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L'Italia altrove: Argentina

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Fig. 1Negli ultimi tempi l'Argentina appare impegnata in una riflessione sulla propria identità nazionale, sul modo in cui la nazione si pone nel contesto internazionale, sulle particolarità che la identificano, su come tali specificità sono percepite al di là dell'Oceano e secondo quali mezzi sia possibile identificarle. 
Tale operazione è stata condotta seguendo il filo dell'architettura, ambito nel quale questa nazione ha accolto numerosi contributi esteri provenienti anche dall'Italia.

All'interno del padiglione della nazione Argentina, presentato alla recente Biennale di Architettura di Venezia (dal 29 Agosto al 25 Novembre 2012) dal tema generale Common Ground, sono stati allestiti i risultati di una ricerca dal titolo Identità nella diversità curata dall'architetto Clorindo Testa, nato in Italia nel 1923 e laureatosi a Buenos Aires nel 1948; Testa, autore della Banca di Londra e della Biblioteca Nacional (Fig. 1), è un architetto legato ai tema del brutalismo e della composizione geometrica delle forme, oltre che artista plastico.
Il Common Ground, il “territorio comune” proposto dal curatore della XIII Biennale veneziana David Chipperfield, è stato interpretato dall'Argentina come luogo identitario, come ponte tra un continente e l'altro e legame tra una nazione l'altra.

Il volume pubblicato in occasione della kermesse si presenta come un importante ed originale contributo, atto alla reciproca conoscenza tramite l'esposizione della propria identità (o meglio di parte di essa), come recita il titolo «Argentina identità nella diversità». La mostra è diventata inoltre un banco di prova per l'Argentina, che da quest’anno occupa un proprio padiglione all'interno degli spazi dell'Arsenale (Fig. 2).
Si segnala inoltre che in un recente convegno tenutosi alla Facoltà di Architettura de La Sapienza Università di Roma, dal titolo L'architettura argentina parla italiano (29 e 30 Novembre 2012), si è fatto il punto sull'influenza italiana in architettura e in urbanistica. Il convegno ha visto l'avvicendarsi di relatori di entrambi i paesi, che hanno presentato ricerche sul patrimonio tangibile e rafforzato i legami culturali grazie a progetti bilaterali di studio, ricerca e catalogazione volti alla rispettiva conoscenza.

Fig. 2Riguardo all’identità, a cosa essa sia e a come riconoscerla, per l’Argentina una scelta di indagine può essere rilevata nella volontà di pubblicare, studiare e mettere in mostra edifici e architetti che hanno contribuito alla trasformazione delle città, tra le quali la stessa Buenos Aires.
Tali architetti hanno arricchito il paese con i loro apporti e con un sapere che viene dall'estero. Alcuni sono di nazionalità italiana, francese e inglese. A questi è necessario aggiungere la presenza degli architetti spagnoli, che hanno operato in agglomerati che si sono poi trasformati in città durante l'epoca coloniale.

La forma della città di Buenos Aires nasce seguendo uno schema ortogonale il cui fulcro si identifica nella piazza, disegnata dagli edifici principali per funzione e per stile. La capitale viene pensata come una scacchiera con edifici di tipo istituzionale o con funzione pubblica alternati da complessi che possono essere espressione di un’architettura popolare, sino al 1880. In questo periodo, infatti, la città si presenta come eclettica: la diversità è la qualità dell'identità propria di Buenos Aires.
A questa multiforme sfaccettatura contribuiscono - nella metà e alla fine del XIX secolo - gli architetti italiani Juan A. Buschiazzo (nato in Italia nel 1846, arrivò in Argentina a soli 4 anni e la sua formazione si deve agli studi a Buenos Aires) e Francisco Tamburini (nato ad Ascoli Piceno nel 1846): il primo si interessa di opere pubbliche, mentre il secondo è ricordato per la Casa de Gobierno (Buenos Aires), il Teatro Colón e il Teatro Indarte (oggi Libertador San Martín) a Córdoba.

È necessario ricordare che l'immigrazione italiana non ha assunto un comportamento di tipo 'colonialista'; non sono state, infatti, importate e applicate senza mediazione le soluzioni architettoniche originarie dell'architettura tipica italiana, un fenomeno avvenuto solo in alcuni casi isolati.
Un esempio di unione degli stili può essere l'abitazione a conventillo. È possibile pensare a questa tipologia (Fig. 3), che si sviluppa in Argentina tra il 1885 e il 1940, come a un adattamento di una struttura abitativa unifamiliare destinata alla vita di un grande numero di persone; può essere letta come un’evoluzione della casa con patio che, nel suo diventare casa conventillo, trasforma il patio in luogo semipubblico. In tale modo un elemento architettonico - il patio - contribuisce allo sviluppo del tema del vicinato e da questa composizione, in seguito, deriveranno le specificità degli spazi pubblici e commerciali.
Altri esempi sono le quintes - abitazioni suburbane circondare da giardini, per lo più residenze estive - e le cosiddette casas chorizo - case in stile coloniale affacciate su un cortile centrale, che nascono come frammentazione della casa con cortile. Altre tipologie nate dall’elaborazione di modelli preesistenti, anche grazie all'opera dei costruttori Michel e Pietro Fortini, sono le abitazioni gemelle a due piani e le residenze con locale commerciale al piano terra.

Fig. 3Molti architetti italiani che hanno lavorato in Argentina si sono formati in Italia: all'Accademia di Brera, al Politecnico di Milano, al Politecnico di Torino, negli Istituti di Padova, Fermo e Bologna. Ve ne sono poi molti che appartengono a ordini religiosi, come i francescani minori, e a Propaganda Fide. Spesso architetti e ingegneri si associavano con operai o costruttori al fine di creare imprese che dessero vita a realizzazioni totalmente italiane.
I documenti ci parlano dell'architetto Nicolás e di suo figlio José Canale, che hanno dato un’importante impronta al gusto dell'architettura di Buenos Aires. Tra le loro opere la chiesa Immaculata Conceptión a Belgrano del 1865, che riprende la tipologia del romano Pantheon, oltre agli interventi nella capitale di Nicolás Canale come urbanista. Loro allievo fu il già ricordato Juan A. Buschiazzo, che proseguì sui temi del classicismo.

Di fondamentale importanza è il momento in cui Buenos Aires diventa capitale dello stato (1880); il contesto fa nascere l'esigenza di ospitare funzioni di tipo pubblico e istituzionale (Fig. 4). Vengono anche progettati edifici a carattere residenziale di tipo popolare che si possono definire di maniera italiana, caratterizzati da regole semplici che comprendevano l'impiego di zoccoli, cornici, fregi, parapetti, balaustre e l'uso di materiali come terrecotte, mattonelle, piastrelle, ringhiere con decorazioni, uniti alla qualità di un lessico semplice da riprodurre.
A questi edifici residenziali e alle esigenze abitative, si affiancano edifici più signorili e dal carattere rappresentativo, per lo più progettati da architetti di formazione francese. Inoltre il funzionalismo e l'urgenza di servizi quali i trasporti, la distribuzione dell'acqua e delle fonti energetiche hanno coinvolto espressioni architettoniche inglesi.
Da queste tre tendenze e necessità deriva la nascita di una città eclettica. Considerevole, in questo contesto, è la figura di Francisco Tamburini che progetta nella capitale edifici a scale differenti, come ad esempio la Casa de Gobierno (Fig. 5), più nota come Casa Rosada, creata grazie all'unione di due edifici antichi con mansarda tramite un arco monumentale.

Fig. 4Altri architetti sono Víctor Meano (arrivato in Argentina nel 1884 e laureato a Torino), che portò a termine il Teatro Cólon di Tamburini, e Gaetano Moretti, che vediamo attivo prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Le opere di questi progettisti sono di carattere storicistico, esprimono il legame con la classicità declinata in forme monumentali, con intento di rappresentatività.
Fausto Di Bacco e Salvator Mirante ideano opere con strutture metalliche che spesso assumono la funzione di elementi decorativi e che prendono a modello la tradizione dei petits-hotels francesi. Si ricordano, tra gli altri, anche gli edifici di Sebastián Locati per l'Esposizione del Centenario del 1910 e per alcuni padiglioni destinati al Giardino Zoologico di Buenos Aires che prendono a modello l'architettura effimera.
Virginio Colombo introdusse la pittura murale e la scultura nell'architettura e realizzò la sede dell'Unione Operai Italiani a Buenos Aires. Gaetano Moretti progettò il padiglione italiano all'Esposizione del Centenario, a cui collaborò il disegnatore milanese Mario Palanti (1885-1978). Palanti, che introdusse un neogotico modernizzato, fu uno dei primi a impiegare il cemento armato per progetti quali il Palacio Barolo a Buenos Aires (1922) e il Palacio Salvo a Montevideo (1924), oltre a progettare e a realizzare una pista per automobili sul tetto di un edificio (Edificio Chrysler, 1926) e alcuni grattacieli.
Francisco Gianotti (1881-1967) lavora con manodopera specializzata, così da valorizzare le capacità di realizzazione italiane. Nella sua opera unisce l'ornamento alla progettazione di spazi di grandi dimensioni, basandosi sull'integrazione tra le arti. Fondamentale è anche il suo contributo alla diffusione dell'arte e dell'architettura grazie alla rivista «Áurea», trasformazione della rivista «Arquitectura y Arte Decorativo» (che ricorda l'italiana «Architettura e Arti Decorative», pubblicata a Milano dal Sindacato Nazionale Architetti).

Fig. 5

Nel periodo tra le due guerre si ricorda la presenza di Francisco Salamone e José Gerbino. Il primo fu autore di edifici municipali nella provincia di Buenos Aires, contribuendo allo sviluppo urbano dato dall'affermazione dei poteri locali; Gerbino è da ricordare per l'opera déco del Palacio Minetti a Rosario.
Il dopoguerra vede la presenza di architetti quali Ernesto Lapadula, Enrico Tedeschi e Cino Calcaprina (autore delle Fosse Ardeatine), che si stabilirono in Argentina. A questi si unirono Ernesto Nathan Rogers e Luigi Piccinato, che ebbero un ruolo come consulenti per l'urbanistica di Buenos Aires e fecero lezioni e conferenze a Tucumán, così da diffondere anche alcuni dei testi di Zevi e delle idee espresse su «Metron», rivista a cui erano legati.

Il quadro complessivo è quello di una ricerca volta alla mescolanza dei linguaggi, alla nuova declinazione di un classicismo che fa parte della memoria italiana, sino alla diffusione delle opere di architetti italiani di cui in patria si sono perse le tracce, ma che sarebbe interessante ritrovare per analizzare la scuola italiana e la sua diffusione.

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1, Biblioteca Nacional, Buenos Aires, Clorindo Testa, 1962

Fig. 2, Padiglione Argentina alla XIII Biennale di Architettura di Venezia, 2012 (foto dell'autore)

Fig. 3, Conventillo, Barrio de La Boca del Riachuelo, Buenos Ares, 1880-1920.

Fig. 4, Piano della città di Buenos Aires, 1870
Fig. 5, Casa de Gobierno, Buenos Aires, Francisco Tamburini, 1885