, proterva, felice necessità”.

Di Manzoni, sia nel testo di Testori che nell’adattamento di Tiezzi-Lombardi, manca quella che Testori stesso definì “ l’umana pace” che il Gran Lombardo seppe trasferire sulla pagina scritta La Provvidenza è messa in dubbio dallo scettico Renzo e la peste è metafora di ben altre epidemie. Ma la parola che chiude il testo è “la speranza” alla cui porta gli attori sfiancati dalla prova sono invitati a bussare ogniqualvolta si trovino al affrontare delle difficoltà o dei dolori. Una speranza offerta certamente dalla cultura e dal teatro stesso, che come la prova ha dimostrato, è un cantiere dove tutto può essere rimesso in discussione, un luogo di scontro e di confronto di idee e di modi di percepire l’arte e la vita. Un luogo dunque che accoglie le diversità e che afferma la libertà assoluta della coscienza e del pensiero. Come a dire che la forza della memoria storica, della cultura e del teatro può aprire uno spiraglio di luce nel buio del nostro tempo.

 

Scheda tecnica

I promessi sposi alla prova, di Giovanni Testori. Drammaturgia a cura di Sandro Lombardi e Federico Tiezzi. Scene: Pier Paolo Bisleri. Luci: Gianni Pollini. Con : Sandro Lombardi, Francesco Colella, Debora Zuin, Marion D’Amburgo, Caterina Simonelli, Alesandro Schiavo, Massimo Verdastro, Iaia Forte.
Regia di Federico Tiezzi.

Prima nazionale 26 ottobre 2010, Teatro Grassi, Milano.

 

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