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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Duchamp a Schwerin e la Scatola magica

 

"D’ailleurs c‘est toujours les autres qui meurent"
("D'altronde a morire sono sempre gli altri")
sulla tomba di Marcel Duchamp 1887 - 1968

 

 

Non ci sono molti dubbi sull'eccezionalità del ruolo storico attribuito a Marcel Duchamp nel corso dell'intero XX secolo, epoca di rivoluzione artistica iniziata con i Fauves nel 1905 e proseguita con altri movimenti ormai celebrati come il Cubismo, il Futurismo, il Surrealismo, l'Espressionismo nelle sue varie declinazioni, la Pop Art, l'Informale, il Concettuale, ecc. L'eccezionalità di Duchamp risiede proprio nel suo essere presente, come ispiratore diretto o indiretto, in gran parte dei movimenti di avanguardia del Novecento, tra i quali tutti quelli che ho appena citato.

Su di lui è stato scritto molto, moltissimo; la bibliografia in appendice al volume biografico di Calvin Tomkins [BT], per esempio, seleziona circa duecento riferimenti tra libri e articoli di rilievo. Si è scritto della sua vita movimentata ma felice, della sua ironia, delle sue numerosissime avventure galanti, della sua intensa e premiata attività come scacchista1, e soprattutto delle sue singolari produzioni artistiche. Forse i più citati sono i Readymade, cui spetta una notevole posizione nel passaggio della concezione dell'arte da opera manuale a opera concettuale, e poi naturalmente La mariée mise à nu par ses célibataires, même (1915-1923) detta Le Grand Verre, ovvero Il Grande Vetro, autentica protagonista in gran parte delle monografie su Duchamp, a riprova in questo caso della sua capacità creativa e artigianale, del suo meticoloso metodo di lavoro, e dell'estrema difficoltà per noi di seguire i suoi percorsi mentali.2


Il Grande Vetro


Anche il
Nu descendant un escalier n. 2 è annoverato tra le sue opere più importanti, vuoi come esempio della sofferta partecipazione del giovane pittore al movimento cubista, vuoi per il suo inatteso successo negli Stati Uniti all'Armory Show del 1913. E infine l'ultima incredibile impresa, Étant donnés, assemblata nel Philadelphia Museum of Art dopo la morte del suo artefice che per vent'anni ne aveva nascosta l'ideazione.

Il museo di Philadelphia è sicuramente il luogo principe per conoscere Duchamp, grazie in particolare al lascito dei suoi amici e mecenati Walter Conrad e Louise Arensberg; vi sono conservate tutt'e tre le opere che ho citato, insieme a molte altre. 

In Europa ci sono diversi lavori dell'artista, tra cui numerose, e autorizzate dallo stesso Duchamp, le copie dei Ready-made eseguite negli anni Sessanta grazie anche all'iniziativa di Arturo Schwartz. Ma una città tedesca si è curiosamente impossessata di quasi un centinaio di opere, compresi i multipli naturalmente, di Duchamp: è Schwerin, capitale del Mecklenburg-Vorpommern, una città che merita di essere visitata, anche quando la collezione di Duchamp è solo parzialmente in mostra nel museo locale, per la sua sorprendente e quasi magica bellezza, tra laghi e splendidi castelli che fanno invidia ai gioielli della Baviera.

L'acquisto in blocco della grande collezione duchampiana detenuta da Ronny van de Velde in Anversa nel 1997 ha consentito al Museo Statale di Schwerin non solo di esporre quelle opere, ma anche di creare un centro di ricerca, che ha pubblicato alcuni volumi imperniati ovviamente sul tentativo di decifrare l'opera complessiva dell'artista.

Nel 2019 a Schwerin una mostra ha cercato di rendere nota l'importante attività del Museo e del Centro di ricerche e tuttora su YouTube è visibile un video predisposto in quella occasione che mostra come funziona effettivamente la celebre Boîte-en-valise, la Scatola in una valigia (prodotta dal 1938 al 1942). Questo sensazionale “nuovo genere di autobiografia”, come lo definì Walter Arensberg3, era già stata proposto da Duchamp a partire dal 1934 con la meno completa Scatola Verde, ma la Boîte segna senz'altro un notevole progresso dell'idea e della sua realizzazione; non a caso Duchamp la firma anche con il suo alter-ego femminile di Rrose Selavy. Nell'intervista a Pierre Cabanne, afferma che gli ci vollero sei anni per prepararla e che intendeva farne fare trecento copie, ridotte poi a circa duecento; le prime venti erano valigette Luis Vuitton di pelle, ognuna arricchita da un "originale", magari solo per la colorazione a mano. Le dimensioni della scatola sono di circa 40 per 37 x 10 cm.

L'accuratezza e la lentezza del lavoro di Duchamp4 per la Boîte e la sua meticolosità non priva di una esplicita pigrizia, possono essere dimostrate dalla lunga ricerca delle proprie opere spesso risolta con fotografie, dalle prove di stampa per trovare la giusta celluloide, in particolare per la riproduzione trasparente del Grande Vetro, dalle quotidiane visite in tipografia5 a Parigi per i primi esemplari, e dai successivi interventi manuali per ricreare le celebri crepe sul vetro dell'originale, dovute a un'accidentale caduta. Solo all'inizio del 1941, in pieno tempo di guerra, la scatola era conclusa nei previsti venti esemplari deluxe.

Il video di Schwerin rivela il funzionamento della Scatola e il suo contenuto, che qui mi sembra interessante analizzare non tanto per il suo intrinseco valore artistico, ma soprattutto collegandolo alle precise scelte e preferenze dell'artista. Le riproduzioni singole sono molte, da oltre sessanta a oltre ottanta si legge nei testi, ma l'idea del portfolio artistico strutturato come un'opera d'arte autonoma è naturalmente, quando si parla di Duchamp, geniale. Le varie Scatole, a prescindere da qualche differenza che non modifica l'idea principale, non sono solo un involucro di fogli sciolti, ma qualcosa di simile a un antico polittico, con alcune notevolissime trovate: i pannelli che restano verticali, uno stecchino che serve a mantenere in piedi una delle riproduzioni, e lo stretto vano di risulta in cui sono collocate tre piccoli facsimili del celebre urinale Fontaine (1913), dell'ampolla con l'Air de Paris (1919) e, sorprendentemente, del Pliant de Voyage, il panno di protezione per la macchina da scrivere Underwood introdotto tra i Readymade nel 1916. Nelle scatole poi sono impilate le riproduzioni di quasi tutte le opere di Duchamp. Come scrive Tomkins era davvero “un museo portatile in miniatura della sua opera”.6

Sequenza di fotogrammi tratti dal filmato 

 

Confrontando la Scatola di Schwerin con le altre, come ad esempio quella in possesso del MoMA, mi sembra si possa dire che Duchamp relegò le numerose riproduzioni di disegni, quadri, fotografie, in una posizione/rango inferiore rispetto alle riproduzioni ribaltate e alla prima opera visibile dentro la scatola. Seguendo – se mai è possibile – questa traccia indicata dal loro autore, al centro come detto c'è il Grande Vetro con i tre Readymade di spalla, poi a sinistra Le Roi et la Reine entourés de nus vites (1912), la Mariée (1912) che ha sul retro il Nu descendant un escalier n. 2 (1912), nella scatola i tre Stoppages Etalon del 1914 completi dei righelli di legno ricalcati sulle loro linee, a destra Tu'm (1918), una fotografia del Peigne (il Pettine del 1916) e Neuf Moules Mâlic (1915); c'è anche un piccolo e trasparente Mulino ad acqua (1914) da sovrapporre in un angolo a Tu'm. Accanto agli Stoppages nella scatola di Schwerin si vede la Sonate del 1911, mentre in altre versioni appaiono in cima al pacchetto delle opere, al posto della Sonate, una versione della Broyeuse de chocolat (Macinatrice di cioccolato, 1914) o il Moulin à café (il Macinacaffè del 1911). Quest'ultimo quadro riveste un'importanza particolare, di cui Duchamp stesso era consapevole; racconta infatti all'amico Tomkins che il soggetto del Macinacaffè nacque da una richiesta di suo fratello, lo scultore Duchamp-Villon, che volendo un quadretto da mettere in cucina sottopose l'idea ad alcuni amici. Lo sviluppo che ne fece Marcel - siamo nel 1911 - è alla base di tutta la sua attività successiva; lo rivela lui stesso a Tomkins: “invece di fare un macinacaffè oggettivo e figurativo, feci una descrizione del meccanismo”.7 Dividendo in orizzontale il quadro, un'idea quasi sicuramente connessa con alcune antiche stampe di Albrecht Dürer, Duchamp sembra avere già in testa le basi del Grande Vetro. E sembra aver già deciso che la pittura del reale, cubista o meno, non serve a nulla.

In realtà, è già stato notato da molti critici come tutto in definitiva punti al Grande Vetro. Nella Boîte Duchamp lo mette al centro e lo circonda di opere che ne crearono le premesse, in particolare il Nu, Le Roi et la Reine e la Mariée, quadri di matrice cubista che preludono all'invenzione della Sposa (la Mariée) nel Grande Vetro; poi sono in evidenza i Neuf, ovvero le Nove sagome maschili che, come la Mariée, faranno parte direttamente del Vetro e possono essere visti come studi in vista dell'opera maggiore. Ma se indiscutibilmente al centro ci sono la sposa e gli scapoli, che importanza hanno i tre Readymade e gli Stoppages Etalon?

Gli Stoppages8, Rammendi in italiano dal francese, ma anche in italiano dall'inglese Arresti, sono tre fili lunghi in totale un metro esatto (il filo originale, cui forse si riferisce l'attributo Etalon, cioè standard, come il metro universale conservato a Parigi) lasciati cadere casualmente su un tavolo; replicati tre volte e connessi tra loro fornirono a Duchamp una base per la disposizione dei nove scapoli nel Grande Vetro, anche se su questa operazione si potrebbero avere dei consistenti dubbi. Di fatto, a dominare è comunque il caso, uno dei punti fermi dell'intera opera e dell'intera vita di Duchamp, chiave di volta naturalmente anche del movimento surrealista.

Spiegata, forse, la presenza degli Stoppages, resterebbe da capire come mai siano stati scelti per la Scatola proprio quei tre Readymade. La spiegazione potrebbe esserci se si osserva la loro posizione e se si usa un po' di fantasia; l'urinale maschile in basso, come gli scapoli, la copertina nera in mezzo come la gonna e i vestiti della sposa, l'aria dentro all'ampolla vergine come la sposa.9 La spiegazione, che ritorna in vari testi critici, mi sembra tuttavia banale e non comprende il lavoro certosino che Duchamp affrontò per riprodurre la celebre Fontaine, già andata persa a quel tempo, usando fotografie per riferimento e costruendo uno stampino per le copie in ceramica. Ironia assoluta, del tutto duchampiana, che un Readymade richieda tanto lavoro!

Sulla fontana-urinale del 1917 è stato detto di tutto, tra cui la possibilità che così come era collocata richiami la forma femminile di un utero; l'aria di Parigi sta in un'ampolla svuotata del suo profumo e ha una bizzarra forma che potrebbe, come l'urinale, essere tanto maschile come femminile, una sorta di vescica. La copertina nera della macchina da scrivere sta in mezzo, la sua funzione è di coprire, il senso potrebbe essere censorio, una foglia di fico, un qualche indumento. L'eros e la sessualità sono importantissimi nell'opera di Duchamp, che tuttavia così si esprimeva con Cabanne:

“Non ho mai dato all'erotismo alcun significato personale, ma in definitiva lo considero il mezzo per mettere a nudo cose – non necessariamente erotiche - che da noi sono costantemente nascoste, di cui è proibito parlare, a causa della religione cattolica e delle convenzioni sociali.”10

Andare contro le ipocrisie, contro le tradizioni e contro la morale corrente, questa fu probabilmente la missione che si diede Marcel Duchamp, un dandy anomalo, dotato di un fascino personale e di un'intelligenza straordinari. Nel 1966 Pierre Cabanne chiudeva il suo volume con la domanda cui l'artista sarebbe stato lieto di rispondere, “Come sta?” e il settantanovenne Duchamp rispose:

“Sto benissimo. Godo di una buona salute, ho avuto una o due operazioni normali … Per il resto sono felicissimo.”11

Poche pagine prima (p. 96), Duchamp ricordava come il Museo di Philadelphia avesse accolto la donazione degli Arensberg con la garanzia di esporre le opere almeno per 25 anni, a differenza dei Musei di Chicago e di New York che proponevano periodi più brevi, e per questo Arensberg lo scelse. E il Duchamp del 1966 non poteva non farci sopra una battuta:

Poichè questo accadde dieci o dodici anni fa, fra una dozzina d'anni tutto andrà a finire in soffitta o negli scantinati."

Una nota finale e vagamente commerciale: il Museo di Philadelphia ha prodotto un facsimile della Boîte e lo mette in vendita, anche on line, per 240 dollari. Potrebbe valerne la pena ...

https://store.philamuseum.org
 

Riferimenti bibliografici delle citazioni

[CD] Marcel Duchamp, Pierre Cabanne, Ingegnere del tempo perduto, Abscondita Milano, 2009

[BT] Calvin Tomkins, Duchamp. A biography, Museum of Modern Art, New York, 2014

[ACH] Dawn Ades, Beil Cox, David Hopkins, Marcel Duchamp, Thames & Hudson, Londra 1999 e 2021

[IT] Calvin Tomkins, Marcel Duchamp, The Afternoon Interviews, Badland Unlimited, Brooklyn NYC, 2013. I riferimenti sono alla versione kindle dell'e-book.

 

Note con rimando automatico al testo

1 Duchamp fu a lungo uno tra i migliori giocatori francesi, tanto che partecipò a ben quattro Olimpiadi degli scacchi nella squadra nazionale capitanata da Alexander Alechin.

2 Il capitolo 5 - Chapter 5 - di [ACH] impiega 36 pagine, da pagina 92 a pagina 127,  per la descrizione dell''opera.

3 “A new kind of autobiography” [BT, p. 311]

4 Parlando con Tomkins, Duchamp afferma che la lentezza di esecuzione è garanzia di qualità: “I think there’s an element in the slowness of the execution that adds to the possibility of producing something that will be durable in its expression, that will be considered important five centuries later” [IT, rif. 488]

5 Diciottenne, Duchamp aveva trascorso un anno, per accorciare il servizio militare, come apprendista in una tipografia. [BT, p. 30]

6 Duchamp, scrive Tomkins, riuscì anche in tempi di guerra a proseguire nel suo progetto della Boîte-en-Valise, “moving forward steadily on the reproductions that he had decided, sometime in 1938, to gather together unbound in boxed form rather than in an album or a book. Far more intricate than the Box of 1914 and The Green Box, this one would have interior fittings and sliding panels that would make it, in effect, a miniature portable museum of his work.” (BT, pp. 311-312)

7 "It happened at the end of 1911. My brother the sculptor, Duchamp-Villon, asked me to make a little painting for his kitchen. It’s probably normal today to have paintings in your kitchen, but at that time it was rather unusual. He asked Gleizes, he asked La Fresnaye, he asked Metzinger, five or six of us, and he gave us the size of the paintings because they were to go above the sink. So I just had the idea of making a coffee grinder, just to be close to the subject. As it turned out, instead of making an objective, figurative coffee-grinding machine, I did a description of the mechanism. You see the cogwheel, and you see the turning handle at the top, I also used the arrow showing the direction in which the hand turned, so you see there’s already an idea of movement in that, plus the idea of composing the machine in two parts, which is the source of things that came later, in the Large Glass. I always liked that painting." [IT, rif. 498]

8 “When he rendered the title into English, however, he used the same word, which thus takes on new connotations” [ACH, p. 87]

9 [ACH p. 202]

10 [CD p. 91]

11 [CD, p. 120]

 

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