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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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La collezione Spano di Ploaghe

PATRIAM DILEXIT – LABORAVIT.

Fig. 1A conclusione del percorso artistico che abbiamo proposto al lettore, come degna conclusione – dopo le collezioni comunali d’arte di Sassari – meritevole coronamento è la proposta di visita alla mostra permanente della Collezione Spano di Ploaghe (Sassari), contenente moltissimi capolavori affini a quelli ora in mostra a Sassari, e di grande pregio.

La bellissima collezione di dipinti e opere d’arte è stata raccolta dal canonico Giovanni Spano (Ploaghe 1803 – Cagliari 1878), benemerito e illustre padre dell’archeologia sarda. Fu allievo delle Scuole Pie di Sassari, sacerdote zelante, studioso eccellente di Sacra Scrittura e lingue antiche e orientali, sapiente e versato in tutte le discipline storiche, intuitivo e precorritore di tante moderne scoperte. Poi, direttore della Biblioteca Universitaria di Cagliari, fondatore del Bullettino Archeologico Sardo, Senatore del Regno d’Italia (1871), autore di centinaia di scritti di grande valore e epistole di discreta importanza e numero (circa 2500). Tra le sue opere: il Dizionario Sardo-Italiano (1851-1852), la raccolta di Proverbi sardi (1852), la volgarizzazione in sardo del Vangelo secondo san Matteo (1858), numerosi Tratti della Scrittura tradotti in volgare sassarese per il principe Luigi Luciano Bonaparte (appassionato filologo e linguista che nutriva sommo interesse per il curioso linguaggio ancor oggi in uso nella città di Sassari e per la lingua sarda) e centinaia di altri scritti a carattere storico/archeologico e artistico, ancor oggi di grandissima importanza. È sepolto nel cimitero di Bonaria, a Cagliari, in una tomba da lui stesso disegnata ricavata da resti d’età romana rinvenuti nei suoi scavi (artisticamente non troppo gradevole e oggi bisognosa di urgenti restauri). Sul sepolcro il motto: PATRIAM DILEXIT – LABORAVIT.

Alla sua pluridecennale esperienza nel campo culturale, al suo lavoro infaticabile nell’opera di studio e ricerca, si deve la straordinaria raccolta di pezzi d’arte da lui stesso lasciata alla sua città natale (che è andata ad unirsi a quella del rettore ploaghese F. Demurtas), un tempo sede vescovile e di grande importanza per il medioevo sardo.

La raccolta del canonico Spano è conservata in parte nella settecentesca Casa Parrocchiale di San Pietro, in parte – anche – nel Palazzo Comunale e altre sedi ecclesiastiche (Oratorio della Madonna del Rosario – contiguo alla cattedrale di San Pietro). Oltre che dallo stesso raccoglitore, che ne stese un primo catalogo ragionato con le attribuzioni e i dati relativi ad ogni singola opera, la collezione è stata studiata da altri numerosissimi ricercatori e appassionati cultori, fra cui E. Brunelli, R. Bruno, A. D’Aniello, R. Delogu, G. Dore, M. C. Galassi, G. Gottard-King, W. Paris, T. Pittau, M. G. Scano, V. Sgarbi, E. Valcanover, A. Casula, D. Virdis, M. Derudas e altri.

Fig. 2

Se prendiamo come metro di misura storica, di visita, l’antichità delle opere, non possiamo ignorare il San Domenico, [FIG 1] una tempera su tavola già appesantita da un revisionismo “anatomico” tutto quattrocentesco. Il santo in carne, non idealizzato, dal viso affinato ma dal corpo pesante, e fissa estatico un punto verso la sua destra dove, forse, stava una Madonna col Bambino. Il giglio e il Libro delle Scritture, poggianti sul globale disegno leggermente piatto, mostrato sul fondo oro di lontana reminiscenza bizantina, alleggeriscono l’intera figura come semplici dettagli, senza emergere troppo. Il canonico riferì che il bel dipinto proveniva dallo spogliato convento domenicano di Cagliari, e forse vantava provenienza napoletana. È probabile comunque si tratti d’un pezzo di polittico realizzato da allievo esperto di Francesco Traini, forse del cosiddetto “Maestro della Carità”.

Ancora una Vergine Maria col Bambino Celeste, [FIG. 2] stavolta privo di ogni attributo, spicca nella collezione. Sempre vicino al modello del Mabuse presentato in precedenza su queste pagine (metà del ‘400), la Vergine non è ferma come nella citata Madonna dell’Uva, ma dolcemente inclinata, amorosamente vicina al Figlio Divino che, semplice e sereno, gioca col manto bianco che copre il capo della Madre. Le allusioni nascosta nel candido manto di Maria - in specie riferite alle sue prerogative di Madre di Dio - sono palesi: il Figlio-Dio mostra della Madre umana il candido e unico biancore (manto), indice di purezza assoluta: nella Concezione (sine peccato) e nella generazione di Gesù (“sine tacto pudoris” come indica la Liturgia). Sulla delicatezza dell’incarnato e sulla preparata diffusione delle luci non vi può essere alcuna critica, anzi, forse proprio questi dettagli permettono di avvicinare al Gossaert l’opera, accostandola cronologicamente al suo viaggio nell’Italia del Rinascimento. R. Serra (1962), da par suo, vede l’opera come ottimo esempio produttivo sempre del Mabuse ma con la mediazione medio-cinquecentesca di Paulus van Aalst, che dal succitato artista riprese molte composizioni, ispirando numerosi ottimi imitatori. Fig. 3

A Ludovico Cardi (amico del Buontalenti e grandemente ammirato da Galileo Galilei) è attribuito un San Pietro, [FIG 3] da M. G. Scano e W. Paris, mentre R. Delogu non lesinò critiche all’opera, attribuendola a mediocre pittore seicentesco. In effetti, solo il viso serio e modesto ma ben delineato, le mani (la sinistra col dito indice solennemente sollevato in segno di docenza e preminenza) e le chiavi, spiccano dal generale tono scuro, buio, statico, del dipinto (olio su tela) del Cigoli.1

Grandemente ammirata e ben descritta dal nostro Spano fu invece la superba tela (olio trasposto), raffigurante la SS. ma Trinità con gli angeli recanti i Simboli della Passione, [FIG 4] straordinario pezzo che emana una fresca libertà tutta rinascimentale (la datatio è per il primo quarto del XVI secolo). In questa tela straordinaria (che colpì il canonico per il piccolo errore controprospettico dell’angelo a destra recante la Scala che servì per discendere il Cristo dalla Croce),2si intravedono frammisti bagliori di una Maniera tarda, di El Greco, uniti con elementi tipicamente di Scuola Romana (fratelli Zuccari e M. Pino).3Su un enorme globo cinto da una fascia d’oro ma spaccato alla mezza sfera inferiore (segno simbolico dell’umano primo peccato che dinanzi al Padre Cristo ha soddisfatto), sta giacente quest’Ultimo, sorretto da Dio (con un’ampia veste sollevata da un turbine impetuoso). Lo Spirito Santo, nella solita forma di Colomba descritta nei Vangeli, sta sopra la Spalla Divina, quasi nascosto ma discreto, simbolo della sua segretezza e del suo agire nascosto nella vita e nei destini umani (“Spiritus ubi vult spirat” - Giov. III,8). Fig. 4

Enigmatiche le tele del Maestro del Capitolo, raffiguranti sante Vergini e Martiri, e l’Immacolata Vergine Maria, [FIG 8] inserite ora nel gruppo della collezione Spano ma acquistate dal rettore Demurtas alla fine del ‘700 (l’intera collezione – sparsa ora per i Musei della Sardegna era forse raccolta un tempo in unico blocco, poi smembrato per motivazioni a noi ignote). Il Maestro del Capitolo (che deve il nome all’eccelsa produzione pittorica che ha prodotto per il Capito della cattedrale di Cagliari), resta ancora senza nome ma non senza fama. Nel gruppo di tele che l’emerito canonico volle donare al suo paese natio si osservano inserite le martiri Caterina d’Alessandria, Barbara e Agnese, mentre altre che paiono della stessa serie appartengono al Convitto Nazionale Canopoleno di Sassari (Sant’Apollonia e Sant’Agata). Le tele ploaghesi già facevano parte della collezione del rettore Demurtas nel 1784, mentre quelle del Seminario-Collegio Canopoleno di Sassari giunsero all’Istituto forse (non vi è alcun documento in merito) nello stesso periodo, dopo la soppressione della Compagnia di Gesù nel luglio 1773 e il passaggio al Regio Economato.

L’Immacolata risalta per il morbido distendersi della veste ai suoi piedi (bianca con regali ornati floreali), avvolta da un rigido panneggio bluastro a stelle e interno fiorato. La luna si accenna sotto i suoi piedi (il freddo astro è simbolo del male e di volubilità), mentre un nimbo di luce trionfale ne accerchia il capo, con lo sguardo rivolto verso l’alto. Le mani sono delicatamente giunte. Fig. 5

Simile delicatezza si nota nella Vergine Assunta al Cielo, copia dall’omonimo dipinto di Guido Reni (Pinacoteca di Monaco), già commissionato in copia dai gesuiti dimoranti in Sassari e poi riprodotto da ignoto maestro. Come recita l’Antifona del giorno dell’Assunzione, Maria sale al Cielo in anima e corpo, fra il tripudio univoco degli angeli, “sottintesi” nel bagliore dello sfondo d’oro luminoso, simbolo della Luce Divina. Due putti sorreggono Maria nell’elevazione, quasi a simboleggiare il “peso” dell’umana creatura che assurge comunque – per Divino eterno progetto – alla gloria celeste.

Il Figlio spogliato, umiliato, percosso, offeso e mostrato al ludibrio dei giudei e del popolo inumano, si ritrae silente in Sé Stesso, senza reagire, come un agnello indifeso: Sicut ovis ad occisionem ducetur, et quasi agnus coram tondente se obmutescet, et non aperiet os suum” (Is. LIII,VII): così nel Cristo alla colonna di Giovanni Domenico Cappellino. [FIG. 5] Egli riveste di cupe tinte il soggetto (con fortissimi rimandi al citato Maestro capitolare di Cagliari ma anche a certe forti frange tardo-tizianesche della Scuola Veneta dell’ultimo ‘600), ma il suo nome non trova conferma con alcuna firma né noto riferimento, nonostante la somiglianza col bellissimo Cristo flagellato della bella chiesa di San Sisto a Genova, già segnalato da W. Paris.

Fig. 6Degno di nota, ancora, in mezzo a moltissimi ottimi lavori, è il “Salvator mundi” (“Cristo Redentore”), [FIG 6] copia libera di quella omonima che custodita nella russica Leningrado, e molto oleografica – secondo alcuni – rispetto all’originale; invece, a nostro avviso, ha una decisa consomiglianza con la tela del canonico Spano. Straordinario è l’intreccio delle linee direttive nel Cristo al pozzo con la samaritana, raffinata, ariosa, fresca tela settecentesca ispirata ad A. Carracci nell’omonima di Budapest, che nonostante il chiaro collegamento al Maestro, è sempre oleografica nello sfondo, statica e ripetuta, nonostante la gran linea netta – mossa di vita nervosa e strutturante– che passa per la donna e sale per le braccia del Cristo sino alla mano destra, indicante il Regno dei Cieli.

In mezzo ad altri capolavori, si ammirano i ritratti di E. Scherer dello Spano (altre sue eleganti opere si ammirano anche nella cattedrale di Bosa), e le stupende figure del Marghinotti. Entrambi hanno riempito di sacra sobrietà neoclassica moltissimi luoghi di culto sardi, lontani dall’ubriachezza frivola del tardo ‘700 e dal tipico straripante “barocchetto piemontese”.

Delicatezza, soavità, trasparenze come d’acquerello, frammiste a severe ma sguarnite campiture, rappresentano le grandi opere sacre di Giovanni Marghinotti, che diffuse nel corso dell’800 la sua arte dal Capo inferiore al Capo Nord dell’Isola, disseminando nelle varie cattedrali e nelle sedi statali eccellenti lavori. Il Caino sopra uno scoglio [FIG 7] mostra l’eccelsa perizia del nostro: la muscolatura solida, nervosa, granitica, bene rende la caparbietà d’acciaio dell’infelice fratello di Abele. Per lo Spano, la tela mostrava solo un’eccelsa preparazione dell’artista nello studio accademico dei nudi. Niente di quello sopradetto lo colpì, ma ora si vede chiarissima (dopo i restauri) la possanza del corpo di Caino, che pare rimandare ad estremi michelangioleschi (per la poderosa energicità dei corpi nudi) e caravaggeschi (per gli innumerevoli giochi d’ombra e luce).Fig. 7Fig. 8

Le delicate figure di Giovanni Marghinotti dovettero comunque commuovere l’anziano canonico, che le volle acquistare ed ammirare, anche da privati possessori. Si va da sacri soggetti sino alla mitologia classica (specie latina), tanto cara al nostro sacro collezionista: (Arrio e Mecenate e la Congiura di Sarrio Publiese), che in questo pare rimembrare le gloriose antichissime origini romane della propria città natale.

Molto si potrebbe ancora dire, ma nulla si anticipa al visitatore, allo studioso, all’appassionato. Chiunque dovesse capitare in terra Sarda, cuore dell’Italia, troverà sempre sommi capolavori d’arte che – assetati di amatori – continuamente ne cercano di nuovi.

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1 – Maestro della Carità (attr.), San Domenico di Guzman, tempera su tavola.

Fig. 2 – Scuola di J. Gossaert (Mabuse) o cerchia di Paulus Van Aalst, Madonna col Bambino, olio su tela.

Fig. 3 – Ludovico Cardi (detto Cigoli – attr.), San Pietro apostolo, olio su tela.

Fig. 4 – Anonimo del XVI sec., SS.ma Trinità con angeli recanti i simboli della Passione, olio trasposto su tela.

Fig. 5 – Anonimo del tardo XVI secolo, Cristo alla colonna, olio su tela.

Fig. 6 – Anonimo, Salvator mundi (Cristo Redentore), olio su tela.

Fig. 7 – G. Marghinotti (attr.), Caino sopra uno scoglio, olio su tela, metà del XIX secolo.

Fig. 8 – Maestro del Capitolo, Immacolata (Vergine della Concezione), olio su tela, XVII secolo.

 

Scheda tecnica

La Pinacoteca della Città di Ploaghe è aperta solo per visite guidate e/o con permesso del parroco, titolare della cattedrale di San Pietro, della soppressa diocesi omonima, e dei palazzi annessi con la Collezione. Per info generali anche sui beni culturali ricchissimi del territorio: Parrocchia di San Pietro apostolo, Ploaghe, piazza S. Pietro, 12 (cap 07017), tel: 079-449836.

Altre informazioni sul Museo Spano: Pinacoteca del can. Spano, Ploaghe, piazza S. Pietro (Oratorio del Rosario).
Tel. 3460196300 - fax: 079 4479930
 (coop. Domus Majore).
Orari: Agosto: 10.00 – 13.00 e 19.00 – 21.00
.
Altro periodo: su prenotazione (sempre disponibili durante l’anno per visite a scolaresche, gruppi, ecc.).
Biglietto: €. 2,50
 

 


Note al testo

1M. G. Scano lo accosta al San Pietro della chiesa di San Michele a Pianezzole

2L’Angelo, per un errore prospettico non elaborato nei disegni preparatori, è stato “costretto” dall’artista ad infilare la testa nella sacra Scala, invece di averla sulla spalla, come previsto. Il buffo “errore” colpi anche, come notato, il canonico Spano.

3  R. Coroneo notò la somiglianza con la Pala della Deposizione di S. Maria in Aracoeli a Roma, mentre già R. Serra aveva notato similitudini con la Trinità esposta nella chiesa della Trinità dei monti nella medesima città.
Nella pala di Daniele da Volterra presente nella chiesa appena citata, a nostro avviso, si nota ripresa la postura del Cristo deposto accasciato, simile assai a quella della tela del canonico, “duro” nel silenzio della morte ma al contempo languido nel suo Barocco anticipato, o nella sua piena Maniera (i “punti artistici di visuale” sono molteplici e intrecciati).

 

 

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