Statistiche dal 2010

Visite agli articoli
4410495

Abbiamo 253 visitatori online

Cerca nel sito

Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile la "libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".


Iscriviti al nostro
canale WhatsApp
sul cellulare

 - Nuova informativa sui cookie -

 


Maurits Cornelis Escher. L’illusione dell’infinito



L’illusione come modalità di approccio all’infinito. Ed è proprio il tentativo, irrealizzabile, di rappresentare l’infinito, spaziale e temporale, che rende l’arte di Maurits Cornelis Escher immortale. Un’arte che è metafisica non tanto e soltanto perché tende all’assoluto, ma anche perché, aristotelicamente, nasce dalla meraviglia per la realtà e di tale stupore si serve per catturare lo sguardo. Un’arte che ammalia come una favola, collocando l’incomprensibile all’interno di un contesto apparentemente noto, quotidiano. E che, rendendo l’osservatore consapevole dei limiti ai quali il suo sguardo lo condanna, ne libera la visione, aprendola ad altre dimensioni.

La mostra approdata, dopo diverse tappe nelle principali città italiane, anche al Museo degli Innocenti di Firenze, celebra, attraverso l’esposizione di oltre duecento opere del grafico olandese, la genialità unica eppure universale di un artista che, pur essendosi tenuto volontariamente ai margini, non solo per un’indole naturalmente schiva, ma anche per evitare di essere considerato «un pubblicitario» (così scriveva in una lettera del 1940), è tuttavia diventato, anche se discretamente, un’icona della contemporaneità: le sue opere compaiono, ad esempio, sulle copertine di diverse raccolte dei Pink Floyd.

Un esito motivato forse dal fatto che la sua arte persegue una ricerca antica, la ricerca dell’assoluto, che sembra renderlo anacronistico, fuori dal nostro tempo – egli stesso rimarca l’assenza, tra gli artisti contemporanei, del desiderio di «penetrare l’infinito» – ma con la consapevolezza che segna la contemporaneità: quella dell’impossibilità di raggiungerlo a causa dei limiti, della relatività, della conoscenza umana. Un’arte che ad uno sguardo superficiale potrebbe sembrare semplice, elementare, ma che fa precipitare progressivamente in profondità insondabili. Attraverso l’allusione all’infinito dà l’illusione di un infinito, che tuttavia, ad ogni parvenza di avvicinamento, si dissolve.

L’artista, per la peculiarità della sua opera, avverte la schiavitù alla quale la gravità – quasi come una forma kantiana: una relazione aprioristica, imprescindibile, tra soggetto e oggetto – costringe l’uomo, rendendo la sua visione della realtà soggettiva, relativa, e quindi parziale, limitata: «In questa limitazione si manifesta un’esemplare ubbidienza, che dimostra la nostra condizione di schiavitù, di sottomissione alla forza di gravità che domina ogni cosa sulla terra. […] Ci consola il fatto che non si può fare altrimenti. Che ci piaccia o no, dobbiamo ubbidire al nostro tiranno, la gravità», sostenne in un testo sulla prospettiva.

Escher, Il drago

Escher usa il disegno per superare i limiti della percezione – in esso vuole rappresentare un Altro mondo rispetto a quello, apparentemente l’unico, che mostrano i sensi – ma esplicitandone l’illusorietà. La xilografia Il drago, nella quale il mostro mitico si attorciglia in una forma che è il simbolo dell’infinito, è insieme la dichiarazione del carattere ingannevole della rappresentazione, la cui imitazione della realtà tridimensionale è naturalmente fallimentare: «il disegno – rammenta – è illusione: suggerisce tre dimensioni sebbene sulla carta ce ne siano solo due».

Le opere di Escher ribadiscono che Su e giù, Convesso e concavo, sono solo questione di punto di vista. Esse contravvengono alle leggi della gravità, rappresentando contemporaneamente un medesimo soggetto, un medesimo ambiente, da diverse prospettive (una parete è, allo stesso tempo, anche pavimento e soffitto, i gradini di una stessa scala possono essere percorsi sul lato superiore e su quello inferiore), edifici inverosimilmente sorretti da colonne le cui estremità poggiano su vertici opposti o cascate alimentate da corsi d’acqua che scorrono improbabilmente verso l’alto: costruzioni fondate su illusioni ottiche, come i cubi impossibili o i triangoli di Penrose, figure esistenti solo sulla carta, che costringono la vista a continui spiazzamenti. Ne risulta una sensazione di vertigine, di caduta in un precipizio nel cui abisso sta, forse, l’infinito.


Escher, Su e giù

Un’arte metafisica, quindi, che però non prescinde mai dalla realtà sensibile. Nei suoi insistenti esperimenti di divisione regolare del piano, che risalgono a Otto teste – una xilografia del 1922 ispirata ai vasi di Rubin, i cui contorni definiscono, da un diverso punto di vista, anche i profili di due volti – ma che assumono una consapevolezza definitiva dopo la visita del 1936 all’Alhambra, si manifesta una ricerca ossessiva, ripetitiva, della forma, la quale, tuttavia, assume sempre delle connotazioni reali. Le decorazioni degli edifici moreschi, ricopiate nei suoi schizzi, diventano modelli per l’incisore olandese, che vede però come una limitazione l’astrazione dell’arte islamica, che, per motivi religiosi, non raffigura mai esseri viventi: «nessun artista arabo ha mai, per quanto mi risulta, osato […] adoperare come elementi delle sue creazioni figure concrete e riconoscibili riprese dalla natura, come pesci, uccelli, rettili o esseri umani. Il fatto mi sembra quasi incredibile, perché l’identificazione è per me così importante che non potrei mai farne a meno».

 


Escher, Otto teste

Nelle opere di Escher la geometria è intrinseca alla realtà: la realtà emerge dalla forma geometrica e ad essa inesorabilmente ritorna. Come i Rettili che fuoriescono dalla pagina del quaderno, dove sono intrappolati in forme bidimensionali, ed iniziano ad arrampicarsi sugli oggetti che li circondano in un moto circolare che li riporta infine nuovamente, perpetuamente, alla fissità del foglio. La geometria si fa materia, vita, mondo, ma questi a loro volta tendono alla geometria, senza la quale non avrebbero forma. Una Metamorfosi più volte rappresentata nelle sue opere, tra le quali spicca una xilografia di quattro metri di lunghezza: quadrati bianchi e neri diventano rettili, esagoni, favi, api, uccelli, pesci e infine cubi, dai quali prende vita una città, la cui torre è la pedina di una scacchiera sulla quale ricomincia la metamorfosi.

Sullo sfondo, il rapporto biunivoco tra ordine e caos, due realtà apparentemente irrelate, ma che, invece, si compenetrano: come nell’omonima litografia, al cui centro un solido perfetto, un dodecaedro che sbuca da una sfera, riflette una serie di oggetti che l’artista aveva recuperato in discarica. Una «visione dualistica della vita» resa, come egli stesso spiega, attraverso l’uso cromatico, nel quale si registra una prevalenza del contrasto tra bianco nero.

Ma sotto la differenza di forma si nasconde, in verità, un’eraclitea identità di tutte le cose. Anche lo sfondo assume sempre una configurazione, un’identità, quasi ad alludere ad una concezione panteistica dell’assoluto come totalità della realtà, in cui il vuoto è, come nei vasi di Rubin, soltanto apparenza; in cui la forma stessa è un’apparenza soggetta a continui mutamenti. Nel mondo di Escher non sono solo gli spazi a capovolgersi, ma anche le identità. In Cavalieri i due eserciti nemici – in marcia lungo una striscia di Moebius (un’altra figura impossibile ricorrente nelle sue opere) al cui centro di scontrano (si incontrano) – si scambiano perennemente il colore delle divise; in Mondo sottosopra sono i pesci, quasi compiendo un balzo in cielo, ad azzannare gli uccelli migratori.

La ripartizione del piano è ottenuta non solo attraverso la riproduzione – naturalmente tendente all’infinito, alla prosecuzione oltre i limiti del foglio – di due o più figure ciascuna di uguali dimensioni, ma anche tramite ripetizioni concentriche di esemplari progressivamente più grandi o più piccoli della medesima figura. Il centro e la circonferenza, o il perimetro, segnano non solo i limiti della rappresentazione, ma anche quelli della percezione, alla quale è ugualmente chiuso l’accesso all’infinitamente grande e all’infinitamente piccolo. Se in Limite del quadrato e Limite del cerchio l’infinitamente piccolo sfugge sui bordi della composizione, Sempre più piccolo e Vortici risucchiano la vista fino alle dimensioni impercettibili della materia. Opere che illustrano graficamente una questione, quella dei limiti della divisibilità dei corpi, di antica reminiscenza, che contrappose, agli albori del pensiero occidentale, la scuola eleatica e quella atomista.

L’arte filosofica di Escher sconfina, nella sua ricerca di principi immutabili della realtà, nella matematica. Nonostante si ritenga un «profano in campo matematico», egli sottolinea che «i matematici, e in particolare i cristallografi, hanno avuto un’influenza notevole sul mio lavoro»; un’attenzione che essi, del resto, ricambiarono, attratti dalle implicazioni scientifiche delle sue creazioni. La partizione regolare del piano è infatti oggetto di indagine della matematica, proprio attraverso lo studio dei cristalli. Escher, che ne possedeva una collezione, condivideva questo interesse con il fratello, autore di un manuale di cristallografia. Nella perfezione dei cristalli, che lo incanta, egli vede la materializzazione di leggi immutabili ed eterne, che preesistono alla conoscenza umana e ne prescindono: «Nei principi fondamentali dei cristalli c’è qualcosa che toglie il fiato. Non sono creazioni della mente umana. Semplicemente essi “sono”, esistono indipendenti da noi. In un attimo di lucidità, l’uomo può al più scoprire che esistono e rendersene conto». Egli dà le fattezze dei cristalli alle sue Stelle e ai suoi planetoidi, quasi a suggerire che nelle loro proporzioni geometriche si manifesta l’ordine del cosmo. Escher contesta l’attribuzione di un carattere «mistico» alla sua arte: per lui il mistero è insito nella realtà ed in essa, non in una presunta trascendenza, va ricercato.

Escher, Serpenti

Nei suoi autoritratti l’artista olandese, mago del nostro tempo, guarda il mondo dentro uno specchio a forma di sfera che rinvia all’infinito. Una tensione, quella all’infinito, che non lascia requie, si traduce in una creatività compulsiva, che, come le opere d’arte che genera – con una tecnica, la grafica, che le rende, a loro volta, infinitamente riproducibili (proprio «il desiderio di moltiplicare l’opera» è uno dei motori di questa forma d’arte) – non tollera vuoti; tanto che, affermò l’artista in una conferenza del 1970, «nell’intervallo tra due quadri, trovo che il suicidio sia un’idea interessante». Ma la forza creativa, che vede il nulla come la pupilla dell’Occhio che riflette un teschio, solleva al di sopra di esso e, infine, lo vince. Come nell’ultimo capolavoro del suo genio, Serpenti, che gli fa scrivere al figlio Arthur: «e il giorno dopo continuo ancora, come se la mia vita dipendesse da quello, e sono terrorizzato [...] dal fatto che potrei morire prima di aver finito quest’ultimo, cosiddetto, capolavoro».



Scheda tecnica
Escher, dal 20 Ottobre 2022 al 26 Mar 2023, Museo degli Innocenti, Firenze. Piazza della S. Annunziata. Tutti i giorni dalle ore 9.00 alle ore 19.00 , biglietti mostra + Museo degli Innocenti €16,00, ridotto €14,00.





abbiamo aggiornato l'informativa sui cookie