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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

La disperata recita di una prigionia senza speranza

 

Sarah Kane, capofila della ‘new angry generation’, apprezzatissima da Edward Bond, ma massacrata dalla stampa e dalla critica di allora. Una tragica meteora della scena internazionale, morta sucida a soli 28 anni, nel 1999. I suoi testi sono disturbanti, sado horror politici, dissezioni d’anima in corpore vili. ‘Teatro della crudeltà’, si potrebbe dire, con Artaud. Muti canovacci di disperazione, che tuttavia stavano evolvendo a più distesa parola, come testimonia la sua ultima opera, postuma ‘4.48 Psychosis’ (Psicosi delle 4 e 48 - 1999).

E proprio su questo testo ha lavorato in passato Giorgia Filanti, e ora è tornata a lavorare con ‘Performing 4:48’ (Roma, Teatro due, giugno 2020), liberamente ispirandovisi. Del resto la Filanti è una delle poche ad aver affrontato in Italia la Kane, vincendo tra l’altro un premio nel 2018 con la messinscena di ‘Crave’ (S. Kane, 1998 – In Italia tradotto infelicemente come ‘Febbre’, anche se significa più ‘desiderio, bisogno’).

Psychosis’ è la cronografia, la risonanza magnetica, di una depressione sempre più alla deriva, in un rimbalzo tra ‘voci d’esterno’, reali e/o immaginarie, ed una deriva dell’autocoscienza, per lampi disperati, tra bagliori di ribellione, ansia di resilienza, e la progressiva devastazione di uno spegnersi nel destino del dilagare della depressione medesima. Una disperata richiesta d’amore, di essere ‘toccata’ dalla presenza del ‘Altro’. Di essere vista per potersi vedere. Di essere guardata, certificata di esistenza, e scolpita in una identità finalmente non evanescente. 

Sei l’unico che mi ha toccato [ … ] Vaffanculo perché mi rifiuti non essendoci mai [ … ] Cavatemi la lingua, ma lasciatemi l’amore!!! [ … ] questo bisogno vitale per cui morirei / essere amata / Muoio per una a cui non importa / Muoio per una che non sa proprio / mi sta spezzando [ … ] guardatemi scompaio / guardatemi / scompaio / guardatemi guardatemi guardate // Una me che non ho mai conosciuto, il volto impresso sul rovescio della mia mente’

Ma gli altri sono un ‘Altro’ alieno e irraggiungibile. Che siano i dottori della clinica, tutti farmaci e giudizi, o che sia la catechizzante ‘voce’ di una ipotetica e comprensiva terapeuta (l’unica voce che non è in mano alla monologante attrice – Serena Borelli – ma microfonata ad alto volume, in scena, con un tono neutro). O che sia l’amante ipotetico, che dorme, ignaro e distante.

Sono gelosa del mio amante addormentato [ … ] marionetta in pezzi, ridicola folle [ … ]non riesco a toccare il mio vero io [ … ] non hai bisogno di un amico hai bisogno di un dottore [ … ]

Il nostro è un rapporto professionale. Secondo me è un bel rapporto. Ma di tipo professionale.

[ … ] starai bene [ … ] Ho bisogno di stare con i miei amici [ … ] Cazzo io lo odio questo lavoro ho bisogno di amici sani’

Quindi come si apre

una mente il cui pavimento si muove come diecimila scarafaggi quando entra un raggio di luce non appena tutti i pensieri riuniscono in un attimo di accordo un corpo che non espelle più nulla gli scarafaggi comprendono una verità che nessuno osa nominare …’

così si chiude, con la disperazione, e la fantasia di liberazione attraverso il suicidio, alle 4:48 di notte (l’ora notturna che secondo le statistiche è il momento di maggior attrazione verso il suicidio) 

tremare / lanciare / colpire / spremere / frustare / sfiorare (etc.. recursivamente e ossessivamente) / … niente è per sempre.. / Vittima / carnefice / spettatore /.. / Lanciare, colpire (etc) …. 100/93/ 84 (etc) 8 4 2 (count down pre mortem?)

La protagonista non trova più appigli, non trova il volto impresso ‘sul rovescio della mente’, una unità di identità. E’ dissociata, derealizzata: disperata. Vuota. Delira all’infinito la lista di possibili azioni che nella frammentazione del sé non riescono più ad unirsi in un senso, né percepito e vissuto, e neppure pensabile, ipotetico, dell’ipotesi della ragione e della speranza.


Ed è questo il culmine dell’idea scenica. Serena Borelli abbandona i marionettistici meccanici isterici quadri danzanti fin qui esibiti, e scende in platea.

Comincia a girare attorno alla sala, attorno agli spettatori - avvolgendoli con disperazione e accuse implicite – lungo i muri su cui una luce bluastra proietta la sua ombra, ingigantendola. Ripete la lista, ossessivamente, con crescendo ora gridato ora lamentoso, e sempre più veloce, avvitandosi nella disperazione.

Poi risale lentamente – a retromarcia – guardandoci, la scala laterale, fino al proscenio, mentre la musica smuore.

Sembrerebbe non esserci altro da dire. Ma con una chiusura formale coerente, ecco l’ultimo delirio di prigionia

tua discepola verso la lucidità.. per.. per.. per.. per.. [… ] per.. [… ] per.. [… ] per essere amata perdonata libera.. [ … ]‘

In sottofondo una canzone in inglese, struggente.

Come ad inizio pièce, la parete di fondo è color bruno, terreo (la grotta della follia). Il non colore della depressione. E lei, in calzamaglia color pelle, sbatte contro i muri, in una danza a scatti. Indossa mascherina e guanti (una concessione alla prigionia senza voce del Covid?).

I muri li carezza, li gratta … Poi, come all’inizio, si mette contro la parete di fondo, a testa in giù.

guardatemi scompaio / guardatemi / scompaio’

Un ‘non colore’ questo che chiude i precedenti quadri ‘di colore’, il colore della rabbia speranzosa (rosso) e poi sempre più triste (blu), agiti nella parte mediana della performance, con cambio di vestito e parrucca (a scena aperta), e liberandosi di mascherina e guanti.

 

 

Un tentativo di ’voce’, di identità. Ma sempre stralunato, poiché - mentre parla, racconta, accusa, domanda, si lamenta – il corpo dice sempre dell’intrappolamento, esibendosi in un ballo meccanico, con le braccia alzate, e le mani che girano fissamente, come a svitare il cielo (e la Borelli è bravissima, nel suo mix di gesto, voce, corpo, e nella maschera del volto).

Ma … Una performance? Sì. Perché lei è disperatamente consapevole di recitare di fronte a se stessa, e a dei giudici interni/esterni. Guardatemi sì. Ma alla fine? Forse no. Meglio scomparire …

scompaio / guardatemi [ …] … per favore aprite le tende …

Aprite le tende? Il sipario? Fine recita?

O aprite le tende che non fanno entrare la luce. Per poter vedere la verità?

Una chiusa ambigua nell’interpretazione, e che riflette bene l’ambivalenza della malattia, tra odio di sé e richiesta d’amore.

Dunque. Una regia intelligente, corpo a corpo col testo, e una interpretazione attoriale che sta al passo. Ed il pubblico, dopo il colpo allo stomaco, ricambia con calorosi applausi.

 

Scheda tecnica

Performing 4:48.
Regia di Giorgia Filanti, con Serena Borelli, aiutoregia Danilo Caiano, elementi coreografici Livia Ghizzoni, light designer Fabio Settimi, sound designer Fefo Forconi, foto di scena e grafica locandina Marco Lausi, produzione Ass. Cult. ka.

 

 

 

 

 

 

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