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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Isabella d’Aragona, la Dama dell’Ambrosiana e il cardinale sconfessato


Il cardinale Federico Borromeo, nel donare la sua “quadreria” (la vasta raccolta d'arte figurativa da lui posseduta) alla Pinacoteca Ambrosiana, vi incluse lo splendido ritratto noto come “La dama con la reticella di perle”, facendone testualmente menzione come Ritratto d'una Duchessa dal mezzo in su, di mano di Leonardo (Figg. 1 e 3).

Fig. 1

Era il 1618 e Leonardo era morto da un secolo appena: la memoria del suo lavoro in Milano era ancora viva  così come erano vivi gruppi che si ispiravano alla sua scuola e i discendenti delle famiglie che il Pittore aveva frequentato durante il suo soggiorno in quella città, lungo un quarto di secolo.

Il cardinale, gran conoscitore d’arte e appassionato collezionista era certo di avere nella sua collezione un’importante opera del Maestro. Data la sua ricca e personale esperienza nel mondo dell’arte, che ne attestava la indubbia competenza, pare oltremodo strano che il cardinale Federico non dubitasse minimamente di avere in sue mani un ritratto di Leonardo da Vinci.

Il cardinale Federico compose l’inventario erudito delle opere da lui donate, scrisse un trattato “De pictura sacra” e fondò in Milano (1620) l'Accademia di pittura, scultura e architettura, intorno alla quale radunò i migliori artisti milanesi sotto la presidenza del Crespi (detto il Cerano), dopo essere stato nel 1593 uno dei fondatori dell'Accademia romana di S. Luca. Visse tra esperti d’arte ed artisti che formò attraverso maestri illustri nelle scuole da lui fondate.

Essendo oltre che dotto uomo di lettere un intenditore e appassionato collezionista d’arte, si deve alfine ammettere che in questo caso o era stato vittima di un abbaglio oppure di un abile raggiro che gli aveva fatto credere fermamente di acquistare un quadro di Leonardo.

Una nota scritta in calce al saggio critico di Jvan Lermolieff (pseudonimo di Giovanni Morelli) “Opere dei maestri italiani nelle gallerie di Monaco, Dresda e Berlino” (1), spazzò via la sua buonafede e l’originaria attribuzione a Leonardo del dipinto, attribuendolo ad Ambrogio de Predis.

Vi si legge (a pagina 426):

Anche il ritratto dell’Ambrosiana è dipinto su legno di pioppo (come “La Gioconda”, è pertinente osservare). Nel 1525 questo ritratto lo possedeva Taddeo Contarini di Venezia […] Il nome del pittore era sconosciuto all’Anonimo, forse anche allo stesso possessore del quadro (ma quel forse implica la possibilità che invece il possessore Contarini conoscesse il nome dell’autore e, se ci si riferiva al cardinale, questi era certo di conoscerlo), ma nessun intelligente di belle Arti a Venezia pensò mai in quei tempi di voler attribuire questo ritratto a Leonardo da Vinci stesso [...]”.

Nel 1525 Leonardo era morto da sei anni. Dopo la fuga da Milano del 1499, sappiamo di un suo soggiorno a Venezia nel 1500 (Nepi Sciré - Marani, 1992) che durò circa un mese (il 13 marzo di quell’anno vi risulta segnalato da un corrispondente di Isabella d'Este, Lorenzo Gusnasco da Pavia). Esiste quindi una possibilità teorica che in quell’occasione lui stesso vendesse il "Ritratto d'una Duchessa dal mezzo in su”.

Fig. 2

Nemmeno cent’anni dopo la morte di Leonardo, lo stesso quadro era da tempo nelle mani del cardinal Borromeo, che lo aveva acquisito tra il 1607 e il 1611, facendone poi dono all’Ambrosiana nel 1618 con l’annotazione testuale “di mano di Leonardo”.

Fu sua l’attribuzione o di chi glielo vendette (il quale evidentemente, se non lo buggerò, era a conoscenza del nome dell’autore). Dietro le carte si apre una zona buia che evidentemente la nota del libro del Morelli sopra citata, alquanto superficiale e fondata sulle parole dell'Anonimo, non è in grado di illuminare affatto. Inoltre quel generico “nessun intelligente di belle Arti a Venezia” sembra troppo poco per accreditare qualità e credibilità di un giudizio sull’autore.

Peccato che non vi poté essere contraddittorio tra lo sconfessato cardinale e il suo entourage artistico ed il Morelli e i critici che a lui si succedettero proponendo attribuzioni difformi: un appuntamento mancato tra mondi paralleli separati dal tempo, che non può essere concepito se non come ”paradosso temporale”, in cui i due potenti – Borromeo e Morelli alias Lermolieff – coi loro seguaci si sfiderebbero l’uno pro e l’altro contro la paternità vinciana.

Caduta l’attestazione “di mano di Leonardo” del cardinale donatore, per la confutazione di Morelli alias Lermolieff, il quale rigettando Leonardo attribuì l’opera ad Ambrogio de Predis, il ritratto subì poi vari spostamenti attributivi, tra cui quelli verso Lorenzo Costa (Longhi) e Francesco Francia (Volpe) ed è oggi infine attribuito al de Predis.

Fig. 3

Frattanto, nel corso del tempo, il ritratto concentrava su di sé una crescente ammirazione del pubblico, divenendo una delle opere-simbolo della Pinacoteca, celebrata al pari del “Musico”. Nell’Ottocento i due ritratti vennero accostati – forse sull’onda di una lettura romantica cui non fu estranea la grande storica Julia Cartwright – ritenendoli legati da un vincolo matrimoniale: erronea infatti – e avversata dal Malaguzzi Valeri - era l’identificazione di Bianca Giovanna Sforza data dalla Cartwright nel suo libro “Beatrice d’Este Duchess of Milan1475-1497”(2), come pure l’altra, più a lungo accettata, con Beatrice d’Este, che venne prontamente confutata dal Malaguzzi Valeri ne “La Corte di Ludovico il Moro” (3). D’altra parte è riscontrabile a prima vista che la fisionomia della dama è del tutto dissimile dal celebre ritratto di profilo della “Pala Sforzesca” di Brera e dalla statua funebre di Beatrice d’Este di Cristoforo Solari nella Certosa di Pavia, per citare due opere che consentono un raffronto certo. Pure l’ipotesi che vide nel ritratto Bianca Maria Sforza, formulata dallo stesso Morelli, non riscosse maggior credito.

Nonostante le numerose attribuzioni di identità, la bella sconosciuta continua ad essere avvolta nell’aura di un mistero luminescente, come le perle che ne incorniciano il volto.

La mia ricerca dal titolo “Identificazione della dama con la reticella di perle”, ha posto in luce numerosi elementi che convergono nell’identificare la sconosciuta con Isabella d’Aragona nel ritratto nuziale datato 1490 circa, come conferma la comparazione con la Dama con l’ermellino di Leonardo, che ha rivelato oltre ad affinità nell’abito, (ispirato alla moda spagnola antecedente l’arrivo di Beatrice d’Este, che introdusse la moda sforzesca dei nastri e dei “vinci”, mutuata da Niccolò da Correggio), soprattutto l’identico dettaglio della ciocca di capelli passata sotto il mento, un’usanza evidentemente in voga presso la corte milanese tra la fine del 1480 e l’inizio del 1490, adottata da entrambe le modelle.

Che si tratti di abito antecedente all’affermazione degli originali modelli di Beatrice, che fecero tendenza a Corte, lo comprovano gli abiti indossati da Beatrice nei due ritratti della Christ Church Picture Gallery di Oxford (presunto de Predis) e degli Uffizi di Firenze (Araldi) presi in esame per il confronto, e nella figura di profilo della duchessa nella “Pala Sforzesca”, ove Beatrice compare con un abito dai motivi elaborati e con un tripudio di nastri.

Tra i vari altri indizi addotti, che convergono a identificare la dama dell’Ambrosiana in una sposa degli Sforza, assume soprattutto rilievo la collana della sconosciuta unitamente al fermaglio-gioiello posto sulla sua spalla sinistra. Infatti, attraverso la comparazione mirata di ritratti nuziali delle principesse Sforza, si è potuto stabilire che la collana è identica (tranne che per lo smeraldo) a quella indossata da Beatrice d’Este nel ritratto attribuito a de Predis della Christ Church Picture Gallery di Oxford (Fig. 4) e in quello del tutto simile di Alessandro Araldi, nella Galleria degli Uffizi di Firenze (Fig. 5), entrambi datati 1491 circa; identica collana (Fig. 6) è indossata pure da Bianca Maria Sforza (Ambrogio de Predis, National Gallery Washington, 1493).

Fig. 4

Fig. 5

Che la collana indossata da Beatrice d'Este sia il dono nuziale di Ludovico non vi è dubbio, poiché dal Malaguzzi-Valeri (La Corte di Ludovico il Moro, cit.) sappiamo che nell’agosto 1490 egli inviò alla futura sposa “una bella collana cum perle grosse ligate in fiori d'oro et uno bello zoglielo da attachare a dicta collana, nel quale è uno bellissimo smiraldo de grande persona, et uno balasso (rubino) et una perla in forma de un pero”.

Fig. 6

Nel 1493, al matrimonio della nipote Bianca Maria con l’imperatore, il Moro evidentemente replicò il costosissimo dono della collana.

Quindi la collana della sconosciuta è un tipico dono nuziale degli Sforza e in particolare il dono del giovane duca Gian Galeazzo Sforza ad Isabella.

Pure su una miniatura del Birago del 1490 dedicata allo sposo di Isabella d’Aragona (in La Sforziade, Simonetta G., Biblioteca Nazionale di Francia, Parigi) e sulla spalla sinistra dell’ava Bianca Maria Visconti (B. Bembo, Pinacoteca di Brera, 1460 circa), ricompare la gemma rossa con perle che adorna la spalla sinistra della sconosciuta dell’Ambrosiana, quasi ad assegnare a quel gioiello la valenza simbolica di tradizione famigliare.

La tentazione di identificare nel ritratto dell’Ambrosiana Anna Sforza (sposa nel 1491 accanto a Beatrice) si infrange col dato biografico: Anna nel 1491 aveva circa quattordici anni e si trasferì alla corte di Ferrara, ove morì nel 1497 allorchè aveva ventun anni. L’identificazione con Anna sposterebbe in ambito ferrarese il ritratto leonardesco. Inoltre la modella dell’Ambrosiana dimostra sicuramente più di vent’anni e allora, per essere modella credibile, Anna si troverebbe ad aver posato per il ritratto nuziale con i gioielli sforzeschi e abbigliata alla moda milanese del 1490 circa, con la ciocca di capelli sotto il mento identica alla dama con l’ermellino, in Ferrara intorno al 1496-97, quando aveva vent’anni, cioè ben sei anni dopo le sue nozze, giusto a ridosso della sua morte (in una arcana commistione nuziale e funebre a un tempo, che non pare sostenibile).

Infine, un complesso coerente di indizi converge nell’identificare la ventenne moglie del duca Gian Galeazzo ritratta intorno al 1490.
Isabella d'Aragona era una Sforza, in quanto figlia di Ippolita Maria Sforza e nipote di Bianca Maria Visconti. Nel 1490 aveva vent’anni. Inoltre sappiamo da testimonianze dell’epoca che aveva capelli scuri e occhi scuri, al pari di quelli della sconosciuta con la reticella di perle.

L’abito (una giacchetta, forse una sbernia) è nero, un colore che non si addice a una sposa, ma piuttosto richiama il lutto: infatti poco prima del matrimonio morì la madre di Isabella, Ippolita, e i festeggiamenti furono rimandati di un anno. Il rosso del corpetto e della manica, a contrasto del nero, ben si addice al suo carattere fiero e indomito ed è il colore dello stemma degli Aragona, che riporta quattro pali rossi su oro.

Nonostante le identificazioni dubbie (a partire da quella, in forse tra Isabella ed Ippolita Sforza, del busto del Laurana del Kunsthistorisches Museum di Vienna, e fino al ritratto della Galleria Doria Pamphili di  Roma identificato dagli studiosi in Isabella di Requesens), non esistono raffigurazioni certe di Isabella, per cui il volto di profilo dell’Ambrosiana, dato il complesso di evidenze addotte, ne svelerebbe per la prima volta la fisionomia.

Fig. 7All’Ashmolean Museum di Oxford esiste una copia del ritratto dell’Ambrosiana, Portrait of an unknown woman, di pittore anonimo (Fig. 7), che riproduce il medesimo profilo della dama dell’Ambrosiana. Il confronto col ritratto di Oxford, poco conosciuto e che finora ha ricevuto scarsa attenzione dagli studiosi, apporta nuovi e significativi elementi che convergono a identificare Isabella d’Aragona. Si tratta di rilevanti indizi riferiti sia alla storia della donna sia alla personalità della stessa, così come emerge dai documenti storici pervenuti e dalle testimonianze dei cronisti che costituiscono convincenti testimonianze. In base ad essi non è azzardato concludere che chi eseguì la copia, pur in età più tarda (indicativamente XVII sec.), conosceva l’identità della modella.

Tra vari indizi, ad esempio, sulla spalla sinistra della donna ivi ritratta l’osservatore può riconoscere l’emblema della colomba (simbolo ricorrente in fregi e bandiere sforzesche, soprattutto per la parte della famiglia legata a Galeazzo Maria, padre del marito Gian Galeazzo), qui reso dall’anonimo pittore con un curioso “effetto anamorfico”. Inoltre l’aspetto della donna - che vi compare in età più matura, con gli stessi gioielli ma vestita di un saio dimesso e con il simbolo del martirio - richiama alla mente la storia della infelice Isabella, precocemente vedova e madre dolente a cui sottrassero il piccolo Francesco, che si firmava “Isabella de Aragona Sforcia ducissa Mediolani unicha ne la desgracia”.

Con modalità del tutto insolita, una mano adunca sbuca dal buio sulla parte sinistra del dipinto sorreggendo quella che sembrerebbe o una lama a doppio taglio o due foglie affilate di palma, mentre par di scorgere una sottostante ruota dentata (l’incertezza è qui dovuta allo stato di conservazione del dipinto che soprattutto in quel punto risulta poco leggibile).

Il Lloyd (A Catalogue of the Earlier Italian Paintings in the Ashmolean Museum, Oxford, 1977)(4), richiama l’associazione con la figura di Caterina d’Alessandria, martire eroica, precisando che “…the hand with the attributes of St. Catherine is most probably not a later addition, as might appear to be the case…but seems to have suffered more of the rest of the painting…” [” la mano con gli attributi di S. Caterina non è probabilmente una tarda aggiunta, come sembrerebbe,… ma pare avere sofferto più del resto del dipinto”].

E infatti il paragone con S. Caterina - per la leggenda anch’ella di origine principesca - si rivela esemplare, poiché pure Isabella a detta degli storici del tempo fu modello di sapienza e forza d’animo, e pertanto l’intuitiva associazione tra l’acerrimo avversario di Isabella, Ludovico il Moro, e lo spietato governatore Massimino Daia, che martirizzò Caterina, indirettamente ha una sua giustificazione logica alla luce della vicenda biografica della perseguitata duchessa.

La copia di Oxford conservata presso l’Ashmolean Museum, proveniente dalla collezione George Salting e databile intorno al XVII secolo (già considerata dal Bode opera del de Predis e valutata dal Morelli e dal Malaguzzi Valeri una mera copia del ritratto originale di Milano), nel corso della ricerca si è rivelata sorprendentemente utile per l’individuazione dell’identità della Dama con la reticella di perle, poiché in essa tutto conferma che si tratti di Isabella d’Aragona.

Ipotesi di attribuzione autoriale dell’opera dell’Ambrosiana non vengono considerate nell’indagine, che si concentra sull’identificazione della modella. Si impone tuttavia una nota biografica, che mette in luce il fitto intreccio tra la vita di Isabella, fresca sposa giunta a Milano, e quella di Leonardo: come noto egli curò l’allestimento della “Festa del paradiso” e in quel periodo la sua vicinanza ad Isabella, unitamente al Bellincioni, è segnalata e fondata su documenti certi. Inoltre il Maestro fu a lungo suo ospite al castello di Pavia nel 1490, ove ideò per lei alcuni progetti, seguendone i lavori.

Tale documentata vicinanza tra il Pittore e Isabella, giusto nell’anno in cui è generalmente datato il Ritratto di una dama dell’Ambrosiana, resta pur sempre quale significativa traccia biografica a ridosso della datazione di un ritratto aristocraticamente formale, degno di una duchessa, che adombra una latente arcana vitalità, compiutamente dominata nella figura eretta e filtrata nella pacata fierezza dello sguardo. Una rigorosa essenzialità, che ben si addice allo stile vinciano dei primi lavori, contraddistingue questa opera dalla storia prestigiosa e controversa, alla quale originariamente per attestazione del Borromeo del 1618 e fino al primo repentino spostamento attributivo operato dal Morelli due secoli dopo, fu associata la “mano di Leonardo”.

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1, “Ritratto di una dama” , 1490 ca. Giovanni Ambrogio De Predis (già "Ritratto d'una Duchessa dal mezzo in su, di mano di Leonardo,, tavola (legno di pioppo), tempera e olio, 51x34 rettangolare, inv. 100 1971 000100). Ambito lombardo 1485-1500 ca.
Donazione cardinale Federico Borromeo 1618 - Acquisito dal cardinal Federico tra il 1607 e il 1611, il dipinto viene donato all'Ambrosiana come "
Ritratto d'una Duchessa dal mezzo in su”, di mano di Leonardo".
A tale prima attribuzione si sono succeduti vari spostamenti attributivi (Lorenzo Costa, Francesco Francia fino all’attuale attribuzione al de Predis).

Fig. 2, Particolare del documento “Notai Arcivescovili, filza 138, atto 39” (ASMI), in cui compare la scritta relativa al quadro “Ritratto di una Duchessa di Milano dal mezzo in su di mano di Leonardo”.

Fig. 3, Particolare del “Ritratto di una dama” , 1490 ca. Giovanni Ambrogio De Predis (ut supra)

Fig. 4, “Ritratto di Beatrice d’Este”, 1491 ca., Giovanni, Ambrogio de Predis (?), olio su tavola, 51x34,5, Christ Church Picture Gallery, Oxford, inv. no. JBS 156. Particolari: gioiello con pietra rossa sormontante pietra nera e perla pendente su acconciatura; girocollo con perle e gioiello rosso con perla pendente.

Fig. 5, “Ritratto di Beatrice d’Este” (erroneamente catalogato come Ritratto di Barbara Pallavicino”), 1491(?), Alessandro Araldi, olio su tavola, 46,5x45, Galleria degli Uffizi, Firenze, inv. Pal. n. 371 e inv. 1890 n. 8383. Particolari: gioiello con pietra rossa e pietra nera e perla su acconciatura; girocollo di perle e goiello rosso con pendente.

Fig. 6, “Ritratto di Bianca Maria Sforza”, 1493 ca. Giovanni Ambrogio De Predis, olio su tavola, 51x32,5, National Gallery of Art, Washington, inv. no. 649.

Fig. 7, ”Portrait of an unknown woman”, XVII sec (indicativo), oil on canvas, Ashmolean Museum, Oxford, inv. no. WA 1945.63 (ex A713).

 

Note al testo con i libri citati

(1) Lermolieff Jvan (pseudonimo di Giovanni Morelli) “Opere dei maestri italiani nelle gallerie di Monaco, Dresda e Berlino”, Bologna, Zanichelli, 1886, pp. 425-26

(2) Cartwright Julia,JM Dent & Sons“Beatrice d’Este Duchess of Milan,1475-1497”, New York, E. P. Dutton Co. 1910

(3) Malaguzzi Valeri Francesco, “La Corte di Ludovico il Moro”, vol. I, Milano, Hoepli, 1915-1923

(4) Lloyd Christopher, “A Catalogue of the Earlier Italian Paintings in the Ashmolean Museum”, Oxford, Clarendon Press, 1977, pp. 96-98

La ricerca di Carla Glori si intitola “Addenda: Proposta di identificazione della Dama con la reticella di perle”, in appendice a Glori Carla e Cappello Ugo, “ Enigma Leonardo: decifrazioni e scoperte-La Gioconda. In memoria di Bianca – Volume I(in corso di stampa presso Edizioni Cappello, Savona, anno 2012)

 

 

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