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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Testuali parole

La lezione delle false teste di Modigliani

 

Trent’anni or sono, nel centenario della nascita di Modigliani, si compì la beffa storica delle false teste. Beffa clamorosa e celeberrima, ma forse non del tutto sviscerata nelle sue numerose implicazioni.

Tutti sono a conoscenza dell’essenzialità del fatto: tre giovanotti scolpiscono delle teste che sono attribuite da illustri critici all’artista. Il senso della storia, da tale impreciso sunto, per l’opinione pubblica, sta nella presa in giro di personaggi altolocati e importanti: sovrintendenti, “professoroni”, amministratori. Una specie di rivincita del popolino. Ignoranza batte cultura (e potere) uno a zero. La bistrattata plebaglia può ghignare all’indirizzo dell’aristocrazia accademica.

Il fatto costituisce un grave infortunio della critica, destinato a durare nel tempo. Ma alla fine i due mondi sono destinati a restare divisi e incomunicabili. La massaia livornese dà uno sguardo distratto al fosso, mentre esce dal mercato con qualcosa avvolto proprio nel giornale dove c’è l’articolo dell’intellettuale, con le sue preziose riflessioni elargite dalla torre di avorio di istituzioni prestigiose e  inarrivabili.

In breve, che cosa è accaduto?

Nel 1984, in occasione del centenario della nascita di Modì, si organizza e allestisce una mostra. Per arricchirla di opere, anche con un ritrovamento clamoroso, si decide di cercare quelle teste che, secondo una leggenda che circola, sarebbero state da lui gettate nel fosso reale di Livorno. Ma per quale motivo avrebbe fatto ciò? Amareggiato per l’incomprensione degli amici del caffè? Accidenti, che perniciosa influenza! O perché, in procinto di partire per Parigi, si sbarazzava di abbozzi dei quali non era soddisfatto?

Passano i primi giorni, non si trova niente, ma in compenso viene trovato di tutto: una bicicletta, una carrozzina, ecc. che il popolo si diverte ad assegnare a Modigliani, agli antipodi della raccolta differenziata di là da venire.

Tre studenti scolpiscono una testa e la buttano nottetempo nel fosso, vicino a dove la draga sta lavorando. Il giorno dopo uno di loro si reca nel luogo delle ricerche, dove un certo fervore lo avvisa che qualcosa è accaduto: una testa è stata ripescata. Convinto di vedere la propria opera al telegiornale, aspetta con ansia ma scopre che non si tratta del suo lavoro. Allora pensa: la testa è autentica.

Un vero paradosso! (Un paradosso nel quale incorrerà anche l’altro autore dei falsi). Dopo se ne scoprono altre due. E naturalmente una di queste è quella degli studenti. Che cosa è accaduto? In tre hanno scolpito una testa, mentre le altre due sono opera di un portuale, artista non professionista, politicizzato.

Studiosi del calibro di cattedratici della Normale di Pisa, della Sapienza di Roma e altre autorità, tra i quali l’autore del manuale di storia dell’arte per eccellenza, certificano l’autenticità dei lavori. Usciranno dalla vicenda malconci e ridicolizzati.

È ingeneroso rileggere o riascoltare le parole entusiastiche con cui accoglievano i falsi grossolani: “L’Annuncio, la Rivelazione, ecc.” e le argomentazioni con cui a detta loro se ne dimostrava l’autenticità: “ la finezza della realizzazione, alcune inequivocabili caratteristiche tecniche” e via dicendo.
Solo alcuni critici sono dubbiosi e il primo e più deciso sostenitore della contraffazione grossolana è Carlo Pepi, esperto di Modigliani e grande collezionista.

Anche la figlia dell’artista, Jeanne Modigliani, dichiara di non credere alla “leggenda del canale”. Riceve una lettera anonima.  Muore pochi giorni dopo il ritrovamento, prima che i contraffattori siano venuti allo scoperto, in seguito a una caduta dalle scale, a detta di alcuni, sospetta.
Si prepara in gran fretta una pubblicazione, le televisioni estere dànno la notizia. Di fronte a tanto clamore si fanno avanti i tre burloni che sono invitati a rifare un’opera simile in diretta televisiva.

Una prima riflessione. Se avessero finto di ritrovare la testa sarebbero stati certamente smentiti e sbugiardati: la ricchezza che si creava sarebbe andata a loro vantaggio e perciò il ritrovamento sarebbe stato più che sospetto.

Il secondo autore delle altre due teste, Froglia, dichiara intenzioni diverse rispetto alla semplice burla: si trattava, a suo dire, di un modo per denunciare i mass media e il loro potere di convincere le masse di qualsiasi corbelleria. Anni dopo modifica la propria versione sostenendo di essere stato “ispirato” (e persino strumentalizzato) da alcune persone appartenenti all’amministrazione comunale. Si configura un boicottaggio ai danni del Comune di Livorno che aveva finanziato la ricerca, con la denuncia dello spreco del pubblico denaro, o piuttosto un’oscura manovra motivata  da reconditi interessi personali?

Nel ’91, il cliente di una carrozzeria, tale Saracino, stilista , nota delle teste esposte nell’officina. Sono state salvate dai bombardamenti dal titolare della carrozzeria, Carboni, che le ha prelevate dalla casa di uno zio, detto “Solicchio”, che sembra essere stato anche ritratto da Modigliani nella pittura “Il mendicante di Livorno”.  Lo stilista si accorda per un compenso del cinquanta per cento sul valore che riuscirà a concretizzare per opere che ritiene originali. Si rivolge a Pepi che le considera con sicurezza autentiche. Saracino allora chiede alle autorità istituzionali un parere, che non arriva mai. Pepi suggerisce di fare la richiesta di esportazione in modo da costringere gli enti preposti a prendere posizione. Ma nessuno ha più il coraggio di esprimere un giudizio, soprattutto favorevole.

La vicenda finisce in tribunale. Le statue sono dichiarate false da un esperto che le confronta con un’opera che è, quella sì, falsa. Nel frattempo in una mostra viene esposto un disegno molto simile ad una delle teste, esse presentano anche particolari simboli della cultura ebraica, e tutto ciò avvalora la tesi dell’autenticità. Saracino, Pepi e Carboni sono assolti.
Intanto si apre un’altra controversia: gli eredi di Solicchio rivendicano la proprietà delle opere. Le ritengono sottratte ai legittimi padroni da Carboni, il carrozziere.
Nel frattempo una delle tre teste scompare, non si sa che fine abbia fatto mentre le altre finiscono ricoverate in qualche deposito in attesa di una qualche soluzione delle controversie.

Solo in Italia poteva svolgersi una storia simile che si stenta a sintetizzare e a esporre senza inevitabili inesattezze.

I tre ragazzotti, da allora ogni tanto, più o meno invecchiati, sono invitati in tv per interviste. Ma che cosa possono dire di nuovo? Accolti spesso dall’ospite-presentatore del programma con sufficienza, guardati come bambinoni, ci si congratula con loro con benevolente e condiscendente superiorità. Un conduttore famoso chiede: “Avete intenzione di mettere su famiglia? I vostri figli saranno capaci di fare scherzi come questo?” Da non credere.
Va in scena, a distanza di anni, l’invidia di critici e storici dell’arte di seconda scelta, che non stanno nella pelle dalla felicità di vedere umiliati studiosi più accreditati di loro.

Viene da chiedersi allora: se i “falsari” non si fossero fatti vivi con le prove ( una foto e addirittura un filmato nel caso di Froglia), queste “opere” sarebbero la gloria di qualche museo a dispetto della loro natura? Anche se fossero state scolpite da Modigliani, le teste non avrebbero avuto nessun valore, come sentenziò Zeri (tra l’altro messo sull’avviso da una telefonata anonima) e l’artista avrebbe fatto bene a “rifiutarle” come prove mal riuscite. Ma certo non si rende un buon servizio alla memoria dell’artista considerandolo possibile autore di simili obbrobri.

La mercificazione dell’opera d’arte propone tanti problemi: il valore sta ancora nella qualità dell’opera o non piuttosto nel fatto che l’artista l’ha toccata? Il medesimo manufatto può avere un valore di milioni di euro o non valere nulla, dipende solo da chi l’ha eseguito? Quel che conta è la firma?

Gli errori degli eminenti storici dell’arte sono principalmente due: aver avuto la presunzione di essere anche esperti e conoscitori, come se fosse possibile essere esperti di qualsiasi autore e di qualsiasi epoca e, ancora peggio e senza rimedio, non saper distinguere la bellezza dal suo contrario.

Attenzione però, la nostra acrimonia non deve sbagliare bersaglio: gli studiosi di allora erano veramente grandi per molti aspetti, non erano invadenti, non monopolizzavano i media come quelli di oggi, imbonitori di successo, meno colti e più prepotenti. Sono i miserabili che si guadagnano da vivere con la penna, come diceva Zeri, paragonandoli all’Aretino. Le false teste, oggi esposte al pubblico, costituiscono un monito. Avvertono di non abbandonare mai lo spirito critico e l’indipendenza di giudizio e mettono in guardia riguardo agli attuali “soloni” dell’arte.

Una nota personale

Il compito della cultura è quello di migliorare la comprensione del mondo e della società nella quale viviamo. Non possiamo perciò disinteressarci dell’arte dei nostri giorni. Non possiamo rassegnarci al suo carattere élitario e all’esclusione della stragrande maggioranza della popolazione. L’arte di oggi è molto diversa da quella del primo ‘900, anche se ne è l’erede per tanti aspetti. È spesso arte concettuale che rinuncia alla tecnica tradizionale delle arti figurative. È spesso arte che non può appellarsi a facili criteri per l’individuazione del valore. Il rischio allora è quello che solo il critico possa stabilire ciò che è arte.

 

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