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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

L’Africa amara di Peter Brook

Che il teatro narrativo stia ormai prevalendo su quello più squisitamente drammatico è ormai fatto assodato. La tenuta ritmica e la tensione della performance di quegli spettacoli che si fondano su adattamenti di romanzi per la scena non sempre risultano all’altezza della impresa. Ma il grande vecchio del teatro internazionale ha saputo catturare nel racconto del Mahabharata generazioni di spettatori che conservano ancora vivo il ricordo della ipnotica e mesmerica rappresentazione del grande epos indiano.

Stessa sorte non credo possa toccare a Eleven and twelve, l’ultimo spettacolo giunto in Italia di cui Brook firma la regia. In realtà si tratta della versione anglicizzata di Tierno Bokar che Brook tradusse e adattò nel 2004 insieme a Marie-Hélène Estienne dal romanzo autobiografico di Amadou Hampté Ba, Le Sage de Bandiagra. Un’opera mastodontica in cui lo scrittore del Mali disegna il grandioso affresco dei fermenti e le trasformazioni culturali della sua terra d’origine oltre a ritrarre la grande figura del maestro Sufi , Tierno Bokar  La prima versione in lingua francese dava forse maggior risalto alla spiritualità di Bokar, anche grazie alla interpretazione solenne e misticheggiante di Sotigui Kouyaté. A detta di Brook, la più recente è stata tradotta in lingua inglese proprio per rendere più “terrena” questa sua parabola africana sulla tolleranza, che, oltre ad essere più breve della precedente, si arricchisce inoltre di episodi vagamente comici. E non è un caso che abbia affidato questa volta il ruolo di Bokar ad un attore palestinese perché la vicenda locale diviene qui emblema e spunto di riflessione universali.

La vicenda ruota intorno ad una antica disputa dottrinale che spaccò in fazioni la pacifica comunità del remoto villaggio di Bandiagra durante gli anni dell’occupazione francese. Fiumi di sangue furono versati intorno alla opportunità di recitare una preghiera, “ la perla della perfezione”, undici volte, come prescritto dalla tradizione, o dodici. La variazione numerica ebbe origine quasi un secolo prima, da un fatto accidentale, perché fu il ritardo dello himam Ahmed al-Tijani, a spingere i fedeli a recitare la preghiera mattutina una volta in più , in attesa di ricevere la sua benedizione. Questo fatto apparentemente banale, creò schieramenti e , con il tempo, moltiplicò i conflitti tribali , alimentati, come se non bastasse, dall’interferenza delle autorità francesi che sostenevano il partito dei 12. Brook, tuttavia, non sembra tanto interessato alla violenza insensata delle battaglie o alla strumentalizzazione dei conflitti interni operata dai francesi, temi che, detto per inciso, avrebbero offerto lo spunto per una maggiore tensione drammatica. Gli antefatti vengono riassunti in un prologo recitato da un attore nei panni del giovane Hampté Ba e lo spettacolo liofilizza la vicenda in settantacinque minuti di rappresentazione che si concentrano più che altro sui tentativi di Tierno Bokar e di Sheriff Hamallah (sostenitore del partito dei 11) di vivere nella reciproca tolleranza.

Ed ecco che lo spazio scenico rigorosamente vuoto si trasforma in una sorta di isola di Prospero, poco connotata dal punto di vista geografico e sospesa nel non tempo. Già prima che lo spettacolo inizi, mentre gli attori preparano gli oggetti di scena con movimenti lenti e meditati, ci si sente partecipi di un rituale e dai corpi degli officianti emana un senso di pacato distacco dagli affari terreni. Il décor è essenziale e ogni oggetto polifunzionale. C’è un grande drappo rosso che viene piegato e ripiegato fino a modellare ora una barca che beccheggia quando il narratore attraversa un fiume, ora un sepolcro. La sabbia dorata , un paio di alberi spogli, qualche utensile in legno bastano ad evocare l’Africa , intesa qui come grande terra madre delle origini e culla della spiritualità. L’azione è frammentaria ed episodica e si plasma sul racconto del giovane Hampaté Ba, un racconto semplice e diretto che sembra affondare le sue radici nella lontana tradizione orale locale. I fatti dolorosi sono quindi filtrati dalla sua memoria , mentre i suoi mutevoli stati d’animo vengono sottolineati dalle percussioni di Toshi Tsuchitori che è sempre presente in scena. I dieci attori di diverse etnie impersonano più di un personaggio, passando da un ruolo ad un altro con studiatissima naturalezza, tale che il pubblico quasi non si accorge dei passaggi. Non c’è una vera e propria trama in questo spettacolo che a tratti assume i caratteri di una parabola . C’è una storia che va dall’infanzia di Hampté Ba, al suo incontro con Bokar, dalla vita tranquilla alle faide, dal ripudio subito da Bokar da parte della sua comunità per avere accolto il vecchio rito agli incontri con i generali francesi. Ma tutto sembra volgere a passo lento ma sicuro verso la conclusione che è il vero fulcro dello spettacolo. Parlo dell’ incontro tra i due capi delle opposte fazioni , il momento in cui l’odio svanisce e ogni dogma comincia a vacillare : “ Esiste la tua verità, la mia verità , la verità”. Ma il relativismo , la sospensione del giudizio e l’utopia sono la premessa del racconto e aleggiano tra le sue maglie sin dalle prime battute. Ogni accadimento sembra essere sotto il controllo del narratore, proprio come succede ne La Tempesta scespiriana dove tutto viene inscenato e re- inscenato secondo la volontà di Prospero e con l’aiuto di Ariel. I fatti sembrano immobilizzati nella memoria di chi li narra con l’intento di trasformarli in monito o sermone.

Questo potrebbe spiegare la staticità a volte soporifera della piéce che nel suo svolgersi riesce solo a tratti ad avvincere lo spettatore. Non mancano episodi di sollievo, come quando i ragazzi del villaggio si stupiscono che le feci dei bianchi non siano anch’esse bianche, oppure ogni qual volta la tracotanza degli ufficiali francesi viene messa alla berlina. Ma questa comicità appare incongrua e, più che altro, contribuisce semmai alla dispersione della tensione drammatica. Così questa che Brook ama definire una recherche théatrale in omaggio al grande mistico africano rischia di diminuire la portata di un patrimonio culturale peraltro remoto se non addirittura a noi estraneo . La sintesi che da sempre è la cifra stilistica di Brook porta ad una semplificazione che , ignorando la valenza simbolica dei numeri nel pensiero sufista, rischia di minimizzare il significato di quell’undici e di quel dodici. Il materiale drammatico viene come ridotto ad aneddoto e la narrazione si infittisce di aforismi, epigrammi e massime che vanno frasi di indubbio effetto, “Dio è l’imbarazzo della mente umana”, a veri e propri truismi, “ La verità non appartiene a nessuno”. L’Islam viene decontestualizzato e filtrato da un punto di vista europeo ma lo spettacolo non scivola nel semplice esotismo grazie alla maestria degli attori che danno corpo e anima alla parola. Ciascuno è consapevole dello spazio che lo circonda e del corpo dell’altro; i movimenti sono sempre ben equilibrati e il modo che hanno di fissarsi negli occhi permettono allo spettatore di sperimentare sulla propria persona ciò che è oggetto di meditazione. Makram Khoury riporta in vita il maestro coranico in modo assolutamente avvincente rendendo tangibile la semplicità dei suoi modi e la ricchezza del suo sentire , tanto che il suo incontro con Hamallah costituisce il momento più intenso dell’intero spettacolo.

La cifra stilistica è sempre e comunque di alto livello anche se rivela i segni di stanchezza del grande ottuagenario da cui , per sua sfortuna, ci si aspetta un coinvolgimento ed una intensità che non sempre possono esserci a teatro. Anche quando , appunto, il mago della scena è Peter Brook.

 

Scheda tecnica
Eleven and Twelve, tratto da “Vie et enseignement de Tierno Bokar- La Sage de Bendiagara “ di Amadou Hampaté Ba.Adattamento : Marie-Hélene Estienne. Musica: Toshi Tsuchitori. Luci: Philippe Vialatte. Costumi: Hélene Patarot.
Con : Antonio Gil martinez, Makram J. Khoury, Tunji Lucas, Jared McNeil, Khalifa Natour, Abdou Ouologuem, Maximilien Seweryn.
Regia : Peter Brook.

Prima nazionale : Festival dei Due Mondi di Spoleto 2010.

 

 

 

 

 

 

 

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