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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

Le molteplici forme dell'uomo

Introduzione all'antropomorfismo

Il termine antropomorfismo deriva dalle parole greche άνθρωπος (anthrōpos, uomo) e μορφή (morphē, forma) ed indica l'attitudine a conferire caratteristiche fisiche (antropomorfismo in senso stretto) e psicologiche (antropopatismo) dell'uomo a realtà esterne e alla natura. L'antropomorfismo si riscontra principalmente nella religione e proprio in questo ambito il primo commentatore critico fu Senofane di Colofone (VI sec. a.C.) che accusò Omero ed Esiodo di aver attribuito alle divinità tutto ciò che è vergogna per l'uomo. Per Senofane, quindi, ogni società umana raffigura i suoi dèi a propria immagine e somiglianza e ciò prova che gli uomini non hanno alcuna nozione esatta della divinità. Anche nella Bibbia sono presenti elementi antropomorfi per rappresentare Dio. Tommaso d'Aquino sostiene che le immagini di Dio non costituiscono oggetto della fede ma ciò verso cui questa tende. Di parere diverso è Ludwig Feuerbach (XIX sec.), secondo cui l'uomo stesso proietta su Dio le sue esigenze e le sue aspirazioni più radicate.

Il fenomeno della rappresentazione antropomorfa non è esclusivamente collegato alla religione, ma anche alle qualità stesse dell'uomo, alla sua cultura, quindi, ad un interesse etno-antropologico.

Il soggetto rappresentato può essere, come si è visto precedentemente, una divinità ma anche una personificazione di una qualità/vizio o di un elemento fisico. Troviamo perciò personificazioni della “bellezza”, della “verità”, della “giustizia”, della “superbia” oltre alla rappresentazione del “vento”, del “fuoco” o del “Sole”. Tra i Dogon e i Fali si assiste ad una antropomorfizzazione urbanistica, per cui le abitazioni sono costruite come parti e lo stesso villaggio, nel suo insieme, rappresenta il corpo umano. Lo stesso disegno infantile dell'Uomo Nero non è altro che antropomorfizzazione di un essere mitico, di un concetto astratto della paura.

In base a queste considerazioni possiamo quindi individuare due macro-gruppi: Antropomorfismo religioso e Antropomorfismo antropologico o allegoria antropica.

Nelle arti

Fig. 1Antropomorfismo religioso. Di questo gruppo è facile ricordare le molte divinità arcaiche che furono rappresentate con aspetto semi-umano, tra tutti, il pantheon egizio e quello greco-romano.

Nell'Antico Egitto l'antropomorfismo non è repentino, le divinità non vengono concepite immediatamente come aventi caratteristiche umane, ma si passa da un periodo zoolatrico (dalla seconda metà del IV millennio a.C. al 2890 a.C.), per arrivare al periodo dell'antropomorfizzazione. È proprio con la fine della I dinastia, nel 2890 a.C. circa, che gli dèi assumono forme umane, tra i primi: Atum, Shu, Neith, Nut e Min. Bastet, dea gatto, già venerata nell'Antico Regno (2686-2181 a.C. circa) con le sembianze di leonessa e incarnante la potenza guerriera della regalità, successivamente con l'identificazione della gatta, sviluppò caratteri più pacifici, come la femminilità e la protezione del focolare domestico. La dea era spesso rappresentata sia come gatto sia come donna dalla testa felina; nella statuetta in bronzo della XXVI Dinastia (664-525 d.C., fig. 1, conservata al Louvre) la dea è rappresentata stante con una lunga tunica aderente, decorata a fasce verticali. La mano destra porta verso la spalla un sššt (sesheshet, il sistro) mentre nell'altra mano tiene un'egida a testa leonina. Questi due attributi ricordano le funzioni della dea, di protettrice della casa e di divinità guerriera, colei che annientava i nemici in quanto “Occhio di Ra”. Si riconosce quindi la trasposizione di qualità umane ad un essere non terreno e parallelamente l'aspetto umano è congiunto a quello animale: in un essere divino si attribuiscono caratteristiche ascrivibili sia all'uomo sia al mondo animale. La mitologia egizia è uno degli esempi più felici di fusione tra antropomorfismo e zoomorfismo.

Fig. 2Nella religione greco-romana il carattere zoomorfico è ancora presente ma meno marcato, qui le divinità sono essenzialmente persone, non astrazioni o concetti che hanno però poteri sovrannaturali. Nella cosiddetta Coppa di Aisone (520-420 a.C., di tipo C; fig. 2) è raffigurata l'uccisione del Minotauro da parte di Teseo alla presenza di Atena. Nel tondo di questa kylix a figure rosse la dèa è dipinta con i suoi attributi tipici, che saranno poi ripresi nella perduta Atena Parthenos di Fidia: in piedi mentre indossa armatura ed elmo di tipo calcidico-attico. Nella mano porta una lunga lancia dory. Atena indossa un chitone con una protome di Gorgone sul petto. Le caratteristiche psicologiche proprie della dèa vengono antropomorfizzate con lineamenti e attributi che la descrivono di una bellezza serena, ma anche fiera e austera. Essa è patrona della saggezza e delle arti e, al contempo, protettrice della guerra nei suoi aspetti più aulici.

Il Rilievo Burney (fig. 3), di epoca paleobabilonese (XIX-XVIII sec. a.C., conservato al British Museum), è un ulteriore esempio, sebbene più antico dei precedenti, della rappresentazione di una divinità secondo l'immaginario dell'epoca. La figura femminile, da alcuni erroneamente identificata come la dea accadica Līlītu (la Lilith dell'ebraismo), è forse l'immagine di Ereshkigal, signora degli Inferi.

La natura divina è suggerita dal cosiddetto copricapo a corna, tipico degli dèi, mentre tra le mani impugna simboli della giustizia. L'ambiente infernale in cui la scena, fortemente statica, è immersa, è rinvenibile nella tipica rappresentazione ad archetti del terreno per simboleggiare le montagne, paesaggio proprio dell'oltretomba mesopotamico. La dèa alata poggia le sue zampe rapaci su due leoni distesi sul terreno e opposti tra loro, mentre ai lati sono presenti due gufi, antico simbolo del regno dei morti. In questo caso l'antropomorfizzazione della divinità non è data da aspetti psicologici, bensì da peculiarità della funzione stessa della dèa.

Anche l'Induismo presenta una forte duplice connotazione tra antropomorfismo e zoomorfismo. Tra le molte divinità che presentano caratteristiche umane e animali troviamo il dio Ganesha. Il Gananatha (“Signore delle schiere celesti”), uno degli appellativi con cui è invocato il dio, è uno degli esempi di divinità in cui ogni singola parte del corpo ha un significato ben preciso. Gli stessi numerosi appellativi con cui è chiamato riflettono la sua immagine mitica. Esso è Omkaresha (“Signore la cui forma è OM”), in quanto le sue fattezze fisiche ricalcano il contorno della lettera mantrica OM. Infine ci sono altri epiteti che ne descrivono l'iconografia: Ganesha è “Signore dalla testa di elefante” (Gajavadana), “Colui che cavalca il topo” (Mushika Vahana), “Dal grande ventre” (Lambodhara) e “Dall'unica zanna” (Ekadanta). Ganesha è infatti raffigurato con testa d'elefante, simbolo di fedeltà e intelligenza; corpulento, poiché deve coFig. 4ntenere diversi universi e infinite esperienze e con una sola zanna, in quanto ha la capacità di superare ogni dualismo (Ganesha seduto, 1200-1300, Asian Art Museum di San Francisco; Fig. 4). Come in ogni religione, l'iconografia della divinità si ricollega a momenti salienti della vita del dio. Nell'Induismo ciò è vigorosamente presente data la ricchezza dell'apparato mitologico. Questa opulenza della tradizione scritta ed orale del mito è osservabile persino nella produzione artistica. Come in Ganesha seduto il dio è circondato da rilievi e cesellature, un horror vacui che spiega la devozione dei fedeli nella rappresentazione di Ganesha. La ricchezza dell'oggetto è ricchezza del dio: Ganesha è fecondo di virtù quali intelligenza, sapienza e saggezza. L'arte induista è la più alta celebrazione del divino. Le uniche caratteristiche antropomorfe di Ganesha sono le gambe e il torace e questo è l'unico punto di contatto tra uomo e dio, gli altri attributi sono lontani dall'uomo anche se conoscibili. Nell'arte induista l'unico modello antropomorfizzante o zoomorfizzante è quello di rappresentare e adorare il suo dio, non di avvicinarlo al mondo mortale, il punto di connessione tra uomo e divinità è quindi solo accennato.

Nella religione cristiana l'iconografia del Cristo ha trovato nel corso dei secoli un'ampia gamma di rappresentazioni del Figlio dell'Uomo. Nella prima fase del Cristianesimo a Roma (dal II sec. d.C.) si osservano influenze derivanti dal mondo pagano: scene di banchetto rappresentanti celatamente l'Ultima Cena vengono descritte, anche se sinteticamente, come un convivium in cui i presenti sono distesi su di un triclinio, intorno a pietanze (si veda ad esempio la Scena di banchetto nel Cubicolo dei Sacramenti della Catacomba di San Callisto a Roma). Verso l'inizio del IV secolo, ai simboli ed allegorie di Gesù come Agnello o Buon Pastore, di matrice giudaico-orientale, compaiono raffigurazioni dirette, come Cristo imberbe, cui seguirà in versione barbato (tipologia siriaca) o durante il banchetto eucaristico (fig. 5, Cristo insegna agli apostoli, inizio IV sec., Roma, Catacomba di Domitilla; fig. 6, Cristo fra l'Alfa e l'Omega, fine IV sec., Roma, Catacomba di Commodilla).

Fig. 5

Fig. 6

Si è quindi visto che l'antropomorfizzazione religiosa ha svariati linguaggi iconografici: si ha o la rappresentazione delle caratteristiche psicologiche o quella delle caratteristiche fisiche oppure la fusione dei due punti di vista.

Allegoria antropica. Nella personificazione i due aspetti, psicologico e fisico, sono raramente separati e il più delle volte si combinano per creare modelli-tipo, allegorie, che dureranno poi per millenni (archetipi). In questo gruppo è possibile individuare due ulteriori sottogruppi: la personificazione di entità geografiche e la personificazione di concetti astratti.

Fig. 7Un primo esempio del gruppo delle “entità geografiche” è rappresentato dall'allegoria di Roma nelle tante monete coniate durante la storia della Città Eterna, tra queste, in Figura 7, la Moneta di Marco Sergio Silo (116 a.C. circa). Il denario rappresenta al dritto la testa di Roma con elmo attico e l'iscrizione stessa della dèa/personificazione, iconografia che resterà fino alla fine dell'arte romana (vedasi ad esempio la Gemma augustea del I sec. d.C.). Restando in ambito classico, troviamo la statua del Nilo (fig. 8; I sec. d.C., conservata nei Musei Vaticani) derivante da un originale pittorico alessandrino. Il fiume egiziano è sdraiato e appoggiato ad una sfinge, con spighe, cornucopia e sedici putti che rappresentano i 16 cubiti di crescita delle acque del fiume. L'iconografia è sempre la stessa anche in altre opere: il Nilo è barbato, con mosse e vibranti ciocche della barba e dei capelli, quasi a ricordare i movimenti delle acque fluviali.

Fig. 8

La personificazione di luoghi geografici continua poi in epoca moderna. Con i moti rivoluzionari, crescono le rappresentazioni patriottiche delle identità nazionali. La figura di Columbia, personificazione degli Stati Uniti d'America, compare già prima della rivoluzione (1775-1783). In una stampa satirica del 1813, Columbia insegna a John Bull la sua nuova lezione (fig. 9), è rappresentata con gli attributi classici, anche se caricaturali, delle personificazioni nazionali del periodo: lancia, scudo, veste lunga alla maniera greca, fascia, berretto frigio e con un animale tutelare accanto. Columbia, il cui nome derivato da Colombo cadde in disuso a partire del XX secolo, così come le altre Identità nazionali, viene sempre presentata come una divinità greca (veste, lancia e animale) e con simboli legati ad eventi moderni (fascia o berretto frigio), una sorta di continuità tra antico e moderno che concorrono al benessere di una nazione.


Questo spirito patriottico non è estraneo in Italia o meglio, all'Italia turrita, appellativo dell'allegoria del Bel Paese. Nel Monumento ai Caduti di Mentana del 1880 a Milano (fig. 10), l'artista Luigi Belli, proveniente dall'Accademia Albertina di Torino, rappresenta l'Italia turrita nella canonica iconografia con capo cinto da corona muraria e stella, corpo prosperoso, mentre con una mano tiene una spada in posizione avanzata e con l'altra regge, in alto, una corona di rami d'ulivo e quercia (ricorrenti tra l'altro nello stemma della Repubblica). Lo sguardo fiero fissa intensamente lo spettatore che si trova al di sotto della statua, mentre la lunga chioma è pesantemente alzata dal vento. Sul basamento in granito, il Belli, scolpì due altorilievi bronzei con la rappresentazione dell'assalto alla cittadina di Monterotondo e le conseguenze dell'evento mentanese. Come Columbia o la Marianna francese, anche Italia è rappresentata con vesti greche o simboli che rimandano all'antichità. Simile iconografia fu scolpita dodici anni prima da RocFig. 10co Larussa nella sua scultura Monumento all'Unità d'Italia a Reggio Calabria.

Altro esempio, seppur meno noto, è la prima personificazione in terra viennese dell'Austria: la Austriabrunnen (1846) di Ludwig Schwanthaler (fig. 11). L'opera, letteralmente “fontana d'Austria”, riproduce l'allegoria dell'impero austriaco. L'appellativo Austria, che in italiano e in inglese traduce anche il nome della nazione, nella lingua tedesca indica esclusivamente la personificazione di Österreich, l'Austria appunto. Voluta dal borgomastro della città, Ignaz Czapka, la scultura si inserisce in un momento fecondo della vita culturale dell'epoca in cui si sostituiscono i miti dei Nibelunghi, della tradizione tedesca, con un forte senso di patriottismo. La fontana viennese, simbolo del potere universale austriaco è circondata alla base dalla personificazione dei quattro grandi fiumi dell'impero: Po, Danubio, Elba e Vistola. La corona muraria, che a differenza di quelle della tradizione civica araldica nostrana, ha diametro più stretto e maggiore altezza, insieme a scudo e lancia, riflette i simboli canonici delle rappresentazioni patrie. L'armatura da valchiria, invece, col pesante manto araldico, e i capelli in parte sciolti ricordano le mitiche tradizioni nordiche, una fusione di culture propria di quella che sarà poi identificata come cultura mitteleuropea.

Tornando nuovamente indietro nel tempo possiamo rintracciare, durante la dinastia antonina a Roma (precisamente tra 117 e 161) due rilievi raffiguranti apoteosi. I rilievi presentano una combinazione dei due sottogruppi precedentemente accennati: quello delle allegorie geografiche e quello delle personificazioni di concetti astratti. Il primo rilievo, custodito nel Palazzo dei Conservatori di Roma, è databile successivamente alla morte della moglie di Adriano, Vibia Sabina, nel 137, ed è conosciuto come Apoteosi di Sabina (fig. 12); mentre il secondo è l'Apoteosi di Antonino Pio e Faustina (fig. 13) proveniente dalla base della colonna dell'imperatore (161-162). Nel rilievo con Sabina, di ispirazione iconografica greca e sulla scia stilistica attica tipica del classicismo adrianeo, ai piedi della scena, oltre all'imperatore e ad un altro personaggio, è rappresentato un giovane sdraiato, Campo Marzio. Il rione di Roma compare anche nel secondo rilievo, anche se l'iconografia dei due è pressoché identica, nell'ultimo caso il personaggio sorregge una miniatura di un obelisco a pianta quadrangolare. Sempre nel rilievo di Antonino troviamo la personificazione di Roma, seduta mentre saluta solennemente l'imperatore e sua moglie. I due rilievi sono, ovviamente, accomunati dalla scena principale e superiore, quella dell'apoteosi. Nel rilievo di Sabina la sposa di Adriano è sorretta in volo da Aeternitas, l'Eternità, che regge la lunga torcia della fiamma eterna mentre nel rilievo di Antonino troviamo la controparte maschile dell'Eternità, Aion, il tempo infinito, mentre tiene un globo celeste e il serpente del trascorrere del tempo.

Fig. 11Fig. 12

Fig. 13

Tra il sottogruppo dei concetti astratti, le personificazioni “più fortunate” iconograficamente sono di certo quelle rappresentanti le virtù, sia teologali che cardinali. Nella decorazione scultorea di Nicola Pisano nel pulpito del battistero di Pisa (1260 circa), troviamo, ad esempio, Carità e Fortezza. Scolpiti quasi a tutto tondo a imitazione delle statue antiche, i due personaggi hanno panneggio mosso e voluminosa corporeità. Carità (fig. 14) è rappresentata come una donna, una matrona romana, che sembra appoggiata alla struttura, mentre tiene dolcemente per mano un putto corpulento, lo sguardo si perde nello spazio dell'ambiente architettonico così da catturare gli occhi di tutti i fedeli. Fortezza è invece concepito come un fiero Ercole nudo e stante, circondato da fiere, in una posa che ricorda il Doriforo policleteo.Fig. 14

Un altro Pisano, Andrea, scolpisce le formelle decorative del campanile del duomo di Firenze durante il secondo quarto del XIV sec. In queste formelle appaiono le personificazioni delle arti, oltre a scene mitiche e sacre, come La scultura (fig. 15) e La pittura (fig. 16). Le due allegorie non sono poste staticamente, ma “in azione”, così vediamo la Scultura mentre “produce” se stessa così come fa la Pittura; questa particolare concezione ha portato ad una seconda interpretazione, e nella Pittura si è vista l'immagine di Apelle di Kos mentre nella Scultura si rintraccerebbe Fidia. La presenza dell'azione è un rafforzativo dell'allegoria antropomorfa, così, invece di presentare un simbolo o attributo che la caratterizzi, l'autore sottolinea la scena arrivando a creare una sorta di “effetto matrioška”. Questa concezione è presente anche nei Rilievi dei Mesi del Maestro dei Mesi del Duomo di Ferrara (1220-1230). Nel rilievo dedicato a Settembre (fig. 17) troviamo il Mese mentre svolge la tipica attività della vendemmia, mentre nel primo mese, Gennaio (fig. 18), abbiamo un notevole recupero del significato classico del termine: il Mese è infatti rappresentato come Ianus Bifrons, dio bicefalo patrono del “passaggio” dal vecchio al nuovo.

Un vero e proprio amalgama di personificazioni si ha nella Allegoria del Buono e Cattivo Governo e loro Effetti in Città e Campagna (1337-1340; fig. 19) di Ambrogio Lorenzetti nel Palazzo Pubblico di Siena. Ispirati ai testi di Aristotele e Tommaso d'Aquino, gli affreschi compongono una ricca illustrazione dei valori politici su cui si regge lo stato senese. L'Allegoria del Buon Governo mostra la Giustizia ispirata dalla Sapienza, che genera Concordia e quindi un Governo giusto protetto dalle virtù. Il Governo malvagio invece è dominato dal Terrore, personificato come demone e sottomesso all'Avarizia, Superbia e Vanagloria. L'effetto del cattivo governo è una città che si autodistrugge.

Fig. 15Fig. 16Fig. 17Fig. 18Fig. 19

Infine, per quanto riguarda l'antropomorfismo in architettura, come già accennato due esempi si ritrovano in culture africane, i Dogon e i Fali. Per quest'ultimi la planimetria del villaggio segue l'immaginario della Terra che è formata da testa, arti e al centro il sesso, corrispondente al granaio (mabeli) che a sua volta riproduce caratteristiche iconografiche umane. Per i Dogon, ampiamente studiati, invece, la disposizione degli edifici all'interno del villaggio segue un simbolismo cosmologico in cui il dio Amma ha creato, unendosi alla terra, l'universo materiale, tra cui due esseri positivi primordiali, i Nommo.

Fig. 20Fig. 21

Osservando la figura 20 si può osservare che le lettere A, B, C e D rappresentano i quattro antenati primordiali maschili, corrispondenti alle articolazioni coxo-femorali e scapolo-omerali; mentre le lettere E, F, G ed H sono le quattro antenate primordiali e rappresentano le articolazioni del ginocchio e del gomito. La testa invece, lettera T, rappresenta l'ordine territoriale. Nella cultura Dogon ci si può sposare solo se la coppia appartiene allo stesso “sesso urbanistico”. Anche in epoca moderna, durante il tardo Cinquecento si assiste ad una concezione antropomorfizzante dell'architettura. Seppur meno evidente, il Colonnato di Piazza San Pietro in Vaticano del Bernini fu concepito come una sorta di “abbraccio della Chiesa” (fig. 21).

L'antropomorfismo di entità astratte segue perciò una strada parallela a quella della rappresentazione divina umanizzata, a volte intrecciandovisi, se le opere sono inserite in contesti religiosi, e altre volte, in particolare in epoca contemporanea, descrivendo forme umane lontane dal mondo religioso, essenzialmente profane.

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