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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Piero e la Flagellazione

L’iniziazione di Marsilio Ficino

Age progression sul volto del giovane biondo

È stato il maggiore enigma nell’enigma per quanti si sono cimentati con l’interpretazione de «La Flagellazione di Cristo» di Piero Della Francesca, una tra le opere più controverse della storia dell’arte, ma l’occhio analitico di un criminologo, coadiuvato dalle più avanzate strumentazioni di indagine scientifica, lo avrebbe svelato, aprendo un’ipotesi interpretativa inedita del dipinto. Sul misterioso giovane biondo al centro delle tre figure in primo piano gli studiosi hanno espresso i pareri più disparati: c’è chi ci ha visto Oddantonio da Montefeltro, chi Tommaso Paleologo, fratello dell’imperatore d’Oriente Giovanni VIII Paleologo, chi Barabba, chi un angelo, chi lo Spirito Santo. Grazie all’«age progression», tecnica impiegata per ricostruire l’identikit dei criminali latitanti, e a dei software grafici che gli hanno permesso di entrare nel quadro, Silio Bozzi, vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, sarebbe arrivato ad un’identificazione che darebbe fondamento ad una lettura filosofico-esoterica dell’opera.

Confronto con il ritratto di Ficino

Galeotta fu una multa per eccesso di velocità,  che nel 2008 condusse Duccio Alessandri, studioso di dottrine esoteriche, al commissariato di Urbino. Alessandri, da anni affascinato dagli arcani celati ne «La Flagellazione», parlò a Bozzi della folgorazione avuta vedendo un ritratto del vecchio Marsilio Ficino, scatenando il suo istinto di investigatore. Il risultato dell’invecchiamento del volto del giovane biondo ottenuto con l’«age progression» ha confermato l’intuizione di Alessandri, mostrandone la somiglianza con i ritratti di Ficino da vecchio. A corroborare questa scoperta, la rispondenza tra le caratteristiche fisiche del personaggio raffigurato da Piero Della Francesca e le descrizioni del filosofo fiorentino tramandate dal suo biografo Giovanni Corsi, quali la grandezza sproporzionata delle mani e il gonfiore delle caviglie, tratti somatici che oggi si sa essere riconducibili all’ipogonadismo, patologia dalla quale Ficino doveva essere affetto, stando a quanto riporta lo stesso Corsi, che gli attribuisce una totale assenza di libido.

 Ma Bozzi non si è fermato qui. Il fiuto del detective gli ha fatto intuire la portata degli esiti cui poteva condurre la pista dell’identificazione del giovane con Marsilio Ficino, il primo traduttore dal greco al latino di tutta l’opera di Platone (ma anche dei testi del pitagorismo e dell’orfismo, nei quali il platonismo affonda le sue radici, e di Plotino, il fondatore del neoplatonismo). Il quadro, che Bozzi fa risalire al 1452 – anno della morte del filosofo bizantino Giorgio Gemisto Pletone, fondatore di una scuola platonica a Mistrà e sostenitore della comune derivazione delle grandi religioni monoteiste dalla “prisca theologia”, religione solare primigenia risalente al persiano Zoroastro e tramandata attraverso Orfeo, Pitagora e Platone – rappresenterebbe l’iniziazione di Ficino, all’epoca diciannovenne, alla “setta platonica” da parte del cardinale Basilio Bessarione, successore di Pletone alla direzione della sua scuola, raffigurato con un copricapo bizantino, e del mercante aretino Giovanni Bacci, committente dell’opera, vestito di un lampasso blu e oro. Cosimo de’ Medici aveva infatti individuato le doti intellettuali del giovane, figlio del suo medico, e lo aveva prescelto per la direzione dell’Accademia platonica fiorentina, che sarebbe stata da lui istituita da lì a pochi anni. I riferimenti ad un rituale iniziatico “proto-massonico” sarebbero disseminati nel quadro: la posizione del braccio sinistro di Ficino e le due porte, una aperta e una chiusa, sullo sfondo, rimanderebbero rispettivamente a Ecate e a Giano, le due divinità che presiedono all’iniziazione dei giovani; la striscia di stoffa rossa che scende dalla spalla di Bacci sarebbe la benda che, legata davanti agli occhi del neofita, ne simboleggia la morte iniziatica; i capelli bagnati del giovane indicherebbero la purificazione rituale; il suo sguardo esprimerebbe l’estasi dell’“epopteia”, la contemplazione.

Raffigurazione cinquecentesca di EcateI prodromi del fatto risalirebbero al 1439, anno in cui a Firenze si riunisce il concilio tra la chiesa cristiana d’Oriente e quella d’Occidente, la cui finalità è insieme politica e filosofica: l’impero d’Oriente, in profonda crisi sotto l’avanzata dei Turchi, che avrebbero conquistato Costantinopoli nel 1453, cerca l’appoggio militare e culturale dell’Occidente per difendere il suo dominio e la sua tradizione. È in questo contesto che Cosimo, affascinato dalle lezioni di Pletone, a capo della delegazione bizantina giunta in città al seguito dell’imperatore Giovanni VIII Paleologo (riconoscibile, sulla base di altri ritratti dell’epoca, nell’uomo seduto), matura il progetto della fondazione dell’Accademia, inserito all’interno di un più ampio disegno di conciliazione tra cristianesimo d’Oriente e d’Occidente e islamismo sulla base del comune retroterra platonico, e dunque orfico-pitagorico, delle tre religioni, che trova il suo fondamento teorico nelle opere di Pletone e del suo discepolo Bessarione e che sarà ripreso da Ficino.

Pitagora in una moneta romanaQuesta interpretazione illuminerebbe di nuovo significato le geometrie del quadro – come il rapporto tra base e altezza, uguale alla radice quadrata di 2, numero irrazionale scoperto dai Pitagorici, e la stella a otto punte riprodotta sul pavimento, simbolo della divinità persiana Ishtar – che alluderebbe, con una rete di parallelismi, alla comune matrice pitagorica delle tre religioni: il cerchio al cui centro si trova Cristo rappresenterebbe una monade, origine dei numeri per i Pitagorici; la statua di Apollo Elios, emblema di Costantinopoli, posta sulla sommità di una colonna e recante in una mano un bastone e nell’altra una sfera, rinvierebbe a Pitagora, solitamente raffigurato con questi tre oggetti; l’identico gesto delle mani aperte di Bessarione e dell’uomo di spalle, il profeta Maometto secondo Bozzi, riprodurrebbe la stella a cinque punte, segno di riconoscimento dei Pitagorici.

In questa ipotesi «La Flagellazione», rappresentata come un atto sospeso, incompiuto, sarebbe un pretesto figurativo per un manifesto programmatico “criptato”, rivolto all’élite degli iniziati, nello spirito esoterico del platonismo.

 

Riferimenti
Conferenza di Silio Bozzi nell’ambito di «Elementa», Pordenone, 16 ottobre 2011.
Intervista a Silio Bozzi, Torino, 16 novembre 2011

 

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