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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Il Palatino e il suo giardino segreto

 

 

Il Palatino e il suo giardino segreto. Nel fascino degli Horti Farnesiani

Intervista all’architetto Giuseppe Morganti, curatore della mostra.

Fig. 1  

E’ stata prorogata fino al 18 novembre la mostra Il Palatino e il suo giardino segreto. Nel fascino degli Horti Farnesiani, curata dall’architetto Giuseppe Morganti al Palatino, colle della mitica fondazione di Roma e da sempre luogo noto per la presenza di testimonianze delle epoche più antiche e per la straordinaria stratificazione archeologica. L’esposizione offre l’opportunità di visitare le uccelliere degli Horti Farnesiani appena restaurate e approfondire la conoscenza di un momento meno noto per questo sito, tuttavia importantissimo per Roma, il Rinascimento; è il tempo in cui la famiglia Farnese avvia la realizzazione di un magnifico giardino nel luogo simbolicamente più legato alle origini dell’Urbe nobilitandolo con raffinati elementi architettonici, fontane e giochi d’acqua, secondo la consuetudine di alcuni mecenati del XVI secolo presente in altri esempi romani e laziali, dove il rapporto fra natura e architettura si è materializzato, e spesso fortunatamente conservato, con esiti straordinari.

Il Palatino ed il Foro romano generalmente sono riconosciuti per il valore legato all’antichità e all’origine di Roma antica, tuttavia questa mostra, come altre iniziative precedenti, vuole sottolineare il fatto che anche in epoche successive all’antico, e quindi anche nel corso del Rinascimento, siano stati luoghi cruciali. Come nasce questa esposizione e qual è la vicenda della famiglia Farnese che vuole rinnovare il proprio nome e legarlo all’origine di Roma andando ad insediarsi sul Palatino?

L’attività intrapresa dalla Soprintendenza, oggi Parco archeologico del Colosseo, mira a restituire un’immagine del Palatino non più esclusivamente legata solo all’archeologia e in particolare all’archeologia classica. Si trattava di un ruolo a cui la cultura archeologica dell’Ottocento, fondatrice dell’archeologia in quanto tale, lo aveva un po’ relegato. Infatti nel momento in cui Roma Capitale, dopo l’Unità d’Italia, viene sottoposta all’espansione urbanistica legata al nuovo ruolo, all’immigrazione delle classi lavoratrici, alla creazione dei ministeri, si individua nel Palatino quasi un “santuario dell’archeologia”, cioè un luogo dove la ricerca archeologica potesse estendersi liberamente.

Fig. 2

Fig. 3

 

Fig. 4

Il fatto che in quella temperie culturale il riferimento fosse proprio quello della Roma arcaica, repubblicana e soprattutto imperiale, fa sì che le fasi più recenti che si incontrano andando a ritroso nel tempo nell’opera di scavo per raggiungere i livelli più antichi, dall’imperiale in poi, siano state fatalmente cancellate, poco considerate e poco oggetto di valorizzazione.

Il quadro che oggi vediamo del Foro romano è quindi quello degli scavi post-unitari che hanno riportato il luogo al livello della piazza del Foro, ovvero della fase piena dell’Impero, con alcuni approfondimenti di epoca anche più antica. Si pensi come esempio più emblematico al Lapis niger. Tutte le testimonianze delle epoche intermedie vengono rimosse, salvo rari casi e pochi edifici trasformati in tempi successivi, come San Lorenzo in Miranda nel tempio di Antonino e Faustina o strutture antiche riconvertite come nel caso di Santa Maria Antiqua che, riutilizzati, si sono conservati. Nel caso degli Horti Farnesiani, rispetto all’estensione originaria, le parti superstiti sono molto ridotte; tuttavia, sebbene limitate, sono oggetto di questa seconda mostra al Palatino, dopo quella realizzata in occasione della presentazione del restauro di Santa Maria Antiqua.

Le Uccelliere e il complesso del Teatro delle Fontane, a cui si sperava di aggiungere anche il restauro del Ninfeo della Pioggia che avverrà in un secondo momento, sono il contesto conservato in modo unitario rispetto alle demolizioni del fronte del giardino affacciato sul Campo Vaccino, che si estendeva a destra e a sinistra di quanto oggi rimasto visibile sulla sommità del Palatino, per la parte propriamente detta del giardino. L’insieme delle fontane e del Ninfeo della Pioggia rappresenta quindi un contesto unitario sopravvissuto e giunto fino a noi, finora mai adeguatamente conservato e tanto meno valorizzato. L’operazione intrapresa con la mostra tenta di valorizzare proprio questi luoghi: le Uccelliere e la Fontana del Teatro, il cosiddetto fontanone.

La scelta dei Farnese di insediarsi sul colle Palatino è certamente densa di significati, potresti descriverci come arrivano in possesso dell’area e se prima di loro ci sono state altre famiglie che hanno cercato di insediarsi in questo sito?

E’ vero, in realtà il Palatino era a quel tempo il solo fra i sette colli dell’antica città ancora privo di insediamenti. Le altre alture erano già occupate da ville e giardini: sul Quirinale la villa Carafa, poi d’Este, iniziata nel 1504; a Monte Mario villa Madama, fra il 1517 e il 1530; sul Gianicolo villa Lante, fra il 1518 e il 1531; sul Viminale gli Orti Bellaiani, del 1549. Una delle cause dei ritardi fu certo la parcellizzazione dei fondi, articolati in vineae appartenenti a otto diversi proprietari. Un ruolo importante dovette giocarlo anche il reverenziale ritegno a intervenire nel recinto sacro del Palatium.

Fig. 5

Fig. 6

I Farnese operano in un contesto caratterizzato da resti di fabbriche antiche, crolli, aree sconvolte da devastazioni, escavazioni di fabbriche antiche fatte nei secoli precedenti, e da piccole, a volte minuscole, proprietà agricole: si trattava delle così dette “vigne”. La situazione delle proprietà era infatti molto frazionata: piccoli appezzamenti di terreno con modesti ripari, appoggiati spesso sulle fabbriche antiche, in un contesto essenzialmente agricolo. Quasi case del fine settimana, proprietà di famiglie non necessariamente altolocate. Situazione assai diversa rispetto a quello che sarà poi il giardino farnesiano.

I Farnese compiono un’operazione simmetrica e anticipatrice rispetto a quella che compie lo Stato italiano all’indomani dell’unificazione, e che poi in parte verrà ripetuta negli anni del Fascismo con la realizzazione di via dei Fori imperiali, ovvero l’appropriazione di un luogo simbolico, il Palatino. Trovarsi su questo mitico colle e realizzare qui un giardino di delizie, infatti, rappresentava un elemento qualificante per la famiglia e per il suo ruolo.

E’ il cardinale Alessandro Farnese (1520-1589), nipote di papa Paolo III (1468, papa dal 1534 al 1549, anche lui di nome Alessandro prima della salita al soglio pontificio) a intraprendere l’operazione di acquisizione di una decina di queste “vigne”. Ciò avviene negli anni immediatamente successivi a quelli della venuta a Roma di Carlo V (1536). L’imperatore, di ritorno dalla pace di Tunisi e dalle battaglie sostenute nel sud d’Italia, risale la penisola e viene a rendere omaggio al papa. Operazione riparatrice del Sacco di Roma (1527), avvenuto dieci anni prima, ma le cui ferite non erano ancora rimarginate. Paolo III aveva intrapreso l’opera di risarcimento dei danni del Sacco e di ricostruzione della città (la renovatio urbis) che facevano di lui una sorta di nuovo fondatore della città, un “novello Romolo”, ruolo attribuitogli da un’efficiente attività propagandistica letteraria, curata non solo dal nipote Alessandro, ma da alcuni importanti umanisti esponenti di un sofisticato cenacolo intellettuale legato alla corte pontificia. La visita di Carlo V quindi rende omaggio al pontefice riparatore della ferita del Sacco e al tempo stesso tende ad assicurarsi la sua neutralità nella lotta con il re di Francia.

Per tutto questo il Palatino è complemento indispensabile. Avere una proprietà sul Palatino legittima e sostanzia il ruolo di difensore di Roma, “novello Romolo” e “difensore della Pace”. A questo riguardo si consideri che gli Orti farnesiani fronteggiano quei ruderi che solo dai primi dell’Ottocento sono noti come basilica di Massenzio. Nel Rinascimento essi erano creduti essere appartenuti al Tempio della Pace, e quindi il dialogo che il giardino instaura con quei resti sottolinea il ruolo di Paolo III quale defensor pacis. Quanto alla figura di “novello Romolo” aggiungerei ancora una nota, scaturita dalle riflessioni che nel corso della preparazione di questa mostra sono venuto compiendo con la collega Paola Brunori, che insieme a me ha curato questa realizzazione. Ci si è interrogati spesso sulla particolarità che all’interno del giardino dei Farnese sul Palatino non sia presente, anche nel momento di massima compiutezza e splendore, o previsto, un “palazzo”, una “villa”, una qualche forma di struttura residenziale come invece negli altri giardini presenti in altri luoghi della città. Questo – è stato detto – era certamente dovuto alla presenza, poco lontano, del palazzo di famiglia, e che palazzo. Ma forse non basta. Altri giardini avevano palazzi di famiglia poco distanti. Qui c’era un motivo in più: il richiamo a Romolo, e alla capanna. Quindi niente residenze sfarzose: solo piccoli edifici e allestimenti tipici del giardino: padiglioni e gallerie in treillage, pergole e altre architetture temporanee.

La situazione orografica del Palatino costituisce una sfida ed un’opportunità per i progettisti degli Horti, quanto ha influito per la comprensione degli elementi architettonici degli Horti la restituzione dei percorsi e dell’orografia con vedute e panorami?

Gli Horti sono caratterizzati dalla loro posizione orografica elevata con pendici scoscese e dalla presenza dei resti delle fabbriche antiche, che in qualche caso venivano in soccorso del progettista, fungendo da fondazioni, in altri casi richiedevano di essere obliterate e nascoste per non entrare in conflitto col disegno generale. Tutto ciò ne ricollega il modello insediativo a molti esempi del panorama romano e laziale e a molti complessi sorti in seguito che si sono ispirati ad essi. Tutti temi sapientemente messi a frutto dai progettisti del giardino. Non disponiamo di documenti che ci permettano di attribuirne con certezza la paternità, ma certo Giacomo Del Duca e Jacopo Barozzi da Vignola, sia per ragioni stilistiche che per contemporanea attività su incarico della famiglia Farnese, hanno lavorato agli Horti. Più tardi abbiamo con relativa certezza notizia della presenza di Girolamo Rainaldi come progettista della definitiva sistemazione del giardino, realizzata per le nozze di Odoardo con Margherita de’ Medici.

Fig. 7

Fig. 8

Gli Horti Farnesiani sono strutturati con un complesso di elementi architettonici che propongono l’orientamento principale legato all’affaccio sul Foro Romano (all’epoca “Campo Vaccino”) e, come abbiamo visto, al colloquio con la Basilica di Massenzio-Tempio della Pace. Vi sono, a contrappunto, molti elementi trasversali pianeggianti che articolano e interrompono la risalita del ripido colle. Il pendio e i viali ortogonali alla direttrice che scandiscono i momenti della risalita sono contraddistinti da diversi elementi. Il primo in particolare è subito retrostante al muro di cinta di Campo Vaccino, con le aperture che corrispondevano non tanto a particolari visuali o focus visivi, ma quasi quadri di un’esposizione. Un “tipo” specifico del giardino cinquecentesco, i cosiddetti ahah!, chiamati così dall’esclamazione estasiata alla vista del panorama inquadrato.

Tutti i viali, orientati in senso est-ovest, correvano incrociando perpendicolarmente i percorsi di risalita orientati invece nord-sud, e ne scandivano i momenti salienti e le tappe che si trovavano lungo la risalita stessa. Un momento saliente del percorso si trova sulla terrazza subito sopra il Ninfeo della Pioggia; l’altro si trova alla base delle uccelliere davanti al Teatro delle Fontane. Ad ognuno di questi luoghi corrispondeva l’intersezione con un viale e un’apertura nel lato orientale del muro di cinta verso via della Polveriera, odierna via San Bonaventura. Qui si trovavano gli ingressi secondari al giardino. Essi consentivano l’accesso a carrozze e carri per il raggiungimento dei vari punti del giardino. Ma le direttrici erano puntate sui focus più significativi: il più basso collegava il portale ai casini angolari posti alle estremità del muro di cinta, inquadrando a occidente il Campidoglio e a oriente il Colosseo; l’intermedio giungeva alla “palazzina”, scoprendo la chiesa di Santa Maria Liberatrice e ancora il Campidoglio; il più alto correva ai piedi delle uccelliere, rasentando la base della “Torretta” o “Osservatorio” (altro piccolo ambiente appartenente al corredo edilizio dei giardini) e puntava anch’esso sul Campidoglio, passando sotto i resti della Domus Tiberiana, in quel punto affioranti, e infatti ampiamente rappresentati nelle vedute dell’epoca, nel continuo dialogo fra il rudere e l’architettura cinquecentesca.

Le scelte del restauro. Voi siete intervenuti in questa fase essenzialmente sulle Uccelliere ed avete fatto due interventi interessanti: il restauro materico delle Uccelliere ed un restauro più suggerito, fatto di proiezioni con tecnologie multimediali che consentono di avere una restituzione immaginifica di quel che poteva essere l’architettura originaria senza però andare ad intaccare la materia. Come avete agito e quale è stato l’approccio dei due restauri? 

L’obiettivo era ricostruire quanto più possibile degli Horti Farnesiani. Da un lato perché in un Palatino essenzialmente archeologico, classico, imperiale, antico, lo scopo precipuo era di ridare – non tanto vita, ché quella per fortuna non è mai andata del tutto perduta – ma certo leggibilità alle presenze cinquecentesche era il fine principale. D’altro canto per il prevedibile fine di salvaguardare quanto restava di questo magnifico, ma poco compreso giardino. Per fare questo abbiamo agito su due registri. Il primo propone la ricostruzione immaginaria e virtuale, basata sulle tecniche multimediali-digitali, per “vedere” e immaginare meglio quello che oggi non esiste più.

Fig. 9

Fig. 10

Fig. 11

Il secondo ha avuto per oggetto il restauro della materia reale del complesso, ovvero di ciò che invece è rimasto, giungendo fino a noi. Qui l’intento è stato quello di procedere a un’ampia restituzione di ciò che nel corso del tempo, sulle fabbriche superstiti (le Uccelliere e il Teatro delle Fontane) che hanno resistito alle distruzioni e alle cancellazioni dovute agli scavi, è andato per la massima parte perduto, ma non completamente perduto. Occorre a questo punto ricordare le vicende del declino degli Horti.

Nel corso del Seicento la famiglia Farnese lascia le sedi romane, e in seguito si estingue, fondendosi per via del matrimonio di Elisabetta, nella famiglia Borbone. I giardini diventano un pensiero e una preoccupazione: l’imperativo è (niente di nuovo sotto il sole) “ridurre le spese”. Inizialmente vengono concessi in enfiteusi e poi progressivamente in forme sempre più ampie agli originari giardinieri.

Il giardino e le fabbriche restano privi di cure; nel giardino gli enfiteuti avviano colture di tipo utilitario, che un po’ alla volta sostituiscono gli impianti ornamentali. Lo stesso Francesco I di Borbone si riserva il diritto di condurre ricerche archeologiche: nelle aree sconvolte dagli scavi si insediano nuove colture e un po’ alla volta il giardino si trasforma in “Azienda agricola”.

Le fabbriche conoscono sorte analoga: in particolare le Uccelliere vengono private (per sfruttare i preziosi materiali costitutivi) delle coperture metalliche che le caratterizzavano. Restano in piedi solo i muri d’ambito, l’interno è trasformato in ricovero per tutt’altro tipo di volatili, rispetto a quelli per i quali erano state progettate, ovvero galline ed altri animali da cortile. La decorazione si perde per mancanza di manutenzione, di attenzione e per la perdita delle protezioni elementari (sistemi di smaltimento delle acque, coperture etc.). Le uccelliere entrano nel XIX secolo in queste condizioni, testimoniate da una gran quantità di rappresentazioni dovute ad artisti che subivano comunque il fascino romantico e seducente del giardino abbandonato. Ricordiamo fra gli altri William Turner e Charles Percier, dei quali sono esposti in mostra riproduzioni di acquerelli e disegni che mostrano le uccelliere ridotte a poco più che ruderi.

In questa situazione, già negli anni dell’amministrazione napoleonica (1809-1814), un progetto prevede di trasformare le Uccelliere: un disegno (attribuito a Valadier) le mostra trasformate in un edificio neoclassico, privo delle coperture a profilo mistilineo, con copertura piana, e fuse in unico edificio mediante l’aggiunta di un corpo di fabbrica di collegamento al centro. La decorazione è scomparsa. Il disegno mostra una superficie uniformemente intonacata, senza più traccia delle originali decorazioni a graffito monocromo. Non sappiamo fino a che punto le trasformazioni previste siano state realizzate. Di certo, quando Napoleone III acquista gli Orti farnesiani per condurvi scavi archeologici (sua passione privata), nelle uccelliere divenute un unico edificio più o meno rettangolare, coperto da tetto a spioventi alla romana, s’insedia il Direttore degli Scavi, Pietro Rosa.

Questo è lo stato delle Uccelliere documentato da metà Ottocento in poi e fino al momento del restauro, che nel 1960, intraprende il Soprintendente Pietro Romanelli. Egli, interrompendo la tradizione del sito come abitazione privata del Soprintendente di turno, demolisce il corpo centrale e ridà la volumetria originaria (coperture a parte) ai padiglioni gemelli, vagamente ricondotti a somigliare alle uccelliere d’un tempo. Le poche tracce della quasi completamente perduta decorazione, cancellata nel corso delle vicende precedenti, vengono obliterate, nascondendone i lacerti sotto scialbature e uniformi strati di pittura.

Questa è la situazione da cui ha preso le mosse l’attuale restauro. Un edificio che risulta conservato assai poco nella materia originale, che richiedeva una caratterizzazione che ne qualificasse l’immagine, una sorta di ricomposizione, per sottrarsi al suo aspetto di coppia di edifici anonimi quali essi apparivano. Questa necessità di caratterizzazione, di riconoscibilità, si è tradotta in un attento studio delle parti di decorazione residue e presenti negli edifici a confronto con la ricca iconografia di questi edifici, questa ovviamente è stata una grande fortuna e una tentazione.

Là dove un elemento decorativo ripetitivo era conservato per una quantità tale da consentirne la ripetizione, con tecniche assolutamente reversibili e basate sull’uso di materiali della tradizione costruttiva e decorativa, abbiamo riproposto al vero il partito decorativo; questo ha significato agire su tutte le lesene e i piedritti delle archeggiature, per riproporre i motivi a girali sulle paraste e le candelabre sui punti di passaggio importanti, come sui cantonali di risalita della scala. Tuttavia, non ha consentito di riprodurre il partito decorativo là dove, seppur attestato dall’iconografia, non fosse soccorso da tracce dell’originale. E in generale mai dove il partito prevedesse elementi figurativi (come ad esempio nel caso del cavallo marino sulla scala, oppure delle schiere dei putti nei riquadri rettangolari del prospetto settentrionale). In effetti tutti gli elementi decorativi riproposti sono dettati da un ritrovamento sulla superficie, dalla testimonianza dell’iconografica che suggeriva che fossero ripetuti serialmente nelle situazioni identiche o paragonabili fra loro.

Fig. 12

Fig. 13

Fig. 14

Con un’operazione che può anche essere classificata come “ripristino”, ma che non ha distrutto né cancellato alcunché (e che potrebbe domani essere cancellata per lasciare i soli resti originali conservati e da noi consolidati), si è scelto in conclusione di riproporre tutto ciò che era necessario per ridare figuratività alle Uccelliere. Operazione secondo noi tanto più necessaria in un contesto come il Palatino dove la ruderizzazione di una fabbrica cinquecentesca, così come accadeva in passato, creava delle difficoltà di lettura. Abbiamo cioè deciso di recuperare il più possibile dell’assetto cinquecentesco per consentire al visitatore l’apprezzamento delle Uccelliere in quanto edifici rinascimentali, ristabilendo la giusta distanza concettuale e la riconoscibilità visiva fra i resti antichi e le fabbriche farnesiane.

Quali sono le fonti ispiratrici e come avete immaginata l’istallazione multimediale curata dalla società KatatexiLux, che restituisce una proiezione di alcuni elementi decorativi all’interno del Ninfeo della Pioggia?

Dal punto di vista strettamente tecnico il precedente immediato è quanto realizzato all’interno delle “case romane” sotto palazzo Valentini. Già nell’allestimento della mostra in Santa Maria Antiqua (oggi riproposto nel cosiddetto biglietto “super”), curato sempre da chi parla (insieme a Maria Andaloro e Giulia Bordi), sono state impiegate analoghe tecniche di video-mapping, riportando tratti perduti delle pitture originarie mediante proiezione sulle pareti di ricostruzioni digitali, assai accurate tecnicamente e filologicamente. Nel caso della mostra attualel’installazione multimediale è collocata nel Ninfeo della Pioggia. Qui la decorazione è in massima parte conservata, pur se resa illeggibile da patine, efflorescenze saline, muffe, colonie fungine e di alghe. In vista della mostra la decorazione sulle pareti e sulla volta è stata presidiata con un intervento di pre-consolidamento allo scopo di fissare la situazione e di impedire eventuali perdite. Si spera di poter agire presto per un completo restauro in un futuro prossimo. Per la mostra si è quindi operato un restauro “virtuale”. Il partito decorativo, ripetitivo, è formato da tralci di vite che s’innalzano dalle pareti verso la volta. Nello sfondato prospettico al centro della volta, vi è una porzione squisitamente figurativa: una prospettiva in trompe l’oëil, con una balaustra in prospettiva illusionistica da cui s’affacciano putti con strumenti musicali. Questa decorazione si è conservata abbastanza bene, già Romanelli l’aveva riscoperta e risuggerita attraverso interventi di ridipintura, i salvataggi compiuti negli anni recenti con gli interventi di preparazione al restauro ci hanno permesso di vedere ciò che era conservato seppure opacizzato. La ricostruzione virtuale, basata sulle fotografie di Romanelli e sugli elementi individuati con i saggi di pulitura, ha consentito di ridisegnarla con tecniche digitali, e di proiettarla sulla parete.

Quali saranno le prospettive future di questo intervento sugli Horti farnesiani e quale sarà il proseguo di questo restauro?

Una parola importante va spesa per ricordare che in questo restauro si son dati appuntamento alcune felici circostanze: l’interesse per le fasi rinascimentali ha coinvolto, oltre a me che le curo da trent’anni, alcuni soprintendenti susseguitisi nel recente passato: Anna Maria Moretti, Maria Rosaria Barbera, Francesco Prosperetti, e da ultimo Alfonsina Russo, neodirettore del Parco Archeologico del Colosseo di recente istituzione. Sono riuscito, dopo Santa Maria Antiqua, un restauro anche quello finanziato in parte dal World Monuments Fund (istituzione statunitense che opera come collettore di finanziamenti privati), a far sì che si interessassero a questo tema. L’opera è stata realizzata con un finanziamento complessivo di circa 1,6 milioni di euro di cui un terzo messi a disposizione dal WMF, e il resto da fondi della Soprintendenza, oggi Parco.

Il restauro futuro dovrà contare ancora su tale tipo di finanziamenti, ma la strada sembra tracciata, dopo Santa Maria Antiqua e le Uccelliere. Il Direttore del Parco ha annunciato che intende continuare l’opera intrapresa. Grazie all’intervento di uno sponsor privato, di cui non si conosce l’identità, ma che si paleserà presto, c’è una concreta speranza che il Ninfeo della Pioggia possa costituire la prossima tappa della restituzione degli Horti Farnesiani.

  

Didascalie delle immagini

1. Le Uccelliere Farnese dopo il recente restauro (2013-2018), Archivio Fotografico del Parco Archeologico del Colosseo © ph di Bruno Angeli

2. Charles Percier, Gli Orti Farnesiani sul Palatino ripresi dalla terrazza del portico di ingresso, 1786-1790, Parigi, Bibliothèque

de l’Institut de France © RMN-Réunion des Musées Nationaux Gérard Blot_distr. Alinari

3. Gli Orti Farnesiani dopo gli scavi di Pietro Rosa (1870 circa), Archivio Fotografico del Parco Archeologico del Colosseo

4. Luigi Rossini, Panorama di Roma, in Luigi Rossini, I sette colli di Roma antica e moderna, Roma 1827, tav. XXVIII, Archivio Fotografico del Parco Archeologico del Colosseo

5. Veduta degli scavi di Giacomo Boni nell’area di cinta degli Orti Fanesiani, Archivio Fotografico del Parco Archeologico del Colosseo

6. Veduta del muro di cinta degli Orti Farnesiani nel Campo Vaccino, XIX secolo Archivio Fotografico del Parco Archeologico del Colosseo 

7. Veduta aerea del Palatino BiASA- Biblioteca di Archeologia e Storia dell’Arte, Fondo Rodolfo Lanciani, Roma

8. Il portale degli Orti Farnesiani rimontato su via di San Gregorio e ingresso attuale al parco archeologico del Palatino , (fotografia di Stefano Castellani)

9. Bernardo Bellotto, L’Arco di Tito a Roma, 1740 circa, Bergamo, Accademia Carrara, Courtesy Accademia Carrara, Bergamo

10. Giovanni Battista Falda, Pianta del giardino del Ser.mo duca di Parma su l’Monte Palatino, da G.B. Falda, Li giardini di Roma, 1683, Courtesy Getty Research Institute, Los Angeles

11. Giovanni Battista Manni, Particolare della decorazione grafita con cavallo marino, 1627 ca., uccelliere Farnese, Archivio Fotografico del Parco Archeologico del Colosseo 

12. Le decorazioni a fresco del Casino del Belvedere, Archivio Fotografico del Parco Archeologico del Colosseo, © ph Gabriele Maschio

13. Statua di Barbaro inginocchiato, dagli Orti Farnesiani, Napoli, Museo Archeologico Nazionale © ph Claudio Sabatino

14. Statue di Iside-Fortuna, dagli Orti Farnesiani, Napoli, Museo Archeologico Nazionale, © ph Claudio Sabatino

 

Scheda tecnica

Roma, Palatino, Piazza S. Maria Nova, 53, 00186 Roma

Da mercoledì 21 marzo 2018 - domenica 18 novembre 2018

Orari

8.30–19.15 dal 25 marzo al 31 agosto

8.30–19.00 dal 1 al 30 settembre

8.30-18.30 dal 1 al 28 ottobre

8.30-16.30 dal 29 ottobre al 31 dicembre.

Biglietto Intero € 12,00;

ridotto € 7,50 (riduzioni e gratuità secondo la normativa vigente)

Informazioni www.electa.it

#HortiFarnesiani

Visite guidate biglietti on-line www.coopculture.it - tel. +39.06.39967700

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