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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

Archeologi versus Indiana Jones


La situazione di chi si occupa del nostro passato,
tra anonimato professionale e trowel

Molte sono le citazioni che potremmo elencare per affermare l'importanza dello studio del passato per capire il presente. È quando, però, ci si scontra con la realtà dei fatti che queste convinzioni sembrano sgretolarsi. Nel nostro Paese si vive così in una sorta di mondo parallelo, a due corsie: in uno, ci si riempe la bocca di frasi del tipo “l'Italia è ricca di cultura, di arte e di storia” o anche “in Italia potremmo vivere di turismo” nell'altro, invece, ci si indigna per qualche giorno (se siamo fortunati per qualche mese) di un crollo a Pompei ma, calmate le acque, tutto tace.

Queste sensazioni non sono solo verificabili nel mondo della cultura, ma un po' dappertutto. Quello che, però, fa arrabbiare è che questa sorta di “patriottismo culturale”, che dovrebbe essere enfatizzato, è invece lasciato a sé, per esser tirato fuori quando serve: con un muro antico crollato o quando si rinviene qualcosa di archeologicamente importante. E negli altri giorni dell'anno? Chi porta avanti questo orgoglio nazional-culturale? Risposta: chi è, ovviamente, del mestiere.

La situazione degli archeologi italiani è lampante. Chi dovrebbe occuparsi di ricerca, conservazione, protezione e valorizzazione del patrimonio archeologico non ha alcuna forma di riconoscimento, perché lo Stato italiano non fissa dei requisiti minimi. È come se lo Stato dicesse, “Ehi tu archeologo, fai un lavoro importantissimo, continua così” e poi appena il primo si gira, ecco le dita incrociate! Attenzione, ho usato il termine “Stato” non a caso. “Stato” siamo tutti noi.

Dall'immaginario collettivo dovrebbe innanzitutto sparire il concetto dell'archeologo come “colui che fa le buche per trovare i coccetti” o, peggio, del “simil Indiana Jones”.

Primo: l'archeologo non fa le “buche”, non è una vangatrice umana che bucherella a casaccio alla spasmodica ricerca del “coccetto”.

Secondo: accomunare un archeologo ad Indiana Jones non è di certo un complimento, per il primo.

Tutti sono d'accordo che nella professione dell'archeologo, come in ogni altra, c'è quel fascino particolare che è uno dei motivi per la scelta del proprio futuro. Ma in questo settore si esagera.

L'uscita dal mitologico “archeologo-vanga” dovrebbe far posto all'idea che l'archeologo è un professionista, uno scienziato, e come tale va considerato. Improvvisarsi, quindi, archeologo non è corretto né per chi ha studiato per questo lavoro né tantomeno per la cultura e la conoscenza.

Credo che la totalità della popolazione non andrebbe mai a farsi curare i denti da un professore di lettere che si è improvvisato dentista!

Il sentire persone dire “ho trovato questo nel mio terreno, tanto è il mio chi può dirmi qualcosa?” oppure “quando ero giovane ho scavato, facevo l'archeologo. Il tombarolo cioè... tanto non è che ci voglia molto per scavare e capirci qualcosa”.

E qui potremmo fare alcune considerazioni. Primo punto: i cittadini non conoscono, nemmeno in minima parte, le leggi dello Stato in materia di rinvenimenti archeologici. Secondo punto: i cittadini hanno un robusto senso della proprietà privata, anche quando si è fuori dalle norme. Terzo punto: tutti possono essere archeologi ma non tutti possono essere chirurghi, geografi, avvocati, ecc.

Ed ecco che, d'improvviso, nascono associazioni che proclamano di valorizzare l'archeologia, che accusano i professionisti del mestiere di essere snob o di voler fondare una casta e, ancora più grave, hanno i permessi di scavare da chi, invece, dovrebbe controllare.

In un articolo de “L'Espresso” (marzo 2011) lo stesso Direttore Generale per le Antichità, l'archeologo Luigi Malnati, dichiara che chiunque, in teoria, potrebbe andare sul cantiere al posto dell'archeologo.

Un primo passo c'è stato nel 2008, con una proposta di legge concernente “Modifiche al codice dei beni culturali e del paesaggio in materia di professioni dei beni culturali”, presentato alla Camera dei Deputati. Nell'intervento si dichiara l'intenzione di non creare nuovi albi professionali ma di concepire dei registri, con funzione ricognitiva, degli archeologi e di affidare la tutela, la vigilanza e l'ispezione a figure professionali in possesso di una adeguata formazione.

Queste attività di armonizzazione legislativa sono richieste dalla stessa ANA, l'Associazione Nazionale Archeologi che ha, fra l'altro, eseguito il II° Censimento Nazionale Archeologi, cui hanno risposto in ben 835.

Dai primi risultati emergono dati importanti: l'86% degli intervistati lavora in forma autonoma (partita Iva, co.co.pro., occasionale, società/cooperative) mentre il restante 15% è impiegato in enti pubblici o istituzioni private.

Ma il dato ancora più significativo, emerso da questa iniziativa, è la presenza di una notevole specializzazione con professionisti che possiedono un titolo di studio post lauream. Nonostante questo si vive ancora in una situazione di disconoscimento della professione a livello giuridico.

Ricordando che l'archeologo lavora maggiormente come assistente in “scavi di emergenza” (per lavori pubblici o privati) si trova in una situazione di equilibrio: da un lato è pagato da chi vorrebbe finire più in fretta il lavoro, per ovvi motivi economici (le imprese edili) e dall'altro deve rispondere alla sovrintendenza. Ciò che ne consegue è che quello che dovrebbe essere il fine ultimo di uno scavo, lo studio, in realtà non arriva a destinazione, non si arriva cioè alla pubblicazione. Della maggior parte di questi tipi di scavi non se ne sa niente, proprio perché i dati non vengono pubblicati.

Questi sono però i primi dati ufficiali emersi dal censimento dell'ANA. Ad una personale indagine (che non vuole avere certo carattere statistico) dobbiamo procedere con ordine per delineare al meglio l'archeologo italiano degli ultimi anni.

Alla domanda su quali siano le più urgenti necessità del nostro patrimonio archeologico, la stragrande maggioranza degli intervistati (tra cooperative e società archeologiche) richiede una maggiore attenzione per il restauro, la manutenzione e la messa in sicurezza oltre all'importanza degli studi e delle successive pubblicazioni. Queste “azioni” sono disciplinate dal “Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio” (che ricordo esser stato aggiornato al 2008) e quindi, anche una singola denuncia per una di queste mancanze, significa la illeceità da parte dello Stato che ne è garante. Ma piccoli, piccolissimi passi, lo Stato sembra che li stia facendo. Come segnalato dalla stessa ANA, lo scorso dicembre il neo-ministro Ornaghi ha dichiarato l'urgenza di ratificare la “Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico” de La Valletta del 1992. Dopo ben vent'anni vedremo la luce; quello che stupisce è che l'Italia è in compagnia di stati che, dal punto di vista patrimoniale, non hanno la nostra ricchezza: Austria, Islanda, Lussemburgo, Montenegro e San Marino. I punti essenziali sanciti dalla Convenzione riguardano la garanzia “che gli scavi e le ricerche archeologiche si svolgano in modo scientifico” (art. 3.1.b) oltre all'impegno di “prevedere un sostegno finanziario alla ricerca archeologica da parte delle autorità pubbliche nazionali, regionali e locali, in funzione delle rispettive competenze” (art. 6.1) e di “adottare disposizioni pratiche che permettano di ottenere, al termine delle operazioni archeologiche, un documento scientifico di sintesi pubblicabile, preliminare alla necessaria diffusione integrale degli studi specializzati” (art. 7.2). Tre articoli che, guarda caso, disciplinano proprio quello che gli archeologi richiedono: scientificità, finanziamenti e studio e pubblicazioni.

Queste “parole chiave” hanno un comune denominatore: la valorizzazione della professione. Di cosa hanno bisogno gli archeologi? Di un paese che ritenga la cultura un valore, una coscienza civica. Un archeologo non più burocrate o operaio specializzato. Un mestiere che è sì, spinto dalla passione, ma che sia, esattamente, un mestiere, quindi con una ricompensa giusta e non dettata da una gara al ribasso.

Solleviamo ora un'altra questione. Una sorta di proporzione: se, nell'immaginario pubblico, l'archeologo è colui che “scopre” reperti appartenuti al passato e questi sono indicati nella nostra legislazione come “patrimonio universale” ne consegue che, questi beni, appartengano a tutti noi, alla comunità, ad uno Stato che li dovrebbe curare. Ora poniamoci questa domanda: se i beni culturali sono sovranazionali (vuoi perché fruibili da tutti, vuoi per conservarli per le generazioni future) perché alcuni archeologi, all'interno di una entità societarie private, accusano la mancanza di aiuti da parte degli enti locali? Gli enti locali, dopotutto, dovrebbero incentivare tutto ciò in quanto ciò significherebbe visibilità e di conseguenza introiti nell'eventualità di creazione di parchi archeologici o musei.

Altri enti che dovrebbero svolgere un ruolo fondamentale per chi decide di formare società/cooperative non aiutano affatto: le Università. Quando sentiamo dire che le Università non preparano al lavoro non è, dunque, una frase fatta.

Ma non è tutta colpa dello Stato o della società, alcune colpe li hanno gli archeologi. Quanto gli archeologi sono vicini agli “utilizzatori finali” del loro lavoro, i cittadini? Come confermato dall'ANA, spesso si assiste ad un divario tra esperti e interessati. L'importanza di pubblicazioni scientifiche è indubbia, ma com'è possibile rendere partecipe la grande popolazione dei problemi dell'archeologia se non si trova un punto di confronto? Bisognerebbe quindi che gli archeologi creino un filo diretto con i cittadini e gli appassionati, un dialogo che guardi alla divulgazione senza dimenticare la scientificità e che mostri agli utenti cosa fa veramente l'archeologo.

 

Un'ultima considerazione: carissimo burocrate è vero che tutti dovremmo fare gavetta ma tra fare il volontario/schiavo e il mettere in pratica le proprie conoscenze, frutto di anni di studio, ne passa di acqua. Dictum sapienti sat est.

 

Considero questo articolo deliberatamente incompleto e imperfetto, nella speranza che presto possa essere aggiornato con notizie positive per il mondo dell'archeologia italiana.

Infine, per la stesura di questo articolo, vorrei ringraziare l'Associazione Nazionale Archeologi, in particolare la dott.ssa Giovanna Vigna, il dott. Tsao Cevoli e il dott. Salvo Barrano; oltre le (seppur poche) cooperative archeologiche che hanno risposto con entusiasmo a questa mia iniziativa: Archeolab (Macerata), Archiéo srl (Camogli) e Irei srl (Villagrande Strisaili).



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