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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

Re Lear, visto da Daniele Salvo

 

Davvero intenso e coinvolgente il Re Lear diretto da Daniele Salvo che ha chiuso la stagione estiva del Globe romano. A cinque anni di distanza dalla prima versione con Ugo Pagliai nei panni del vecchio sovrano, Salvo affronta la titanica impresa di lavorare con un cast molto più giovane, premurandosi di affidare la parte di Lear al più maturo Graziano Piazza e quella di Gloucester a Francesco Biscione. Sebbene a basso costo e laboratoriale, il riallestimento è l'evidente risultato di un duro lavoro sull'attore e il personaggio e di una analisi del testo che tende a sviscerarne le profondità e a sondarne il mistero.

Come già prima di lui Strehler, nella storica versione con Tino Carraro, Salvo denuda il palcoscenico per dar risalto alla densità e alla suggestività della parola e per lasciare emergere il dramma personale di ciascun personaggio. Il suo Lear è, come deve essere, una tragedia corale dove tutti i personaggi hanno una loro storia e dove ciascuno, dai nobili agli umili servi, è parte integrante dell 'immagine unitaria di un mondo uscito fuori dai cardini. Si assiste infatti alla sofferta e dolorosa caduta agli Inferi di una intera generazione, travolta da un totale sovvertimento di valori che spetta ai pochi e perplessi superstiti riaggiustare.

 

Una tragedia per certi versi arcaica (Bloom intravede un parallelo tra Lear e il vecchio Re Salomone) che annuncia l'inizio e la fine dell'umano e, allo stesso tempo, così vibrante di tormenti e di passioni condivisibili da parte dello spettatore, da divenire metafora dell' essenza stessa della vita.

La regia di Salvo non intrappola la tragedia in una categoria tematica (da quella dell'ingratitudine filiale a quella della pazzia) e soprattutto non la costringe ad una lettura parziale che la guardi dal punto di vista politico o psicoanalitico. Nonostante i tagli interni, lo spettacolo tende ad una rappresentazione totale della tragedia che ne porti a galla i conflitti, le brucianti passioni e i nodi irrisolti. Più che agli avvenimenti, si dà risalto al mondo interiore dei personaggi che trova un efficace correlativo oggettivo nello scatenamento degli elementi naturali.

Bellissimo l'attacco, con l'occhio di bue puntato su un trono vuoto verso il quale l'umanissimo Lear di Graziano Piazza avanza con incerta lentezza. Proviene dal pit, accompagnato dall'inseparabile Fool che, diversamente da Shakespeare, non si dilegua dalla scena al terzo atto, ma rimane accanto al suo re sino alla morte. Sin dalle prime battute, Salvo dà pieno rilievo scenico all'umanità del Fool, l'unico nel canone scespiriano a superare la funzione di sollievo comico per divenire personaggio a tutto tondo, malinconico e scherzoso, saggio e infantile allo stesso tempo, il doppio di Cordelia nel suo autentico sentimento d'amore nei confronti di Lear. Un po' clownesco, un po' bambino, il Matto di Selene Gandini fa pensare alla Masina in Giulietta degli spiriti , mentre accompagna Lear nel suo sofferto cammino verso la presa di coscenza di se stesso.

La scena della spartizione del regno si spoglia della solennità che in genere l'ammanta, per mostrare la fragilità e la cecità di Lear che si illude di poter conservare il potere delegandolo. Un Lear per niente mattatore della scena, credibilissimo nel suo alternare momenti di lucidità a improvvisi scatti d'ira, disperatamente violento nei confronti di Cordelia, la figlia più amata, che si rifiuta di recitare la parte che lui le impone. L'isolamento affettivo a cui Lear si condanna con il suo folle love-test salta agli occhi già dal suo primo ingresso in scena e viene svilppato nel corso della rappresentazione in modo insolito e quantomai efficace, mostrando un Lear incapace di distaccarsi dal suo compagno di giochi, un Lear che nel passaggio dalla follia all'auto consapevolezza, regredisce in modo più che mai esplicito rispetto ad altri allestimenti, dallo stato di paternità a quello di figliolanza. Lo stesso accade a Gloucester, interpretato da un intenso Francesco Biscione che arranca sul palcoscenico lento e anchilosato, dando forma attraverso il movimento al suo disorientamento nei meandri della finzione. Doppio e metafora di Lear nella sua incapacità di vedere oltre le apparenze, il vecchio padre, materialmente accecato, viene guidato per mano dal figlio leggittimo Edgar che condensa in cinque parole il senso più profondo della tragedia: <He childed as I father'd>.

Le scene si susseguono a ritmo sostenuto, soprattutto nella seconda parte, e ciscuna possiede l'autonomia di un quadro compiuto e a se stante pur integrandosi organicamente con il tutto. Ci sono scene più intense di altre, soluzioni registiche più o meno efficaci, ma l'insieme riesce nell'intento di trasmettere la densità magmatica dell'emotività dei personaggi.

In alcuni casi gli attori giovani partono con alcune incertezze, per poi entrare nel vivo del personaggio. Come nel caso di Regan (Silvia Pietta) e Goneril (Marcella Favilla) che recitano in modo troppo esplicito la parte delle figlie fintamente devote al padre, per poi riacquistare forza espressiva e credibilità nella scena immediatamente successiva al love-test, quando si strusciano addosso la mappa del regno fatta di pelli animali. Affamate di potere e di possesso, se la contendono per mettersela addosso con movimenti ferini, anticipando la fatale rivalità che le annienterà. Invenzione scenica quantomai efficace perché sintetizza con violenza il tema dell'attaccamento ai beni materiali come impedimento alla conoscenza di se stessi e degli altri, tema che nel testo viene spesso associato a gruppi di metafore legate al vestiario.

L'Edmund di Marco Imparato esplode di rabbia, risentimento, avidità e lussuria, forse a diascapito di una più sottile introspezione psicologica. L'inganno ai danni del fratello leggittimo Edgar è architettato e risolto troppo in fretta, e l'interpretazione punta più sull'esternazione gridata del livore del bastardo e sull'ostentazione del suo dongiovannismo, che non sulle più intime perversioni di questo Iago in miniatura. Edgar rimane un po' intrappolato nel sub-plot per assumere una qualche statura drammatica soltanto alla fine della tragedia dove compare come nuovo governante e, soprattutto, come uomo nuovo alle prese con un futuro incerto.

Gli interpreti più giovani, pur promettendo buone doti attoriali, danno il meglio di se stessi nelle scene collettive. Come nella potente scena nella capanna (III, iv) dove Lear, Kent e il Matto trovano rifugio dopo la tempesta, seguiti poi da Edgar nei panni di Tom O'Bedlam e da Gloucester. Una nitida icona dell'umanità ridotta a osso di seppia. Salvo crea una continuità tra questa scena e quella centrale della tempesta dove Lear appare sdraiato su un piano inclinato con ancora indosso i panni regali. Nessuna luce accecante a illuminare e a centralizzare la solitudine del vecchio ripudiato dalle figlie e lasciato in balìa della furia degli elementi, ma un uomo in bilico nel nulla (la scena è buia) che gradualmente si spoglia delle vesti regali insieme a coloro che come lui si inabissano nella tempesta della follia per giungere alla verità. La straziante tragedia di Lear, così intima e vibrante di dolore, è anche quella dei suoi compagni che come lui hanno mal riposto il loro amore e ceduto alle apparenze. L'allestimento restituisce alla tragedia la sua valenza di metafora viva della condizione umana, mette in risalto la valenza fortemente tragica dell'eccesso e dell'assenza di amore ed enfatizza la drammaticità del passaggio generazionale. Più che comunicare fiducia nella possibilità di affrontare la realtà, gli ultimi versi pronunciati da Edgar esprimono la lucida consapevolezza dei propri limiti e della precarietà del futuro. L'invenzione scenica dell'immagine del Matto impiccato distrae dall'intensità della chiusa più toccante del canone scespiriano, ma in parte ne accentua la drammaticità:

Edgar: < Spetta a noi il peso di questi tristi tempi Dobbiamo dire ciò che sentiamo dentro e non perché siamo costretti a dirlo. Il più vecchio di noi ha sofferto. Noi che siamo giovani non vedremo mai così tante cose e non vivremo certo tanto a lungo>.

La traduzione agile e colloquiale di Tadini non rispetta la musicalità drammatica del blank verse scespiriano che conferisce a questi versi la sonorità solenne di una verità assoluta. Le parole vengono enunciate in modo spontaneo, veloce e diretto, come avrebbe potuto dirle un qualsiasi coetaneo di Edgar di oggi, e il corpo penzoloni del Matto potrebbe alludere alla perdita inesorabile della saggezza e dell'innocenza o forse anche al rimpianto della guida di un qualche "folle" che, dicendo la verità, illumini la strada alle nuove generazioni.

Meriterebbe di essere replicato al chiuso questo Lear che,senza stravolgimenti testuali o violenze registiche, conserva tutta l' universalità e quindi la contemporaneità del capolavoro scespiriano. Anche perché l'uso dei microfoni che l'acustica del Globe impone, rischia di compromettere l'immediatezza dell'impatto scenico.

  

Scheda tecnica

RE LEAR, di William Shakespeare. Traduzione di Emilio Tadini. Scene: Fabiana Di Marco. Costumi: Silvia Aymonino. Musiche: Marco Podda. Con: Francesco Biscione, Marco Bonadei, Mimosa Campironi, Simone Ciampi, Elio D'Alessandro, Pasquale Di Filippo, Diego Facciotti, Marcella Favilla, Selene Gandini, Alessio Genchi, Enrico Gimelli, Marco Imparato, Graziano Piazza, Silvia Pietta, Tommaso Ramenghi, Giuliano Scarpinato.   Regia di Daniele Salvo.

Visto al Globe Silvano Toti di Roma il 22 settembre 2013.

 

 

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