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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Testuali parole

A proposito di felicità e di libertà, di vita e di morte

 

FELICITÀ

La Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti del 4 luglio 1776 dichiara come diritto inalienabile dell’uomo la ricerca della felicità, subito dopo la vita e la libertà. Nel testo non manca la premessa che tutti gli uomini sono creati uguali. Il documento delle tredici colonie mirava appunto all’indipendenza dalla madrepatria e poteva permettersi tanta liberalità solo non considerando uomini i nativi americani e gli schiavi di origine africana.

La dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti,
di John Trumbull, 1814

Si tratta della ricerca della felicità, non della felicità, come per colpevole, o ingenua, abbreviazione di frequente è detto.

Se n’è parlato di recente, con la proposta di inserire lo stesso diritto nella Costituzione Italiana. Un diritto destinato a rimanere sulla carta come altri tra i principi fondamentali non pienamente applicati. Dobbiamo riconoscere l’importanza dei compiti, mirabilmente espressi nel terzo articolo, che la Repubblica si assume e che valgono come impegni a cui tendere.

Il dibattito è troppo complesso per essere districato così con qualche banale riflessione. Il concetto ha una sua storia, per essere infine concepito come un “diritto” o un fine dall’illuminismo settecentesco. Per felicità si può intendere quella individuale e quella collettiva. Riceve interpretazioni filosofiche, religiose, sociali. Ognuno ha un’idea diversa di ciò di cui abbisogna per il proprio benessere.

A meno che non si sia escogitata la pillola della felicità come nel Mondo nuovo di A. Huxley che immagina una società distopica che pretende il benessere obbligatorio dell’ebetudine somministrato con una droga giornaliera.

Può lasciare perplessi avanzare tale progetto proprio in un momento storico in cui la vita è a rischio, e la libertà subisce un qualche ridimensionamento a causa di giuste precauzioni: non hanno il pane, date loro le brioches!

Per dare un senso alla richiesta dobbiamo ipotizzare che si tratti di un bisogno inconscio da contrapporre alla perdita, alla sconfitta, al senso di smarrimento e sconforto attuali.

Si configura come una nostalgia di un’età dell’oro? Il mito ha affascinato artisti e letterati come Esiodo, Virgilio, Dante, è presente anche in altre culture, ha una versione religiosa di ritorno alla condizione edenica in Isaia con cieli e terra nuovi e la Pace universale tra tutte le creature. Noi che apparteniamo senza dubbio all’età del ferro, di “un mondo abbandonato dal Pudore e della Giustizia”, potevamo non sognare un ritorno al Paradiso?

L’età dell’oro
di Lucas Cranach il vecchio, 1530

 


LIBERTÀ

L’illusione di essere liberi è una caratteristica tipica della società moderna.

La concessione di alcune libertà di pensiero divergente, più è bizzarro più dimostra la presunta libertà e conferma l’inconsistenza delle opinioni discordanti da quelle generalmente accettate, è quindi funzionale alla sopravvivenza del “sistema” di idee dominante.

Nei regimi totalitari per chi non si adegua ci sono il carcere o il manicomio. Nella società democratica il meccanismo del consenso è ben strutturato ed efficace. Essa dispone di forme di annientamento meno dirette e coercitive: consistono nell’autodistruzione (droghe, stili di vita marginali) ma soprattutto, per i più, nell’alienazione (mancanza di effettiva libertà di formazione del pensiero).

La “sublimazione” dell’arte mantiene una riserva di negazione e di ribellione, d’insoddisfazione più o meno cosciente o anche di critica aperta e decisa. Difatti l’arte odierna non è popolare, in tutti e due i principali significati del termine.

L’idea della Libertà è associata nell’immaginario al librarsi nell’aria, al volo, dunque a qualcosa che è negato all’uomo da limiti fisici. Ciò ne rivela la concezione sognante e irrealizzabile (e al tempo stesso la denuncia) se non come metafora di una condizione psicologica o spirituale. La Libertà ha una personificazione allegorica in Francia chiamata Marianne, anche impiegata su monete e francobolli. In una moneta euro il volo di un uccello sempre più stilizzato si trasforma nella L di Libertà o al contrario la L diventa un volo di uccelli.


La Marianne sulla moneta da 20 euro francese

 

L’iconografia tradizionale della figura allegorica della libertà non manca quasi mai del berretto frigio, contrassegno degli schiavi liberati, simbolo di antichi culti e ancora oggi impiegato come icona in stemmi e bandiere. Solo di rado ha al suo fianco il gatto, animale amante della propria indipendenza e perciò attributo che completa l’immagine.

È arduo districarsi da temi e concetti diversi ma tra loro intrecciati come libertà, valori etici e sociali, democrazia. La confusione per noi comuni mortali, non addetti alle specificità della filosofia e della teoria politica, è ben rappresentata dalla celebrità del motto, quasi automatico, che assurge a esempio e simbolo di questa confusione, della canzonetta che identifica e fa coincidere libertà e democrazia: “libertà è partecipazione”.

La libertà, dopo il fatale imporsi della borghesia sul vecchio mondo, ancien régime, dell’aristocrazia di ascendenza feudale, non guida più armata il popolo sulle barricate; non sappiamo dove sia viva e combattente, se riposa in attesa di nuove lotte, mentre il suo simulacro fa luce nel porto di New York.


La Libertà che guida il popolo
di Eugène Delacroix, 1831

 

La statua della Libertà
di F. Auguste Bartholdi e Gustave Eiffel, 1886



Anche la libertà è una parola troppo bella e affascinante per non finire vittima della neolingua, per non subire la sventura di essere profanata dalla politica politicante (nella meschina condizione in cui versa la politica). È la libertà della sopraffazione e del denaro.

La libertà finisce dove inizia quella degli altri: di rado una massima ha ricevuto più successo di questa. Eppure aveva le sue buone ragioni il filosofo che l’ha rovesciata: la vera libertà si basa o presuppone la libertà degli altri.

Libertà è un concetto non trattabile se non in tomi ponderosi… in poche parole si può solo esprimere una sensazione. La Libertà infatti ha una storia, poi si declina in tutti i settori della vita personale e associata (filosofico, politico, sociale, religioso, economico, ecc.), interpretazioni e distinzioni sono molteplici: negativa, positiva, freedom from, freedom to, libertà di agire, di manifestare le proprie idee, ecc.

Un animale può decidere di restare nella sua gabbia rimasta aperta (l'uccellino volerà via) per un “istinto”, l’uomo invece se sceglie qualcosa del genere (e purtroppo si è costretti in questi tristi tempi a precisare che con “gabbia” non ci si riferisce alla propria casa, ma alle varie e variegate situazioni della vita associata) dovrà sapere il perché. Lì sta la sua libertà più importante, quella a cui si riferisce l’incipit di queste righe: la libertà del pensiero.

 

 

MEMENTO MORI

Nella vita quotidiana il pensiero comune tende a rimuovere l’idea della morte. Datano ormai molti anni studi sociologici critici nei confronti di questa tesi (la nostra società rende tabù la morte?) forse superata da analisi più approfondite e “scientifiche”. Qui ci riferiamo a un semplice “evitamento”, a una banale, istintiva e naturale difesa verso un pensiero spiacevole che non trova una risposta “positiva”. Lo stesso divertimento, inseguito e praticato quando possibile, rivela un tale intendimento già dalla sua etimologia. Solo la filosofia e la fede possono offrire una “soluzione” sia pure controversa.

Tutte, o quasi, le epoche hanno conosciuto richiami espliciti, diretti o anche indiretti, all’idea della morte, la nemica invincibile. Il concetto della transitorietà delle conquiste umane e dell’illusorietà e della fragilità dell’esistenza, sono sempre comparsi nell’arte e nella letteratura, sacra e profana. Tutto è vanità, sic transit gloria mundi, pulvis et umbra sumus, l’Incontro con i morti, il Trionfo della morte, la danza macabra, la vanitas del Seicento, opere che seguono o presagiscono tremende pestilenze (1348, 1630, ecc.) “Dove sono le nevi dell’altr’anno?” (F. Villon), “Dove sono…? Tutti dormono sulla collina” (E. L. Masters) “É l’ora” (G. Pascoli).


La morte porge una clessidra ad Alessandro VII (dettaglio)
di Gianlorenzo Bernini, 1678

 

Danza macabra
di Giacomo Borlone de Buschis, 1485


Il rammentare la caducità della vita rispondeva all’utilità esistenziale di reprimere la tracotanza umana, la Hybris, l’eccesso dell’orgoglio, valevano per l’imperatore e per il suddito o erano un avvertimento religioso, un’esortazione a tenere un comportamento conseguente al pensiero della vita oltre la morte, all’ammonimento di prepararsi al modo di affrontare la morte e al Giudizio finale.

La presenza della morte appariva a esempio nei Tg pre-pandemia, ma era legata ad avvenimenti riferibile a individui o gruppi per vicende particolari. Oggi e ora è costante notizia, invade trasmissioni di genere diverso, è la prima pagina dei giornali, è protagonista nelle conversazioni personali. Vale come un richiamo al rispetto di regole di precauzione di valore individuale ed etico.

La visione delle corsie e delle camerate degli ospedali, delle iniezioni del vaccino, e altre operazioni sanitarie è insistita e a reti unificate. Le immagini hanno una forza di penetrazione e durata sconvolgente. Mai nessuna epoca, più tragica e catastrofica, ha vissuto un tale colossale “memento mori” dovuto alle possibilità dei moderni mass media.

Oggi semmai siamo “spettatori” disorientati dall’altrui morte che si aggiunge alla difficoltà di convincerci che quella stessa sorte toccherà a noi; si applaude ai funerali, si esteriorizza invece di “costruire” interiormente la partecipazione al dolore insieme ad altri e si rinvia la meditazione sulla perdita di una persona cara nel silenzio del raccoglimento.



DOLORE

Non potevamo sconfiggere la morte, ma abbiamo creduto di aver sconfitto il dolore fisico; oggi si è detto disponiamo di farmaci e droghe che lo vincono. Ma è vero? Si muore senza soffrire?

Oppressi dal pensiero del morire che potrebbe non essere un pacifico spegnersi nel sonno, una dormitio come quella della Vergine.

Tutti i giorni vediamo le persone nei letti d’ospedale: i TG documentano la realtà, dobbiamo sapere e vedere è più efficace, è un monito a seguire le regole, a rispettare sé e gli altri. Ma non è senza effetti nella psiche. Non può lasciare indifferenti, non segnare.

Ospdale per emergenza Covid, a Lisbona, nel 2020


Dormitio Virginis
di Andrea Mantegna, 1462

Le immagini di corpi martoriati, senza vitalità non è quella un’immane sofferenza? Una tortura fisica e psichica? Il dolore non è sconfitto. Non è anzi mai stato presente e diffuso come ora. Queste immagini sono minacce incombenti, difficili e dure da sostenere. Sono un futuro possibile per tutti. Lasciano tracce.

Lo sapevamo che può capitare di soffrire ma ora questa eventualità è presente, più facile a verificarsi, tetro e cupo avvenire. Non è l’eccezione di un destino avverso, non è più rarità.

Queste immagini sono il memento mori della nostra vita. Sono anche simbolo della morte e della sofferenza di un nuovo, post-moderno, ultratecnologico medioevo.

Disponiamo di macchine, di farmaci che possono istupidire ma la possibilità della sofferenza e della morte sono flagranti, improvvise, casuali. Se l’epidemia passerà come nel passato sempre sono passate guerre, pestilenze, carestie, e sicuramente succederà, ce la faremo; sennò, convivere col virus, sarà una vita grama.







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