Statistiche dal 2010

Visite agli articoli
4387006

Abbiamo 213 visitatori online

Cerca nel sito

Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

non ha scopo di lucro, non propone alcuna pubblicità e ha come unico interesse la diffusione della cultura.
Pertanto, le immagini pubblicate si attengono all'a
rticolo 70, comma 1bis della legge sul diritto d’autore, dove si afferma che è possibile la "libera pubblicazione attraverso la rete Internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro".


Iscriviti al nostro
canale WhatsApp
sul cellulare

 - Nuova informativa sui cookie -

 


Testuali parole

Lineare Audio Video

(cfr. la seconda parte)

 

Una lettura delle serie televisive

La serie televisiva recita un certo ruolo nel tenere gli spettatori appesi allo schermo: un ritratto del quotidiano in cui la partecipazione del pubblico documenta alcune modifiche nelle abitudini della vita di tutti i giorni, al punto da farsi spazio; come conveniva, il consumo di serie televisive ha imposto alla smart tv un pulsante che rimanda ad una applicazione, leader del segmento commerciale in questione: Netflix. Un pulsante su un telecomando, a sintonizzare una abitudine. Lo schermo si presta a vicino di casa, aperto sul mondo e pronto a raccontarci tante storie diverse. Lo stesso schermo che coniuga lavoro e intrattenimento, realizza scambi e produzione.

Grazie alle serie televisive possiamo misurare senza troppo clamore un cambiamento dei ritmi di fruizione in rapporto alla recente proliferazione degli schermi che, secondo una disponibilità +1 : 1 e non più 1 : X, andavano adeguandosi lentamente alle dimensioni del corpo – utenza mobile oriented. La possibilità di vedere una serie televisiva durante uno scalo all'aeroporto, trasferimenti pendolari su treni e autobus - ma anche comodamente a casa - misura una certa vestibilità dell'audio-video, sorte toccata in passato alla stampa e alla musica, attraverso cui poter muovere alcune considerazioni sul tipo di scrittura proposto da questa tecnologia, e il tipo di lettura che deriva da questo dispositivo.

Walter Benjamin  Marshall McLuhan

 

Abbiamo forse imparato a leggere e a scrivere secondo una grammatica audiovideo? Abbiamo per giunta guadagnato inconsciamente una alfabetizzazione in tal senso grazie al cinema prima, alle televisione poi – arrivando allo smartphone? Siamo stati esposti inoltre sempre più massivamente a queste forme di comunicazione da assorbirle e farle diventare nostra prerogativa? Per dirla con McLuhan, l'eredità del foglio che si adegua allo schermo riconduce il cinema alla stampa. O quanto meno, il contributo muove da questa particolare rilettura del capitolo Cinema, il mondo in bobina - presente nel testo Gli strumenti del comunicare - in riferimento alla recente produzione di serie televisive.

  1. L’account Netflix

In quanto fonde il meccanico e l'organico in un mondo di forme ondulanti, il cinema si collega anche alla tecnologia della stampa. Il lettore, proiettando per così dire le parole, deve seguire quelle sequenze di fotogrammi bianchi e neri che costituiscono la tipografia e aggiungervi una sua colonna sonora personale. Egli cerca di seguire i contorni della mente dello scrittore, a velocità variabili e con varie illusioni di aver compreso. Sarebbe difficile sopravvalutare il legame tra stampa e cinema per quanto concerne la loro capacità di suscitare fantasie nello spettatore o nel lettore. (McLuhan: 257)

Le serie televisive realizzano al pari questa condizione. Anzi, interpretano questa condizione a puntate, per un pubblico sempre più numeroso. Proseguiamo

Insomma lo stretto rapporto tra il mondo in bobina del cinema e l'esperienza fantastica individuale della parola stampata è condizione indispensabile perché un occidentale possa accettare la forma cinematografica. Persino l'industria del film ritiene, non del tutto irragionevolmente, che tutti i suoi maggiori successi derivino da romanzi. Il film infatti, nella sua forma definitiva come in quella della sceneggiatura, è totalmente immerso in una cultura libresca. (McLuhan: 258)

La scrittura e la relativa traduzione audio-visiva delle serie televisive si compie a partire dal riferimento alla vita quotidiana, che realizza i tempi e gli spazi della fruizione. Condividere con alcuni amici un account su Netflix - nella formula di un abbonamento - evita la ricerca di materiali direttamente dalla rete per godere di una selezione di proposte - serie tv e film - a cura del gestore. Senza entrare nel merito degli algoritmi che selezionano i materiali a partire dalle nostre abitudini, si tratta comunque di un modo sensato per mettere ordine nella produzione e adeguarla al pubblico. Col vantaggio di non dover restare necessariamente connesso alla rete per fruire dei contenuti - è possibile scaricare i materiali e visualizzarli in seguito grazie all'app - questa attività può sostituirsi alla lettura di un libro, all'ascolto di musica (senza dimenticare la marea di alternative con cui impegniamo i nostri polpastrelli al duro esercizio del keep in touch). Rimarrebbe comunque il tempo di sbarazzarci di questi dispositivi e fare altro?

Far parte del pubblico di Netflix permette di vedere molte serie - quasi tutto molto americano, e c’è forse da guardare con sospetto alla internazionalità del prodotto, pur ricavando di fondo alcune considerazioni sui contorni del villaggio elettrico. Mentre consumavo minuti su minuti di contenuti, mi sono chiesto se potessi leggere nelle serie tv un tipo di scrittura - una scrittura audiovideo - che impiegasse il linguaggio del suono e delle immagini in una forma il più romanzata possibile. A puntate, come si trattasse di un romanzo d'appendice. E sono arrivato alla conclusione che non possiamo considerare le serie televisive senza partire da un riferimento alla vita quotidiana. Lontane dalla puntualità di un film, le serie televisive mirano a fare compagnia: la loro lunghezza, ad esempio, permette ai personaggi di svilupparsi al punto da creare un forte legame con lo spettatore. A ben pensare, anche il modello della saga cinematografica propone questo andamento. E la presenza di un personaggio qualsiasi che ci accompagna per alcune ore da passare con gli occhi incollatori allo schermo, ci conduce proprio dove hanno già deciso di portarci.

 

  1. Scrivere audiovisivo

Compito dello scrittore o del regista cinematografico è quello di trasportare il lettore o lo spettatore da un mondo che è il suo a un altro che viene creato dalla tipografie o dal film - in entrambi in casi, si tratta di qualcosa di concluso, di editato. È un fatto così ovvio e si verifica in misura così completa che coloro che subiscono questa esperienza l'accettano subliminalmente senza esserne criticamente consapevoli. (McLuhan: 258)

Fa eco a questo frammento una considerazione di Jean Luc Godard

I film ben riusciti sono quelli che si sanno spostare in avanti e indietro, se così si può dire; quando lo spettatore guarda, allora la macchina da presa è come se fosse rovesciata, e lui ha una specie di cinepresa nella testa, dove c'è un proiettore e quello che proietta... D'altra parte quando Lumière ha inventato il cinema, in modo del tutto inconsapevole e con l'onestà del piccolo industriale e del tecnico ingegnoso, quando ha costruito la macchina da presa, se ne è servito contemporaneamente come proiettore, lo stesso apparecchio cioè veniva impiegato per entrambi gli usi. Era qualcosa di inconsapevole, ma anche di completamente normale. Lumière ha inventato il proiettore contemporaneamente alla macchina da presa. Così quel che ne primo dispositivo serviva a riprendere il film, serviva anche a proiettarlo. Si trattava comunque della medesima apparecchiatura, un obiettivo, due bobine, un motore, dove è possibile applicare una manovella che passa da una parte all'altra, poi una lampada per la proiezione oppure la pellicola..., o la luce che viceversa serve per le riprese. Ma era sempre la stessa apparecchiatura. Questo è dovuto probabilmente al fatto che, quando si gira il film, si resta sempre dietro alla macchina da presa, e dopo anche, ma in effetti è la macchina che si è rovesciata e proietta quel che ha ripreso. (Godard: 140)

Lo capiamo ancora meglio grazie agli smartphone, che hanno il merito di riportare all'attenzione di tutti l'intervento produttivo - e non solo riproduttivo - di questi strumenti. Come se fossimo passati dal dover soltanto leggere al poter anche scrivere in termini audiovideo. L’orientamento verbovisivo - che si sostiene sulla possibilità di un suo esercizio nella burocrazia – viene così scalzato dall’impiego di suoni e immagini per documentare e per raccontare, per immaginare e manipolare.

Il cinema, in quanto forma non verbale di esperienza, è come la fotografia una forma di dichiarazione senza sintassi. In realtà però, come la stampa e la foto, i film presuppongono nei loro utenti un alto livelli di alfabetismo e sconcertano i non alfabeti. (McLuhan: 258)

Facciamo un esempio molto concreto, di questa affinità pur nella differenza: una notizia riportata per via cartacea messa a confronto con la sua resa in termini audio-video. Costruire con le sole parole a differenza del servirsi di parole per ricamare tra loro suono e immagini. Già a partire da questo contatto, è possibile misurare una differenza che diventa massima nel concepire una serie televisiva - come si trattasse di scrivere un racconto a puntate. Il suono, le immagini, la sceneggiatura, la scenografia, la recitazione e una lista che chi più ne ha più ne metta danno corpo a quanto altrimenti avrebbe trovato posto nel solo fissarsi delle parole.

L’immagine, del resto, è condizionata dalla parola, al punto che il grado di realtà di ciò che si vede è strettamente correlato alla possibilità di una sua descrizione verbale. È curioso, ma questa significativa relazione tra parola e immagine appare in tutta la sua evidenza proprio guardando la televisione. Se si analizzano le reazioni sensoriali che si generano davanti allo schermo, si trova che l’attenzione visiva del telespettatore si concentra soprattutto in una zona particolare dell’occhio, la parte centrale della retina, mentre complessivamente i suoi movimenti oculari sono meno pronunciati e meno numerosi del solito. Una tale situazione visiva normalmente provocherebbe la caduta immediata e senza scampo in uno stato di ipnosi. Incredibilmente, però, il telespettatore non risente degli effetti di questa sorta d’incantesimo, perché è occupato a verbalizzare istantaneamente l’immagine percepita, impegnato in modo esclusivo nel tentativo di riconoscere quello che vede. Per identificare di cosa si tratta, dunque, egli deve poter dire ciò che guarda.>> (Fadda: 34)

A partire da una immagine elettronica che propone condizioni cui sfugge un ritorno verbale, si palesa l’autonomia di una scrittura audiovisiva, fatta di suoni e immagini che nulla hanno a che vedere con la stampa. Chiaramente il caso delle serie televisive restringe il campo all’immagine verbalizzabile, in accordo alla generale ridefinizione delle funzioni e del processo della comunicazione al tempo del social: attraverso la manipolazione digitale, le diverse tecniche di ripresa e la possibilità di tradurre in fotogrammi qualcosa di assolutamente irreale, il campo del visibile ha subito una forte espansione che segna il nostro grado di lettura. Basti pensare che, se la qualità dell’immagine è perfettibile, il ricorso alle parole motiva la stampa di oggi al pari che quella di ieri e dunque rende questo genere di scrittura tecnologicamente storicizzata.

Nel caso delle tecnologie audiovideo è importante sottolineare inoltre che il guadagno di durate sempre più lunghe assicura nuove condizioni formali per le opere da realizzare. In questo modo le serie televisive arrivano a configurare con opportuna evidenza il punto di arrivo di questo processo di serializzazione dei contenuti, in totale accordo a quella produzione serializzata delle merci che si afferma grazie alla sempre maggiore automazione del lavoro, traduzione della vita quotidiana del consumatore.

 

  1. Densità di popolazione

Il pubblico infine funge da cerniera tra produzione e prodotto.

Nel caso delle serie televisive il legame si salda al punto da diventare quasi vitale: la produzione e la programmazione di una serie si accordano infatti ad una logica di sviluppo interna all'opera meno che alla logica di soddisfare il pubblico che attende la nuova stagione di turno. Se ogni occasione è buona a camparla per le lunghe, tra le ragioni di questo rapporto proprio la familiarità quotidiana con i personaggi e la loro storia esercita un polo d'attrazione indiscutibile, come le soap opera e i cartoni animati dimostrano con la loro continua programmazione.

I dati auditel delle serie programmate da Netflix sono sapientemente nascosti al pubblico che si lascia grammatizzare invece dal Machine Language parlato dall’applicazione in abbonamento. Questo a dispetto di un'altra importante regola: nel mercato delle visualizzazioni spicciole, quelle numerate dal contatore che accompagna ogni schermata per i video e gli audio in rete, la febbre del numero gioca virtualmente un ruolo importante nel prendere atto della sua presenza.

Insomma, visibile o meno, il controllo del pubblico nell'unità di misura della visualizzazione circoscrive il suo rapporto con l'opera, almeno in questo caso. Punto di partenza resta comunque l'assunzione dello spettatore a lavoratore.

 

  1. Conclusione

Il punto di partenza di queste considerazioni resta pur sempre il saggio sulla riproducibilità tecnica di Walter Benjamin. A riflettere ancora sulle fertili conseguenze della ricezione nella distrazione sull’abilità percettiva, è opportuno notare come le serie televisive si siano insinuate piuttosto neutralmente nella nostra quotidianità configurando le nuove dimensioni di un pubblico su scala globale e a tempo differito che eredita dalle abitudini cinematografiche il suo statuto di consumatore. Anche Benjamin si era confrontato con la stampa, proprio per individuare il carattere della tecnica cinematrografica, a partire dal profetico Ogni uomo ha il diretto di essere filmato. Questo diritto ce lo fa comprendere la situazione storica della vita letteraria attuale del capitolo XIII. Prosegue infatti

Nel corso dei secoli, le condizioni determinanti della vita letteraria ponevano un piccolo numero di scrittori di fronte a migliaia di lettori. La fine del secolo scorso ha visto prodursi un cambiamento. Con l’espansione crescente della stampa, che non cessava di mettere a disposizione dei lettori nuovi organi politici, religiosi, scientifici, professionali, locali, un numero sempre maggiore di essi si trovò occasionalmente impegnato in letteratura. Ciò iniziò con la rubrica delle lettere che la stampa quotidiana aprì ai suoi lettori. La differenza tra autore e pubblico tende, così, a perdere il suo carattere fondamentale. Essa è solo funzionale, può variare da un caso all’altro. Il lettore è in ogni momento pronto a diventare scrittore. (Benjamin: 27)

Una simile condizione si ripete oggi a contatto con un linguaggio audio-visivo incoraggiato dalla disponibilità di mezzi che ne rendono possibile tanto la lettura, quanto lo scrittura. A partire dal riferimento alle serie tv è infatti possibile misurare questa condizione.



Bibliografia

W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Donzelli Editore: Roma, 2012.

S. Fadda, Definizione zero. Origini della videoarte fra politica e comunicazione, Meltemi: Milano: 2017

J-L. Godard, Introduzione alla vera storia del cinema, PGrego: Milano, 2012.

M. McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore: Milano, 1967.

 

abbiamo aggiornato l'informativa sui cookie