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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

La bocca sollevò dal fiero pasto

L'antropofagia nell'arte

Ugolino di Jean-Baptiste CarpeauxNella letteratura, nel cinema, nella pittura e, in genere, nelle altre arti figurative, il fenomeno del cannibalismo ha spesso affascinato gli artisti o gli autori, sia al fine di descrivere una determinata cultura e sia per rappresentare simbolicamente movimenti psicologici.

Interpretazioni del fenomeno

Se il riconoscimento, del cannibalismo, di un significato culturale e simbolico nel mondo contemporaneo è più che appurato, non lo è stato ad esempio nel Rinascimento e nella prima età moderna. È in questo periodo, infatti, che il cannibalismo veniva visto come il risultato di condizioni ambientali sfavorevoli (vedesi M. Harner, 1977) come, ad esempio, nel periodo primordiale, immaginato con costumi arcaici e spaventosi in cui dominavano la ferocia e la crudeltà.

Lo stesso Freud, in “Totem e Tabù” (1912-1913), pone alle basi dello sviluppo della società e della cultura umana l'esistenza di un'orda primitiva antropofaga, in cui i figli uccidono e si cibano del padre, accusato di detenere il possesso esclusivo delle donne.

Se nell'atto cannibalesco alcuni, come W. Arens, hanno visto una “speculazione” storico-archeologica di matrice razzista da parte dei ricercatori, è stato appurato e studiato che in realtà questa pratica sia stata realmente parte integrante del sistema culturale e simbolico di alcuni gruppi umani.

È proprio nel carattere simbolico che l'antropologia spiega il cannibalismo, in quanto riflette una particolare considerazione dell'uomo rispetto agli altri esseri umani: si ritiene la carne umana provvista di qualità superiori, delle quali ci si appropria attraverso il consumo, poiché sia il sangue che la carne umana rappresentano gli elementi più ricchi di forza vitale.

L'antropologia classifica il cannibalismo in relazione all'oggetto, si ha quindi “autocannibalismo”, se rivolto al proprio corpo (mangiarsi le unghie); “esocannibalismo”, quando si ha come oggetto individui non facenti parte della comunità; “endocannibalismo”, se il consumo riguarda individui dello stesso gruppo. Sia esocannibalismo che endocannibalismo rispettano la concezione che le carni umane possiedano qualità speciali: l'esocannibalismo comporta l'arricchimento di queste qualità (in quanto ci si “nutre” della forza vitale di un individuo esterno, con “esterna” forza vitale); nell'endocannibalismo non si permette che il gruppo consanguineo perda tali qualità con la morte di un suo membro. Il primo ha, ovviamente, valenza religiosa e cultuale, alcuni studiosi hanno visto nell'Eucarestia un retaggio di antichi culti, in quanto nel sacramento c'è l'invito a bere e mangiare, idealmente, il sangue e il corpo di Cristo.

L'antropofagia nell'arte figurativa

Il verso della Commedia dantesca “La bocca sollevò dal fiero pasto” è stato rappresentato figurativamente nell'incisione di Gustave Doré Ugolino sbrana la testa di Ruggieri degli Ubaldini (1857). L'opera di Doré rappresenta magnificamente quanto il Sommo Poeta scrisse: Ugolino è rappresentato intento a sbranare il cranio dell'arcivescovo mugellano. Esistono varie versioni figurative di questa scena, come quella di Jan Van der Straet, ma in Doré è visibile la ferocia con cui Ugolino si ciba in eterno. Ruggieri è rappresentato totalmente sopraffatto dalla ferocia del suo aggressore, così come descritto nell'opera dantesca, in cui l'arcivescovo non ha mai parola.

La scena si riflette sulla distesa ghiacciata del Cocito, il lago in cui sono immersi tutti i traditori. Nella rappresentazione di Doré, i due protagonisti sono in posizione centrale, circondati da tutti gli altri peccatori, alcuni si lamentano alzano le braccia, altri osservano inorriditi la scena, altri ancora sono totalmente immersi sotto la superficie ghiacciata. Il volto del conte ricorda l'opera bronzea in stile severo di Zeus (o Poseidone) di Capo Artemisio (460 – 470 a.C.) in particolare nel profilo del viso e della barba.

Sempre dal Canto dantesco derivano altre opere sulla scena di cannibalismo. In particolare l'Ugolino di Jean-Baptiste Carpeaux (1862), scultura eseguita alla fine del corso di studi di Carpeaux preso l'Académie de France a Roma. L'artista rappresenta Ugolino nella Torre della Fame, incatenato con i figli ai suoi piedi, come descritto da Dante. Nella disperazione Ugolino si morde le mani cosicché i suoi figli si offrono per calmare la disperazione dell'uomo.

Il lavoro di Carpeaux si ispira a vari modelli della storia della scultura: nel groviglio compositivo si può riconoscere il Laocoonte del Belvedere, mentre la muscolatura deriva dallo studio delle opere michelangiolesche. La drammaticità dell'evento è rappresentata non solo dai volti dei figli di Ugolino o dai loro gesti, ma anche dalla disposizione piramidale del gruppo scultoreo, il cui vertice consiste nell'atto di autoantropofagia del nobile ghibellino.

Come scritto precedentemente il cannibalismo fu “scoperto” con l'età delle esplorazioni. Gli europei impossibilitati ad osservare da vicino queste popolazioni si basavano su descrizioni, nella maggior parte fuorvianti, o nelle varie rappresentazioni iconografiche.

Donna TapuiaUno dei primi artisti europei a dipingere scenari del Nuovo Mondo fu il pittore olandese Albert Eckhout (1610 c. - 1665). Eckhout fu invitato dal conte John Maurice nel Brasile Olandese e qui dipinse nature morte, nativi, schiavi e mulatti.

Eckout visse nel cosiddetto “Periodo aureo della pittura olandese” (tra l'inizio del Cinquecento e la fine del Seicento), contemporaneo del barocco ma privo dell'idealizzazione e dell'amore per lo splendore tipiche di quello stile. La pittura olandese di quel periodo è anche caratterizzata dalla scarsa presenza delle tematiche religiose a vantaggio dei ritratti, dei paesaggi sia marini sia terrestri, delle scene di vita quotidiana, delle battaglie e delle nature morte.

La pittura di Eckhout mostra la mancanza di riferimenti classici e dimostra il minuzioso interesse per il nudo ideale. Queste caratteristiche sono riscontrabili nel dipinto Donna Tapuia (1641), in cui è rappresentata una donna che trasporta in una cesta parti umane e con la mano destra tiene un polso e una mano. La scena non è ovviamente presa dal reale, non c'è una realizzazione dal vivo, l'artista si preoccupa di condensare il più possibile tutte le caratteristiche del luogo, siano esse elementi naturali (come nel caso della vegetazione o delle caratteristiche geologiche o nella raffigurazione di un cane) siano essi elementi antropici. La scena raffigurata è ben lontana dalla cruente pratica del cannibalismo, come si è osservato nelle opere di Doré e Carpeaux; qui la donna è rappresentata in un contesto quotidiano.

Se Eckhout nel Brasile Olandese rappresenta una donna che pratica cannibalismo con estrema delicatezza e semplicità, nel 1571, in una stampa proveniente da “Ein Erschröckenliche doch Warhaftige grausame hungers nott und Pestilenzische plag so im Landt Reissen vnnd Littaw furgangen im 1571 Jar” (it. “Una spaventosa ma nondimeno veritiera cruente emergenza di fame e pestilenza che accadde in qualche parte nel Paese di Reissen e Lituania nell'anno 1571”), traspaiono il terrore e la crudeltà del cannibalismo, sottolineato da case incendiate e uccisioni improvvise sullo sfondo, mentre in primo piano vengono rappresentate feroci scene di smembramenti.

 nel Paese di Reissen e Lituania Questo evento è probabilmente riferibile alla prima fase della Prima Guerra del Nord (1558-1570), quando la Russia invase la Livonia per avere il controllo nel Mar Baltico. Per contrastarla si allearono alla Danimarca e Svezia i polacchi e i lituani. In risposta a ciò la Russia distrusse raccolti ed abitati, favorendo la proliferazione di malattie e la scarsità di cibo. In questa stampa è rappresentata proprio la tragedia che si verificò, con estrema minuzia nei particolari e senza risparmiare scene di antropofagia infantile.

Un altro evento storico riguardante atti cannibaleschi è rappresentato nell'illustrazione dei Crociati mentre sventrano dei corpi (XIII sec.), presa dal libro di Claude Lebedel “Les Croisades. Origines et consequences”, conservato alla Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi. La scena rappresenta l'esito dell'assedio di Ma'arrat al-Nu'man, durante la Prima Crociata (1098), quando i crociati, dopo aver superato Antiochia, entrarono a Ma'arrat (Siria) sofferenti di inedia e malnutrizione. Demolirono così la città e massacrarono 20.000 abitanti, ma dal momento che non vi trovarono cibo sufficiente, si abbandonarono al cannibalismo. La veridicità storica dell'accaduto è poco attendibile, in quanto pochi storici dell'epoca e autoctoni descrivono l'avvenimento. La miniatura presenta le caratteristiche del tempo: tratti vigorosi, linee spesse, un attento studio per il drappeggio (visibile nelle vesti dei generali Crociati sulla destra), la tendenza a ripetere soggetti convenzionali ed una eleganza profana. Anche qui sono rappresentate scene con crudo realismo: al centro si assiste allo sventramento degli abitanti (forse anche alla ricerca dell'oro che le vittime avrebbero ingerito), mentre nella parte sinistra si osserva un corpo abbandonato su una catasta di legno incendiata.

Codice magliabechianoPopolazioni antiche hanno praticato il cannibalismo, tra queste i più noti sono gli Aztechi. Nel Codice Magliabechiano (1550 ca.) vi è una scena di cannibalismo rituale. Il codice è un documento religioso in cui sono raffigurati i nomi del calendario azteco, divinità, riti religiosi appunto ed usanze e credenze cosmologiche. Questo codice è composto da 92 pagine. Nella scena in questione possiamo notare che a sinistra sono seduti i devoti e i sacerdoti mentre consumano la carne umana, servita al centro in cesti da cui emergono un braccio con relativa rappresentazione della muscolatura recisa, una gamba tagliata forse ad altezza della testa del femore ed infine una testa umana; il cibo che si portano alla bocca i commensali è di difficile interpretazione anatomica. Nella parte destra, invece, sotto una specie di altare a baldacchino (caratterizzato da tessuti colorati e nastri rossi) si trova una divinità zoomorfa, con lunga lingua che esce dalle mascelle spalancate, con artigli e pelle bluastra. Si tratta forse della rappresentazione del dio Xolotl (riconoscibile per l'assenza di sandali e con zampe ricurve), divinità conosciuta anche come “L'animale”, “Il Signore del vespro” o “Signore del mondo sotterraneo”. Xolotl è generalmente rappresentato come un animale mostruoso con le zampe ricurve. Nella mitologia azteca era dio dei lampi e colui che aiutava i morti nel viaggio verso Mictlan, in corrispondenza della sua funzione di proteggere il Sole mentre scende negli inferi durante la notte.

Un'altra divinità conosciuta per il suo gesto è stata rappresentata da due pittori: Goya e Rubens. Il dio dipinto dai due artisti è Saturno, corrispondente alla divinità greca Kronos, che secondo il mito si nutrì dei propri figli (Demetra, Hera, Hestia, Ades e Poseidon) per timore di essere spodestato dal trono, ma fu sconfitto dal figlio Zeus e poi da questo affidato agli Ekatoncheires. Sia Rubens che Goya rappresentarono quindi la stessa scena mitologica, ovviamente adottando ciascuno un registro simbolico e pittorico diverso.

Saturno divora un figlio, di Goya Nel Saturno divora un figlio (1637-1638) di Rubens si ha una delle scene più cruenti della produzione di Rubens. Il dipinto fu creato per la Torre de la Parada e rappresenta il dio mentre sta divorando uno dei suoi figli. La cruenta scena è data anche dal vibrante uso del pennello e dalla ferocia espressività del dio, mentre il bambino cerca di divincolarsi dal padre urlando. Crono è inoltre raffigurato mentre tiene con la mano sinistra una falce, utilizzata per evirare suo padre Urano. Il dio Saturno però non è solo rappresentato antropomorficamente, ma è visibile anche in alto come tre stelle; il pianeta Saturno è qui infatti rappresentato come formato da tre corpi celesti allineati, secondo la descrizione di Galileo. La ferocia con cui Crono afferra e morde suo figlio è certamente veemente, dura, ma se paragonata con il quadro di Goya del 1820-1823 l'immagine risulta statica, ferma, immobilizzata. Nel dipinto murale di Goya rappresentante Saturno, infatti, vediamo il dio apparire dall'oscurità, intento a sbranare il braccio del figlio tenuto per il bacino sanguinante. La figura di Saturno è qui immensa, dominante; se nel dipinto di Rubens abbiamo l'inizio dell'atto cannibale, con Goya si ha la cruenta e feroce consumazione, accentuata anche dall'assenza del cranio e del braccio destro del piccolo. Saturno non ha le caratteristiche tipiche dell'iconografia, il pittore vuole concentrare l'attenzione sulla scena, su quelle fauci brutalmente aperte e sullo sguardo agghiacciante. La pittura murale fa parte delle decorazioni della casa di Goya, conosciuta come “Quinta del Sordo”. È personificazione di un sentimento umano ma allo stesso tempo misteriosa in quanto diverse possono essere le interpretazioni, come ad esempio la rappresentazione del Tempo che passa inesorabilmente e crudelmente.

Un'ulteriore figura fantastica è rappresentata nella scultura Kindlifresserbrunnen (1546) dello scultore rinascimentale svizzero Hans Gieng. Lo stile dello scultore svevo si avvicina all'arte della sua terra d'origine, è tradizionale e ancora gotico nelle creazioni religiose, realista in quelle profane. Nell'Orco rappresentato in questa fontana di Berna, lo scultore arriva a forme caricaturale di una figura folkloristica che tuttora terrorizza i bambini. L'orco indossa un copricapo simile al cappello ebraico, per cui alcuni vi hanno visto una espressione antisemita, altri una rivisitazione del mito di Crono. Probabilmente si tratta di una maschera carnevalesca della cultura locale; l'Oger è scolpito seduto con una casacca rossa e una calzamaglia verde, mentre tiene tra i denti un bambino e dentro alcune ceste altri piccoli impauriti.

KindlifresserbrunnenIn questo caso di ha quindi una rappresentazione tipicamente folkloristica di un personaggio della fantasia, il fine della rappresentazione non è quello di descrivere una cultura estranea o una vicenda mitologica o storica, ma ci si preoccupa di illustrare un essere con funzioni apotropaiche, cioè allontanare gli influssi negativi, la paura dei bambini per questa maschera.

Un'altra tematica, ricorrente nell'arte religiosa, riguarda il Giudizio Universale. Se nelle opere precedentemente descritte si ha una funzione narrativa, per questo genere di tematica il fine ultimo potremmo definirlo paideutico, cioè quello di “educare” l'osservatore del tempo a ciò che gli spetterà negli inferi. Molti artisti si sono occupati di questa tematica e tra chi ha rappresentato scene di cannibalismo troviamo: Buonamico Buffalmacco, che tra il 1340 e il 1343 affresca il Camposanto di Pisa; Giotto; Bosch; Coppo di Marcovaldo e Beato Angelico. Con Coppo di Marcovaldo, il più importante pittore fiorentino prima di Cimabue, si ha la decorazione musiva della volta del battistero di Firenze. In particolare, nella scena dell'Inferno si nota il dilagare della ferocia grottesca di Satana che sbrana i peccatori, un essere cornuto dalle cui membra fuoriescono feroci serpenti; questa rappresentazione influenzò certamente Dante nella descrizione delle Malebolge nella Commedia così come influenzò lo stesso Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova. Il pittore vicchiese utilizza la medesima iconografia di Coppo per rappresentare Satana, con la funzione di spaventare, di avvertire i credenti nel caso in cui non avessero seguito i precetti della Chiesa. Dopo Giotto anche il Beato Angelico intorno al 1431 affronta il tema del Giudizio Finale, nel quale troviamo Satana, tricefalo, mentre sbrana tre dannati (è interessante il realismo nella rappresentazione del sangue che sgorga dalla bocca della Bestia e dalle ferite dei peccatori). E anche nel celebre trittico di Bosch (1482 circa), troviamo scene di cannibalismo verso i dannati, nel tipico stile del pittore fiammingo, in cui migliaia di personaggi animano la zona inferiore in modo tale da sottolineare la mostruosità degli eventi.

Giudizio universale, del Beato Angelico Giudizio universale, di Bosch Giudizio universale, di Giotto

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