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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Testuali parole

Paul Gauguin – Artista di mito e sogno

“….Dall'alto cielo è fatta scendere ora una nuova progenie. Tu dunque proteggi, casta Lucina, il fanciullo che sta nascendo, per il quale per la prima volta avrà fine la generazione del ferro e sorgerà in tutto il mondo quella dell'oro…avrà inizio questa splendida età e i grandi mesi cominceranno a trascorrere; sotto la tua guida, le tracce rimaste della nostra scelleratezza dissolte libereranno dall'eterna paura le terre. Il fanciullo assumerà la vita degli dei e vedrà gli eroi insieme agli dei ed egli stesso sarà visto da loro e reggerà il mondo pacificato con le virtù paterne”.
Virgilio, Le Bucoliche, Egloga IV

“…Prima di Giove , nessun colono lavorava la terra; nemmeno era lecito per legge divina delimitare o dividere con un confine il campo ; tutto quello che raccoglievano (lo) mettevano in comune , e la terra spontaneamente produceva tutto con molta liberalità , senza che alcuno lo sollecitasse…
Virgilio, Le Georgiche, vv.121-128, Libro I

“…Quando così ebbe spartito in ordine quella congerie/e organizzato in membra i frammenti, quel dio, chiunque fosse,
prima agglomerò la terra in un grande globo/perché fosse uniforme in ogni parte;poi ordinò ai flutti, gonfiati dall'impeto dei venti/di espandersi a cingere le coste lungo la terra.

E aggiunse fonti, stagni immensi e laghi;/strinse tra le rive tortuose le correnti dei fiumi,
che secondo il percorso scompaiono sottoterra/o arrivano al mare e, raccolti in quella più ampia distesa,invece che sugli argini, s'infrangono sulle scogliere./E al suo comando si stesero campi, s'incisero valli,
fronde coprirono i boschi, sorsero montagne rocciose…

Ovidio, Le Metamorfosi, Libro I


"...In cerca di un mondo puro e primitivo, nella cui terra dai cieli senza inverno, l'arte non sarebbe stata un ennesimo affare da mercanti, ma un lavoro vitale, religioso e sportivo, e dove un artista, per mangiare, avrebbe dovuto soltanto, come Adamo ed Eva nel giardino dell'Eden, sollevare le braccia e staccare di che alimentarsi dai fertili alberi…
Autoritratto di Paul GauguinCosì
Paul Gauguin nel libro Il Paradiso è altrove, che Mario Vargas Llosa, peruviano di Lima, città dove l’artista visse dall’età di uno a sette anni, gli ha dedicato nel 2003. Già nel 1919, William Somerset Maugham aveva fatto del pittore parigino il protagonista del suo La luna e sei soldi, che aveva suscitato immenso scalpore per i toni ribelli, non usuali nello scrittore, ma che, comunque, aveva ispirato ben due film, uno di Albert Lewin nel 1942 e l’altro di Vincent Minnelli nel 1956, significativi dell’innegabile realtà che la mitica ricerca della “Età dell’oro” invocata da Virgilio, e così ben interpretata da Paul Gauguin, è da sempre presente nell’immaginario collettivo.

E da questo presupposto, dall’incidenza cioè che Le Bucoliche e Le Georgiche, ma anche la poesia di Ovidio, hanno avuto sulla vita e, di conseguenza, l’opera dell’artista, parte la mostra appena inauguratasi al Vittoriano di Roma. Spunto colto, interessante e nuovo, teso a mettere in risalto quei legami con Roma e l’Italia che, se mai vi furono da un punto di vista geografico, vengono fuori, prepotenti e indiscutibili, negli scritti e nelle lettere di Gauguin –definito da uno degli organizzatori, Richard Brettell, Ordinario di estetica all’Università del Texas, “artista della carta” per il ruolo fondamentale avuto da questo elemento nella sua vita e opera, lettere comprese- che fece del viaggio una filosofia di vita.

Attualissimo e moderno oltre ogni considerazione, con anticipo incredibile, avvertì e visse disagi ed esigenze tipiche dell’uomo contemporaneo. Certo il viaggio era sempre stato presente nella vita degli intellettuali –basti pensare a quella istituzione che era il Grand Tour che per secoli aveva rappresentato il trionfo finale di ogni buon percorso educativo e il passaggio dai banchi di scuola alla vita di ogni aristocratico.

Ma il viaggio aveva come meta l’Antico, quindi la Grecia o Roma dove da tutto il mondo confluivano persone per ricordare ed imparare dai loro predecessori. Guaguin, invece, a Roma e in Italia non venne mai e il suo personalissimo Grand Tour lo portò lontano dalle rovine, in una dimensione nuova, inesplorata, verso lidi sconosciuti, mai dipinti da artisti europei, verso quel “Mondo Nuovo” che aveva acceso la fantasia di Gian Domenico Tiepolo all’alba dell’Era che noi tutti ci troviamo ancora a vivere.

Ed è, quindi, interessante che il pittore parigino approdi, finalmente dopo tanto vagare, nella “città eterna” portatovi da un rappresentante di quel Nuovo Mondo, lo storico dell’arte americano Stephen Eisenman dell’Università di Chicago e dal suo collega e conterraneo Richard Brettell. I due curatori hanno voluto dare un taglio tutto particolare alla mostra che ha aperto i battenti il 6 ottobre, indagando sul debito che Gauguin –anche lui a quanto pare!- ha con Roma, il nostro Paese e la sua arte, alla quale egli era sempre apparso decisamente estraneo.

Vien da pensare, infatti, che solo ora, a ’68 avvenuto e digerito, dopo i viaggi di Siddartha e di Herman Hesse, gli scritti antropologici di Margareth Mead e la ricerca dello spirituale attraverso l’India, i Figli dei Fiori, le droghe e l'LSD e, soprattutto, la contestazione giovanile, la sua sensibilità artistica sia riuscita a penetrare a fondo nell’animo italiano al punto che numerose sono le mostre che negli ultimi tempi gli sono state dedicate. Già nel 1995, la ricca retrospettiva di Ferrara dedicata a “Paul Gauguin e l’Avanguardia russa” aveva indagato sugli interessanti sviluppi che la personale coniugazione dell’esotismo e del sogno di Gauguin aveva prodotto su avanguardie rivoluzionarie che potrebbero, a prima vista, apparire ben lontane dai suoi paesaggi, ma che, invece, con lui condividevano quella attenzione al popolare, al colore, allo studio etnografico e antropologico che li contraddistingueva entrambi.

Fig. 1Si era poi continuato, nel 2003-2004, con “Gauguin e la Bretagna” e ancora con “Gauguin e van Gogh – L’avventura del colore nuovo” a Brescia nel 2005-2006 che altri tasselli avevano aggiunto ad un quadro sempre più ricco che si stava dipingendo intorno all’opera del pittore fino alla recentissima, grande esposizione “Il Simbolismo da Moreau a Gauguin e a Klimt”, tenutasi prima a Ferrara e poi a Roma alla Galleria d’Arte Moderna fino al 16 settembre scorso, che sembrava aver concluso il discorso che, invece, si arricchisce di un ulteriore tessera, quella del rapporto con il mito, Roma e l’Italia che, oltre che essere un logico approfondimento, getta nuova luce sull’opera del pittore.

“Primo artista globale” lo ha, giustamente, definito il Professor Eisenman nell’affollata conferenza stampa tenutasi nelle sale del Vittoriano il giorno prima dell’apertura al pubblico, numerosissimo -lo stesso storico dell’arte non si aspettava una tale corale accoglienza, mai trovata, a suo dire, in nessuna altra città del mondo- segno che i tempi per Guaguin a Roma erano più che maturi. Temi attuali come globalizzazione, comunicazione (a cui La conversazione del 1892 [Fig. 1] si riferisce, fornendo un nuovo punto di vista da cui guardare alla sua arte), ritorno a una vita a dimensione più umana, lontana dai fragori e dall’estraneamento delle città, dolore per la difficoltà di vivere una realtà che si sente oppressiva e opprimente trovano pieno riscontro nelle opere del grande Parigino e se ne fanno manifesto: ecco la sua forza e la sua modernità a cui nessuno può sfuggire, a nessuna latitudine.

Ben 150 opere, prestate da musei e istituzioni di 15 diversi Paesi, dalla Russia agli Stati Uniti, dalla Spagna a Israele, dall’Italia alla Finlandia stanno a dimostrare l’ampio e internazionale respiro che si è voluto dare all’evento. A poco più di 100 anni dalla sua morte, avvenuta l’8 maggio 1903, il mondo si trova ad attraversare una crisi che nulla ha da invidiare a quella vissuta dagli anni ‘60/’70 dell’’800 e fino a dopo la Prima Guerra Mondiale, confluita in quel movimento, a cui Gauguin partecipò, noto come Simbolismo.

Nato dalla poesia di Baudelaire (un quadro, intitolato I fiori del male, del discepolo di Gauguin alla scuola di Pont-Aven, Armand Seguin testimonia in mostra l’importanza ricoperta dal poeta sul movimento) e più precisamente dal sonetto Correspondances dal quale è tratta la sua prima definizione, vedeva la Natura come una foresta di simboli tra loro "corrispondenti" che racchiudono le chiavi del significato dell'universo.

Fig. 2E proprio nella ricerca di queste chiavi Gauguin si impegnò nella sua vita e nelle sue opere. Nato a Parigi il 7 giugno 1848, un anno dopo la nascita, venne portato dalla madre, rimasta vedova, a Lima, nella casa del nonno materno, don Mario Tristan y Moscoso. La casa di don Tristan, dove l'artista visse fino all'età di sette anni, circondato da lusso e tenerezze, sarà il suo primo, rimpianto paradiso perduto. Il soggiorno in Perù resterà importante per l'artista, in quanto fonte di  conoscenza di una civiltà diversa da quella occidentale. In effetti, il desiderio di conoscere civiltà altre era presente da tempo nell’arte come testimoniano opere di Ingres che ben si inquadrano in quel fenomeno noto come Orientalismo.

Anche una figura anomala nel panorama artistico dell’epoca quale fu quella di Henri Rousseau, “Il doganiere”, coetaneo di Gauguin, cercò primitivismo, spontaneità, genuinità e purezza nelle vivide e lussureggianti raffigurazioni della giungla, suo tema prediletto, ispirate alle descrizioni dei luoghi che ebbe modo di ascoltare durante il servizio militare, fatte da alcuni soldati reduci dalla campagna francese in Messico, a sostegno dell'imperatore Massimiliano. Ma Gauguin, oltre a ricercare un “paradiso perduto”, l’Eden o la mitica Arcadia, lontani le mille miglia dalla realtà borghese e estraniante delle città francesi, era alla ricerca di qualcosa che lo portasse ad unire le sue due anime: quella francese/occidentale che gli proveniva dal padre e quella ispano/carioca/peruviana che gli veniva dalla madre.

Incominciò, quindi, a viaggiare. “Ho sempre avuto la fissazione delle fughe…” era solito dire. A diciassette anni, quindi, era già imbarcato come marinaio semplice verso Rio de Janeiro, Panama, le isole della Polinesia e le Indie quando venne a conoscenza della morte della madre; Gustave Arosa, un fotografo e collezionista di pittura moderna divenne il suo tutore. E fu così che Paul giunse a Parigi e il suo viaggio nell’arte ebbe inizio, viaggio nel quale si accompagnò, non certo casualmente, al pittore Camille Pissaro, nativo delle Antille che aveva vissuto per un anno in Venezuela, in quell’America Latina che tanto occupava il suo cuore e la sua mente.

Fig. 3

Da Pissarro, Gauguin trasse il senso della luce, la luminosità dei colori e l’indipendenza dalle convenzioni. Anche Degas, gli fu amico; a più riprese si mostrò suo ardente difensore e estimatore attraverso l’acquisto di numerose tele. Questo attaccamento è riscontrabile nelle opere in mostra. Una deliziosa cassetta in legno, della Kelton Foundation di Santa Monica, scolpita tra il 1884 e il 1885, è decorata, infatti, da Gauguin con leggiadre ballerine in tutù, chiare reminescenze dei dipinti dell’amico. Un’altra ballerina si ritrova su una stecca colorata di ventaglio, sempre del 1885 e sempre proveniente da Santa Monica.

Largo spazio viene dato alla scultura, appresa da Ernest Chaplet, che, presentata nella mostra “Gauguin-Tahiti” al Grand Palais di Parigi nel 2003-04, rimane pur sempre uno dei lati meno conosciuti dell’opera del maestro. Al Vittoriano si possono ammirare realizzazioni in legno –come la leggiadra Signora a passeggio del 1880 o lo sconcertante Re del furore del 1887-88 e l’incredibile Testa con corna del 1895-97 nonché il simpatico e colorato Boccale di birra del 1887-90 -, in bronzo – La parigina, replica dello stesso anno del soggetto precedente o la bellissima testa di giovane tahitiana del Quai d’Orsay- e in cera di cui la Testa di Jean Gauguin, figlio dell’artista, resta un notevole esempio.

In mostra anche bellissimi vasi, che ricordano a volte realizzazioni Inca, a volte giapponesi. Hokusai, Hiroshige e i maestri del periodo Ukyo-e furono tra coloro che ebbero un forte impatto sull’artista nel periodo trascorso in Bretagna, tra Pont-Aven e Le Pouldu. “Quando i miei zoccoli risuonano in questo suolo di granito, sento il tono sordo, opaco e possente che cerco nella mia pittura”. È la Bretagna, che ricorderà nel 1902 con nostalgia quasi naïf poco prima della morte nello struggente Notte di Natale (La benedizione dei buoi), quella che darà musicalità ai suoi colori resi ancora più luminosi dal soggiorno a Arles vicino a van Gogh, mentre nell’arte primitiva dei Mari del Sud, Martinica, Tahiti e nelle Isole Marchesi era sicuro di trovare “…sempre una linfa vitale…”, inesistente in una società civilizzata.

Fig. 4Unendo, quindi, l’utopia illuminista, all’immaginazione romantica e al sogno simbolista, non smise mai di leggere i testi classici di Ovidio e di Virgilio (ne I maiali neri, proveniente da Budapest [Fig. 2], gli organizzatori ravvedono proprio questa influenza) nei quali cercava le visioni poetiche che pensava di poter ritrovare nei paradisi tropicali. Per rispondere a quell’incessante domanda Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?, soggetto della sua celebre tela del Museum of Fine Arts di Boston (non in esposizione a Roma) e a cosa siano La vita e la morte, dal Mr and Mrs Mohammed Mahamoud Khalil Museum di Giza [Fig. 3], la mostra romana attraversa l'intero, tragico percorso umano e artistico che ha guidato Gauguin alla ricerca disperata della realizzazione di un’utopia che mai divenne realtà.

Malgrado, infatti nel 1901, salpato per Atuona nelle isole Marchesi costruisca e decori una nuova casa in stile locale chiamandola “Casa del piacere”-un’opera d’arte, con stipiti ed architravi intagliati, decorazioni scolpite ovunque, un giardino con Girasoli [Fig. 4] importati dalla Francia e ricordo di Arles e van Gogh- la visione fantastica divenne sempre più simile a un incubo e il dolore, quello che si percepisce passando di opera in opera nelle sale del Vittoriano, si impossessò di lui. Morirà solo, sognando l’Arcadia e “..quell’elemento primordiale, che è l’istinto della bellezza..” che aveva tratto da Raffaello.

 

Didascalie delle figure

Fig. 1, La Conversazione (Les Parau Parau, Conversation), olio su tela, 1891, Ermitage di San Piteroburgo

Fig. 2, I maiali neri, 1891, olio su tela, Museo di Budapest

Fig. 3, La vita e la morte, 1889, olio su tela, Museo Khalil Bey del Cairo

Fig. 4, Girasoli, 1901, olio su tela, Ermitage di San Piteroburgo

 

Scheda tecnica

Paul Guguin – Artista di mito e sogno, 6 ottobre 2007-3 febbraio 2008, Roma, Complesso del Vittoriano - Via di San Pietro in Carcere, Tel. 06/6780664 – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.     Orario: dal lunedì al giovedì: 9.30-19.30 – venerdì e sabato: 9.30-23-30 – domenica: 9.30-20.30. Costo biglietto: €10 intero, € 7,50 ridotto. Catalogo Skira, Milano, €39

 

(Questo articolo, pubblicato il 24 ottobre del 2007 nella precedente edizione della rivista Fogli e Parole d'Arte, al momento della ristampa nella nuova edizione era stato letto da 7378 lettori)

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