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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Testuali parole

La Notte, e dintorni

 

La notte è la dimensione temporale che comprende quasi (per un fenomeno astronomico) la metà del tempo della vita, anche se in tal misura non è esperita. Nella vita contadina d’una volta il tempo notturno era meno “vissuto” rispetto al mondo moderno. La tecnica con i formidabili mezzi d’illuminazione da un lato e gli strumenti di lavoro e d’intrattenimento (tv, computer, ecc.) dall’altro, ha teso ad annullare la forzata diminuzione delle attività praticabili nottetempo.

Oggi, con i ritmi biologici alterati, non si distingue in modo netto dal giorno, è vissuta con normalità, quando nel passato era invece sentita come condizione di eccezionalità. Era associata, dal comune pensare, a occupazioni clandestine o illecite. I giovani talora la considerano, consapevolmente o no, lo spazio-tempo di una “controcultura”, la dimensione vera e alternativa a quella del mondo “altrui”. È il momento del divertimento, più o meno rispettoso delle leggi, che ha fatto le sue vittime sulle strade e nei luoghi dello sballo.

Da sempre, dalle più antiche civiltà, è stata percepita come una condizione che sta all’inizio, prepara, precede. È la dea Nyx dei Greci, figlia del Caos e madre di varie entità poco rassicuranti, ma soprattutto delle due più importanti: il Sonno e la Morte, Hypnos e Thanatos.

Nell’arte egizia il Cielo è una divinità femminile, Nut che si piega ad arco per unirsi alla Terra, Geb, ed è anche cielo stellato. Una decorazione che si ritrova nella volta delle chiese cristiane: il Mausoleo di Galla Placidia prezioso e raccolto, la Cappella degli Scrovegni, la basilica superiore di Assisi, la Cappella Sistina prima degli affreschi di Michelangelo.

Nella simbologia è parte del dualismo luce/tenebre, maschio/femmina e anche una forma della Grande Madre, del buio della caverna.

La regina della Notte del Flauto magico di Mozart è uno dei poli di questa eterna contrapposizione che finisce per formare un’unità dei contrari in un processo di crescita o d’iniziazione, di passaggio, morte-rinascita.

Il notturno, come sappiamo, è un tipo di composizione di musica (relativamente) descrittiva dal carattere elegiaco oltre che evocatrice della notte. Nella pittura compare come soggetto dal Seicento, in collegamento col tenebrismo barocco; nelle opere precedenti, anche famose, era d’occasione, necessitato dal racconto o dall’ambientazione: il Bacio diGiuda di Giotto (dove a ben vedere non c’è un vero e proprio studio della luminosità notturna); il Sogno di Costantino di Piero della Francesca (più convincente come notturno); le varie Orazioni nell’orto di Mantegna, di Giovanni Bellini, del Correggio autore anche dell’Adorazione dei pastori o La Notte (da questo punto di vista, un precursore) e della scuola di Tiziano.


Piero della Francesca, Il Sogno di Costantino

 

È col Romanticismo, e dopo, che il tema del paesaggio notturno trova diffusione. J. A. Whistler, l’impressionista americano, ripropone più volte il tema insieme ad altri.

Hanno dato un volto e un corpo alla Notte P. N. Arbo, Nótt (1887), la notte della mitologia scandinava; W. A. Bougeuereau, La Notte (1883), con la consueta, per l’autore, sensualità supportata da una tecnica prodigiosa o consumato mestiere, mentre J. H. Füssli è stato il pittore dei sogni e degli incubi; numerose sono le ambientazioni notturne di P. Delvaux e con la notte protagonista già dal titolo.


Paul Delvaux, Nuit de Noel

  

Nella letteratura non c’è poeta o scrittore che non ne abbia descritto almeno un momento. Un esempio soltanto. Virgilio nell’Eneide riprende più volte il tema seguendo una stessa traccia: “Era notte. I viventi dormivano…” è allora che appaiono gli dei, i morti, alla luce della luna. La notte è il riposo, l’oblio dei mali, l’ora dei messaggi divini o ultraterreni.

Le descrizioni della notte sono tante quante i letterati; colpiscono le somiglianze e le “riprese”: dall’Eneide a Dante, dall’Iliade al Tasso.

Per Goethe la notte porta la quiete e un presagio: “… presto avrai pace anche tu” (Canto notturno del viandante). Campana avverte un segno misterioso per anime oscure: “Ed agli inquieti spiriti è dolce la tenebra” (Il canto dellatenebra).

I poeti dinanzi alle stelle, affascinati dall’immensità del cielo, si chiedono il senso della vita come smarriti. “Che vuol dire questa solitudine immensa?” (Leopardi); è la grandiosità, il “baratro di stelle” che reca la “vertigine” (Pascoli); per Rilke sono “abissi” che si spalancano.

La letteratura sulla Notte è spesso cupa e funeraria.

I pensieri notturni o Lamento di Edward Young, antesignano della poesia sepolcrale, nelle intenzioni edificante, giunge a riflessioni sconsolate in cui la morte è riscatto: la vita è deserto e solitudine, la morte ci unisce ai più; gli uomini possono vivere da scemi, ma da scemi non possono morire.

Young è stato ritratto in modo tanto lugubre quanto indimenticabile da Pierre-Auguste Vafflard, Young con sua figlia, mentre porta il cadavere della figlia nottetempo al cimitero, una visione spettrale. “La Notte, cupa dea dal trono di ebano” è, della morte, occasione per il pensiero e metafora.


 Pierre-Auguste Vafflard, Young con sua figlia

 

Negli Inni alla notte di Novalis, complesso messaggio spirituale, l’attrazione per la Notte, sacra, ineffabile e misteriosa, allude al mondo ultraterreno, alla morte e alla libertà nella morte.

È nel cielo stellato che l’uomo, almeno sino al Rinascimento compreso, ha cercato di leggere il proprio destino e l’influsso degli astri sulle proprie attività. L’arte offre notevoli testimonianze con cicli astrologici, mappe celesti, volte affrescate con oroscopi personali, ecc.

Inutile ricordare l’importanza del cielo stellato e relative conoscenze astronomiche come orientamento per la navigazione antica.

Il cielo stellato rappresenta la bellezza del mondo per Kant che conia un folgorante aforisma divenuto celebre in cui l’accosta alla legge morale nell’interiorità dell’uomo.



ALCUNE OPERE E AUTORI

La malinconia

La malinconia, considerata fino al Rinascimento uno dei quattro temperamenti, dovuta al prevalere di uno dei quattro umori, oggi si preferisce chiamare depressione, da cui si fatica a distinguere, svilendo quello stato saturnino delle sue componenti creative, ed è bollata come pessimismo e pensiero negativo da fuggire nella credenza, superstiziosa o scientifica secondo alcuni, che “porti male”.


Albrecht Dürer, Melencolia I

La Melencolia I di Dürer. Opera straordinaria, che ha ricevuto una lettura impeccabile da Maurizio Calvesi. L’incisione del 1514 rappresenta la personificazione di uno stato d’animo, la malinconia, con i caratteri canonici: donna seduta in atteggiamento meditativo, seria d’espressione, con la mano appoggiata alla testa. Ma sono molti gli elementi che significano anche qualcos’altro. Una congerie di oggetti che non possono e non sono un insieme di elementi di un casuale disordine. Sono accostati anche in modo poco naturale perché infatti concorrono a formare una precisa allegoria. Ha ragione Calvesi: si tratta della nigredo, la prima fase del processo alchemico, la fase al nero in cui la materia assume l’aspetto nero, è “martirizzata”, muore per poter rinascere, per trasformarsi. Tutto lo conferma: ci sono gli strumenti del martirio della materia, quelli dell’alchimista e le immagini ricorrenti dei trattati di alchimia: i chiodi, la macina, la bilancia, il compasso, le chiavi, il libro. La donna ha le ali che alludono alla sublimazione, la corona verde al passaggio alla fase successiva, la clessidra reca l’indicazione delle ore notturne nelle quali avviene l’operazione, l’arcobaleno è un ponte tra la terra e il cielo, il sole nero, il quadrato magico (nel quale l’artista ha “ripetuto” la data dell’opera in basso al centro) di base quattro in cui la somma dei numeri (in orizzontale, verticale e diagonale) è sempre 34 (il tre simbolo del cielo e il quattro della terra), la scala con sette pioli (immagine ricorrente che mette in rapporto il basso con l’alto e nei pioli e nel loro numero simboleggia la progressione delle operazioni) di cui quattro del tutto visibili e tre seminascosti, raffinata allusione al mondo materiale e a quello spirituale. Gli indizi-prove dello studioso sono molti altri e molto meglio argomentati. Come spiega lo storico dell’arte “l’imitazione della natura non va intesa in modo riduttivo come imitazione delle apparenze esterne ma come aderenza a un modello operativo ed emulazione dei processi creativi della natura”. L’artista imita la natura nel suo farsi, nel processo stesso della creazione e l’uso dell’acquaforte è significativo in questo senso. L’alchimia non è solo una pseudo scienza che anticipa la chimica è un tentativo di perfezionamento spirituale.

Il Parmigianino addirittura forse abbandonò la pittura per dedicarsi all’alchimia. Molte opere d’arte hanno riferimenti alchemici, da Rembrandt a Duchamp; un curioso esempio si riscontra nel surrealismo “pop” nei dipinti di Victor Brauner, uno per tutti: La nascita della materia (1940). L’alchimista è stato rappresentato come un nobile ricercatore o come un illuso sofferente di una pericolosa ossessione, vecchio e miserabile, sia dalla letteratura, sia dalla pittura. Mirabile e memorabile per l’effetto di luce è L’alchimista di J. Wright of Derby.

J. Wright of Derby, The Alchemist



La Notte

“La tipologia e l’atteggiamento della donna di Dürer sono ripresi in alcune rappresentazioni della Notte; a conferma di questo parallelismo Calvesi ravvisa degli aspetti della simbologia alchemica nella struttura e nella decorazione della Sagrestia Nuova di Michelangelo. La forma triangolare dei gruppi delle statue, la base quadrata che si chiude nella cupola circolare, i tondi angolari che ricordano le sfere dei quattro elementi dei trattati. Se fossero state usate senza volontà ciò le renderebbe ancora più significanti. E Calvesi non intende certo ridurre l’arte di Michelangelo a questo solo significato e valore.

Ed è qua, in questo spazio che troviamo una delle rappresentazioni più note e riuscite della Notte: La Notte di Michelangelo (“O notte, o dolce tempo, benché nero”).


Michelangelo, La Notte

La Notte ha il corpo ripiegato su se stesso, il capo reclinato e la mano che lo sorregge a indicare una pensosità triste.

La figura recumbente è la cifra stilistica dell’artista dopo l’Adamo della Sistina, la torsione prefigura l’accentuarsi del tormento spirituale dell’artista. Lo sconforto di Michelangelo è evidente e persino brutale nelle rime in risposta alla poesia adulatrice e di una sperticata lode, quando, immedesimandosi nella statua, si augura di rimanere di sasso e non prendere vita e parola finché la vergogna dura.

La statua è nitida. Ha con sé gli attributi consueti: l’animale notturno, la maschera, il papavero. Altri elementi nei quali Calvesi rintraccia possibili interpretazioni alchemiche, il non finito (materia informe da plasmare), la figura serpentinata (il fuoco, agente dell’opus), il contrapposto delle masse (unione dei contrari).

La Notte (1544-’48) di Battista Dossi, è opera tipica nella sua bizzarria della seconda fase del Manierismo.

Il Principe dello Studiolo

Una seconda fase che trova una delle sue versioni più interessanti nel manierismo di corte della Firenze di Francesco I. Il granduca, malinconico e introverso, non era incline agli affari di stato, appassionato di arte, di alchimia, di materiali rari e preziosi. Fu mecenate di un gruppo di artisti che lavoravano anche insieme coordinati da V. Borghini, ideatore del programma iconografico, e G. Vasari.

La componente curiosa, fantastica e spettacolare di questo stile e periodo è esaltata nella villa di Pratolino, dove il principe poteva concedersi, lontano da Firenze, gli svaghi e un ozio dorato con l’amante e poi moglie, Bianca Cappello.

Francesco I è stato anche chiamato Il principe dello Studiolo (titolo del libro di L. Berti) proprio perché quell’ambiente bene rende la sua personalità e a lui allude. Lo studiolo è una piccola stanza di forma allungata con volta a botte, dall’aspetto di uno scrigno, destinata a contenere gli oggetti preziosi delle collezioni medicee negli armadi alle pareti che hanno sportelli dipinti con i temi collegati alle manifatture: pesca del corallo, laboratorio di alchimia, bottega di oreficeria, lanificio, vetreria, ecc.

È parte di quella temperie definita anti-rinascimento (E. Battisti) o rinascimento notturno.

Baudelaire

Nella stupenda prosa poetica di Baudelaire, I benefici della luna, la luna vede una bambina e decide di farla sua. La rende pallida con grandi occhi verdi, le serra la gola, lasciandole la voglia di piangere; poi le dice: subirai il mio influsso. Sarai bella a modo mio. Amerai ciò che io amo e ciò che mi ama: l’acqua, le nuvole, il silenzio e la notte, il mare immenso e verde; l’acqua informe e multiforme; il luogo in cui non sei; l’amante che non conosci…

Magritte

René Magritte, con una verve strepitosa quanto feroce, in una conferenza del 1938, che è un atto d’accusa contro il quieto vivere, rivela come sia nato il suo amore per la pittura. Nell’infanzia gli piaceva, insieme a una bambina, giocare in un vecchio cimitero abbandonato, visitare le cripte per poi risalire alla luce dove un pittore ritraeva un viale pittoresco con le foglie morte e delle rovine. Gli sembrò la pittura vagamente magica e che il pittore avesse un potere superiore. Magritte sostiene di disprezzare le convenzioni tradizionali, tra le quali c’è anche un certo pittoresco, ma non invece quello del viale dell’infanzia che gli apparve magico perché “scoperto uscendo dalla notte delle cripte”

Ed è nell’opera tra le più belle, replicata con versioni diverse, L’impero delle luci, che l’artista mette in corto circuito il giorno e la notte.

La notte stellata

Vincent Van Gogh, Notte stellata

La notte stellata di Van Gogh è una delle raffigurazioni più conosciute e apprezzate di questo soggetto. Stelle vorticanti e un cipresso che s’avvita come una fiamma sovrastano un paesaggio e un villaggio. Essa potrebbe trovare la propria descrizione, non so quanto per caso, in una poesia di Simone Weil: Gli Astri.


 Simone Weil, Gli Astri

Astri infuocati che popolano la notte cieli lontani,

astri muti che sempre girate senza vedere, glaciali,

strappate fuori dai nostri cuori i giorni passati,

ci gettate al domani senza il nostro consenso.

Noi piangiamo e i nostri gridi per voi sono vani,

poiché bisogna, vi seguiremo, le braccia legate,

gli occhi rivolti al vostro splendore puro ma amaro.

Al vostro cospetto ogni dolore importa poco.

Noi ci chetiamo, noi vacilliamo sul nostro cammino.

È là nel cuore d’improvviso, il loro fuoco divino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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