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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

Fogli e Parole d'Arte

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Autoritratti e ritratti di Leonardo da Vinci

 
Fig. 1, Leonardo nelle Vite di Vasari

  

Premessa

Non corrispondono al vero le rappresentazioni melliflue del volto di Leonardo eseguite dopo la sua morte, seguendo un ritratto ritrovato tra i fogli conservati da Francesco Melzi, se di Leonardo sembra più un biglietto funebre che “di naturale”; l’immagine che ne dà Vasari è molto più calzante.

[In appendice: le firme di Leonardo e Antonio del Pollaiolo]

 

Il musico

 Fig 2, Leonardo Da Vinci, Il Musico
 

Non sono il primo a sostenere che il Musico è il primo autoritratto di Leonardo; in questa sede si cercherà di corroborare la intuitiva osservazione.
Nella seconda metà degli anni ’70 del Quattrocento la situazione di Leonardo a Firenze divenne sempre più critica; Verrocchio si vedeva un po’ tradito per i legami del Vinci con Pollaiolo suo rivale: ne è prova il fatto che la bottega di Verrocchio ebbe la commissione della Madonna di Piazza per il Duomo di Pistoia; i disegni preparatori furono affidati a Leonardo, ma della stesura pittorica fu incaricato il mediocre Lorenzo Di Credi. D’altro canto il Pollaiolo rimase ancorato all’altrettanto mediocre fratello quando avrebbe dovuto gettare tutti alle ortiche per stringere a sé il genio assoluto. In questa situazione dopo varie riflessioni Leonardo decise, agli inizi degli anni ’80 di lasciare Firenze per Milano, sede di un nuovo fervore artistico ispirato dal Moro. Con la raccomandazione di Lorenzo de’ Medici e una sua lettera si presentò a Ludovico Sforza proponendo già nello scritto di realizzare in prima persona un monumento equestre senza uguali di Francesco Sforza, padre di Ludovico. Non senza ragione Leonardo portò con sé alla Corte milanese una Lira d’argento, fatta di sua mano, formata a testa di cavallo; suonò e cantò facendo sobbalzare di ammirazione gli astanti. A parere dello scrivente Leonardo volle immortalare il grande successo ottenuto ritraendosi come musico nel dipinto oggi giacente alla Biblioteca Ambrosiana di Milano; ma vediamo come poterlo sostenere. Da una pulitura postuma è emerso un cartiglio con uno spartito su cui era apposta la scritta Can-Ang. La critica ha interpretato l’acronimo come “Cantum Angelicum” e in buona parte vi ha voluto riconoscere un’opera di Franchino Gaffurio maestro di Cappella del Duomo di Milano. Ci sono varie osservazioni che rendono problematica una tale attribuzione, a partire dalla intitolazione dell’opera di riferimento :“Angelicum acdivinum opus musice” non compare la parola canto da poter trasferire in acronimo ma opera di musica.
Il componimento è stato pubblicato nel 1508, a latere del quale Gaffurio si scusava per l’uso del volgare-italiano cui non era abituato e a cui si prestava perché ormai nei conventi specie femminili il latino non veniva più inteso. Questo brano musicale non sembra pertanto molto lontano nel tempo dalla sua pubblicazione, il ché renderebbe incompatibile Gaffurio con l’età del soggetto ritratto nel dipinto. Quale è il reale significato di can-ang? Leonardo, in ottemperanza al suo genio assoluto, ha scritto un gran numero di rebus e di molti di essi ne offre al lettore anche l’interpretazione (qualcosa che non avrebbe mai fatto il suo maestro Antonio del Pollaiolo profeta dell’ermetismo rinascimentale). Per citare un esempio, il rebus di Leonardo riferito a se stesso, che mostra un leone tra le fiamme e due deschi, è seguito dalla lettura “lionardeschi”.

 

Fig. 3, Leonardo, Rebus 

Nel dipinto dell’Ambrosiana Leonardo partecipa, non con la lettura completa, ma con un acronimo che il musico è lui stesso: Can -Ang, non è da intendersi come Cantum Angelicum ma come Cantor Angelicus. Il 1482, data di arrivo a Milano di Leonardo (nato nel 1452), risponde perfettamente all’età di trenta anni del Musico. Dove trovare un riferimento somatico di Leonardo? Alla Pinacoteca di Brera; nella seconda metà del Quattrocento Gaspare Ambrogio Visconti, consigliere alla corte di Ludovico il Moro ma anche uomo dedito alla poesia e alle altre attività dello spirito, commissionò per il suo palazzo di Milano, oggi chiamato Visconti-Panigarola, una serie di affreschi, rimossi nei secoli seguenti e trasferiti all’inizio del Novecento al Museo di Brera.1

Il Visconti fu in intimità con Donato Bramante e l’Urbinate è documentato dimorante tra il 1487 e il 1492 nel suo palazzo; gli affreschi sono stati pertanto attribuiti all’Urbinate, ma a più riprese la Critica ha disconosciuto la paternità su alcuni di essi. Pedretti sollevava il problema della paternità di Bramante sull’affresco che ritrae i due filosofi Democrito ridente e Eraclito piangente sostenendo giustamente che non è nello stile di Bramante: lo sfondo architettonico è diverso dagli altri affreschi, le scritte sui libri sono evidentemente condotte da un mancino e Bramante non lo era.2

 

Fig 4, Antonio del Pollaiolo, Affresco di Democrito e Eraclito

Quanto a Democrito sembra evidente che a impersonare il filosofo sia proprio Donato Bramante dato che le sembianze di Democrito coincidono con le raffigurazioni dell’Urbinate realizzate da Bramantino nei disegni per gli arazzi Trivulzio giacenti al Castello Sforzesco (mese di agosto) e da Raffaello che pose Bramante nei panni di Euclide, nella Scuola di Atene. Pedretti ha proposto che l’effigiato nelle vesti di Eraclito sia Leonardo sostenendo, a sostegno che i libri letti dai due personaggi dell’affresco, pur presentando lettere poste insieme senza formar parole, hanno scrittura a specchio leonardesca dalla parte di Democrito e scrittura comune dalla parte di Eraclito; sembra evidente il messaggio che Leonardo e Bramante, per loro intima amicizia, stiano leggendo l’uno gli scritti dell’altro.3

Il raffronto dei lineamenti del Musico e di Eraclito mette in evidenza delle sorprendenti analogie considerando anche il fatto che tra i due soggetti c’è una differenza di età di 8/10 anni; per di più Eraclito, ritratto in maschera piangente, mostra a questo scopo le sopracciglia abbassate ma se, utilizzando un programma di computer-grafica, vengono sollevate la somiglianza con il musico diviene ancor più evidente. Il Musico, Eraclito, l’Uomo Vitruviano e l’autoritratto del vecchio Leonardo completano una galleria di ritratti che si analizzeranno come riferibili per lineamenti alla stessa persona; in scia sarà presentato il ritratto di Mercurio (Leonardo) nella pianta di Venezia di Jacopo dé Barbari.

Si è detto che verosimilmente l’autore del Fregio con i due filosofi del Palazzo Visconti -Panigarola non è Bramante; a chi allora ne deve essere attribuita la paternità? Il pianto e riso di Eraclito e Democrito viene da lontano; il primo personaggio di rilievo a parlare delle reazioni dei due filosofi alla miseria e alla stoltezza degli uomini è Orazio mentre Seneca nel De Tranquillitate Animi affronta approfonditamente il problema dei due filosofi che, pur reagendo in modo contrario se ne facevano comunque partecipi.

Ficino in una lettera a Pietro Vanni scrive:

Vidistispictam in gymnasio meo mundi sphaeram et hincatqueillinc Democritum et Heraclitum, alterum quidem ridentem, alterum vero flentem. Quidnam ridet Democritus? Quodluget Heraclitus, vulgus vide licet, animal monstruosum insanum et miserabile” 4

(Nella mia Accademia vedeste dipinta la sfera terrestre con Democrito ed Eraclito da una parte e dall’altra; l’uno ride, l’altro piange. Di che riderà mai Democrito? Della stessa cosa che fa piangere Eraclito: del volgo, animale mostruoso, folle e miserabile).

Chastel ha correttamente sostenuto che l’autore dell’affresco della villa di Careggi non poteva che essere Antonio del Pollaiolo, la Musa dell’Accademia Platonica5; la descrizione di Ficino collima perfettamente con quanto si vede nel corrispondente affresco di Palazzo Visconti -Panigarola: osservando la Sphera Mundi disposta tra i due filosofi si rileva una impressionante rispondenza per l’epoca con le reali condizioni geografiche. Il sobbalzo alla visione del mappamondo fa immediatamente pensare che sia stato ripreso de visu dal tanto decantato Mappamondo di Hobbit realizzato alla Corte di Borgogna sotto la supervisione di Van Eyck. 6

Antonio del Pollaiolo può essere considerato il divulgatore in Italia del grande pittore del primo Quattrocento fiammingo; l’artista fiorentino in effetti fu un frequentatore della Borgogna come risulta dall’indagine stilistica delle sue opere pittoriche e scultoree. Dalle descrizioni di Lomazzo e Pagave l’affresco”Democrito ed Eraclito” del Palazzo Visconti-Panigarola era un sovrapporta che introduceva alla sala dei Baroni; l’analisi del fregio sovrastante i due filosofi conferma la paternità di Antonio del Pollaiolo sull’affresco. Al primo impatto ci si rende conto che si tratta di due scene diverse separate da uno stipite. Nella scena di sinistra un possente personaggio guida un carro trainato da cavalli; la critica vi ha riconosciuto la figura di Saturno mentre nella scena di destra ha identificato in Giove il re assiso in trono.
La combinazione Saturno-Giove sembrerebbe inappuntabile sia dal punto di vista mitologico sia dal punto di vista neoplatonico, ma non è corretta perché nella scena di sinistra l’uomo sul carro sta trionfando in terra e non in cielo. La storia insegna che Alessandro Magno, vincitore della battaglia di Isso, si impossessò delle donne e del carro di Dario; la scena è verosimilmente rievocata nella parte sinistra del fregio. Sulla destra, al di là dello stipite, si leggono dapprima le due lettere XL e di seguito ad esse si apprezza un re assiso in trono che giudica un colpevole dietro i suggerimenti di un vecchio barbuto. La critica ha interpretato la X e la L come la contrazione di LEX che metterebbe tutto al posto giusto; vi è al contrario un dato che fa inesorabilmente cadere la lettura: la X è posta davanti alla L e quindi la precede; quale può essere allora l’interpretazione delle due lettere che debba coniugarsi con la scena seguente?
Il vecchio barbuto suggeritore del re lascia intendere che sta insegnando a un giovane l’arte del governare: XL deve pertanto essere letto come
Xenophontis Liber, la Ciropedia di Senofonte: Cambise insegna a suo figlio come divenire Ciro il Grande, l’ideale del principe saggio e giusto; Ciro è Bramante e Cambise è il Pollaiolo che lo ha addottrinato sull’architettura. L’interpretazione di XL come Xenophontis Liber richiama la figura del figlio di Poggio Bracciolini, Jacopo, l’umanista che non volle accettare la supremazia dei Medici a Firenze e aderendo alla congiura dei Pazzi finì impiccato nel 1478.
Jacopo condusse una vita dispendiosa sempre intento ad ingraziarsi i potenti offrendo loro doni di gran pregio. Donò a Ferdinando d’Aragona la
Ciropedia di Senofonte lussuosamente miniata dopo aver volgarizzato il testo latino di Poggio; donò altresì a Federico di Montefeltro, capitano generale del Re di Napoli, le Historiae Florentini Populi di Poggio sempre dopo averle volgarizzate. Garzelli rilevò nel trionfo di Ferdinando nella Ciropedia riferimenti stilistici ad Antonio del Pollaiolo e parimenti stretti legami con il foglio di guardia delle Historiae Florentini Populi (cod. urb. lat. 491) riconoscendovi la stessa mano esecutrice individuata, anzi non individuata ma attribuita al cosiddetto Maestro di Xenophon-Hamilton che,alla luce delle risultanze, deve essere identificato come Antonio del Pollaiolo.7 Se il maestro fiorentino è da ritenere l’autore dell’affresco con Democrito ed Eraclito di Casa Visconti-Panigarola, una domanda sorge immediata: perché Antonio del Pollaiolo avrebbe dovuto fare un affresco con i due filosofi nelle sembianze di Leonardo e Bramante sopra una porta che dava accesso alla sala dei cosiddetti Baroni?
La risposta è semplice per Bramante, molto meno per Leonardo. Antonio del Pollaiolo fu il riferimento artistico di Federico di Montefeltro tra il 1472 e il 1482 e verosimilmente in questo periodo trasmise le nozioni di architettura albertiana, ricevute direttamente alla fonte, a Donato Bramante; non si spiega altrimenti la grande introduzione agli insegnamenti di Alberti da parte dell’Urbinate che non ebbe mai rapporti diretti con l’umanista fiorentino.
Il maestro Pollaiolo pertanto con l’affresco dei due filosofi introduceva gli spettatori alle opere del suo allievo; niente di più credibile, ma la raffigurazione di Leonardo come può trovare giustificazione in tale contesto? Leonardo era allievo del Pollaiolo ancor più di Bramante; quale era allora la finalità della sua presenza nell’affresco? E ancora: perché la parte del fregio che si riferisce alle vicende di Alessandro è alquanto più ristretta rispetto alla parte che tratta la
Ciropedia, Alessandro è posto sopra Eraclito impersonato da Leonardo e Ciro sopra Democrito impersonato da Bramante; il maestro ha voluto equiparare i suoi grandi allievi ai due grandi dell’antichità, ma se introduceva lo spettatore alla sala dei Baroni facendo riferimento ad entrambi, la presenza di Leonardo non poteva essere passiva - anche se limitata - visto che nel fregio lo spazio dedicato ad Alessandro è molto minore di quello riservato a Ciro.
Dei sette personaggi della Camera dei Baroni
l’Uomo dall’Alabarda (più verosimilmente il bastone del comando) è stilisticamente e qualitativamente alquanto diverso dagli altri; se confrontiamo la sua capigliatura con quella della Ginevra Benci riscontriamo una sorprendente sovrapponibilità stilistica. Il panneggio dell’uomo dall’alabarda ha altresì un respiro molto più ampio rispetto alle rappresentazioni bramantesche.

 

 Fig 5, A sinistra, Leonardo Da Vinci, Ginevra Benci.
 A destra, Leonardo da Vinci, Uomo dell’Alabarda.

 

L’uomo vitruviano

Fig 6, Leonardo da Vinci, Uomo Vitruviano

Il disegno dalla raccolta di Francesco Melzi passò nel 1770 alla collezione del Cardinale Cesare Monti; dopo ulteriori passaggi di proprietà finì all’asta e fu acquistato dall’Imperatore Francesco I che lo destinò alle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Il disegno si ispira ai concetti di Vitruvio sulle proporzioni del corpo umano, modificate da Leonardo; l’uomo (Leonardo) è inserito in un cerchio e in un quadrato. Nel Medio Evo il cerchio significava il cielo, il macrocosmo, la divinità; il quadrato significava la terra, il microcosmo, l’essere umano.
Lo studio di Leonardo sulle proporzioni del corpo umano si differenzia dai dettami di Vitruvio in quanto il centro del cerchio si trova nell’ombelico dell’uomo, a significare la sua origine divina, mentre il centro del quadrato si trova nel pube a significare l’origine terrena.
Lo straordinario disegno, che ha avuto insignificanti precursori, enfatizza il rapporto dell’uomo con l’Universo; il quadrato che si coniuga con il cerchio è la terra che si congiunge con il cielo, l’Uomo Microcosmo che si fonde con il Macrocosmo. Ma dove ha appreso Leonardo “omo sanza lettere“ i concetti neoplatonici? la mancanza di una cultura classica spinse il giovane a concentrare la sua ricerca sul naturalismo e sullo studio matematico dei fenomeni. Le elementari conoscenze del latino e al tempo stesso la necessità di un’indagine razionale più ampia lo spinsero a ricercare per i suoi studi opere tradotte in volgare: tra di esse figura il Corpus Hermeticum. Si tratta di un’opera dell’antichità incentrata sulla genesi e sul destino dell’uomo, scritta secondo l’immaginazione del tempo, da Ermete Trismegisto, personaggio forse mai esistito che venne identificato dapprima da Platone con il Dio egizio Tohte in seguito con il Dio greco-romano Ermes-Mercurio.
Il
Corpus Hermeticum fu ritrovato in Macedonia dal monaco Leonardo da Pistoia che lo consegnò nel 1460 a Cosimo de' Medici; questi immediatamente affidò a Ficino l’incarico per la traduzione dal greco in latino. Nel 1463 Ficino aveva terminato la sua opera e il manoscritto, circolante tra gli acculturati, ottenne un grande consenso; Tommaso Benci, “choophilosophus” di Ficino nell’Accademia Platonica, tradusse il Corpus dal latino in volgare ottenendo un favore ancora più ampio. Il manoscritto era ormai alla portata di Leonardo per il suo stretto contatto con i Benci; ne è prova la Ginevra Benci e l’aver lasciato, quando partì per Milano, in casa di Amerigo Benci l’Adorazione dei Magi incompiuta.
Se i legami di Leonardo da Vinci con la filosofia neoplatonica datavano fin dalla sua giovinezza, devono essere ridimensionati i suoi rapporti tanto enfatizzati con Pico della Mirandola e d’altronde le uniche parole di Leonardo su Pico:” el Pico ne dié di opinione” lasciano intendere un rapporto piuttosto lontano tra i due. Leonardo, pur avendo recepito il messaggio neoplatonico rimaneva sulle sue posizioni che privilegiavano il naturalismo e la matematica. Alla fine degli anni ‘80 l’arrivo a Milano di Antonio del Pollaiolo, l’apostolo del Neoplatonismo in arte, scosse il pensiero di Leonardo e nacque
l’Uomo Vitruviano.8 Come si vedrà dai raffronti finali i lineamenti del volto dell’Uomo Vitruviano sono strettamente corrispondenti a Eraclito dell’affresco Visconti-Panigarola e all’autoritratto senile di Leonardo.
 

 

La veduta di Venezia di Jacopo de' Barbari


Fig 7, Jacopo dé Barbari, Veduta di Venezia

Nell’autunno del 1499 Donato Bramante lasciò Milano per trasferirsi definitivamente a Roma ivi chiamato dalla Curia per completare il Palazzo della Cancelleria, perché l’ultimo incaricato, Antonio del Pollaiolo, era morto il 4 febbraio del 1498. Leonardo, forse intimorito dagli eventi politici e militari che si prospettavano con la discesa in Italia di Luigi XII e la conseguente perdita del potere del Moro suo Mecenate, abbandonò parimenti Milano e si trasferì nello stesso anno prima a Mantova e successivamente a Venezia, dove rimase fino alla metà dell’anno 1500 per poi tornare a Firenze. Nel periodo veneziano il Vinci si industriò per sviluppare un lavoro colà coinvolgendosi anche in una bottega. In quel periodo risiedeva a Venezia il pittore-incisore Jacopo dè Barbari, che Leonardo aveva sicuramente conosciuto a Firenze quando l’adolescente si era cimentato nella realizzazione della imponente xilografia riproducente la città denominata Veduta della Catena.9

Fig 8, Jacopo de' Barbari, Veduta della Catena

Si deve ancora tornare sull’argomento compiutamente trattato altrove, dato che la critica persevera nell’attribuire a Francesco Rosselli la paternità della veduta ritenendo probante che alcune relative stampe furono trovate nella sua bottega, ma non è così10. L’archetipo della veduta non era una xilografia ma un’incisione su rame di Antonio del Pollaiolo di cui resta ancora un foglio alla Accademia Colombaria di Firenze. La xilografia fu realizzata alla fine degli anni ’80 dall’adolescente Jacopo dé Barbari che firma la veduta ritraendosi come giovanissimo spettatore-esecutore. Si dirà che la rappresentazione dei luoghi fissa la veduta al 1472, ma la catena chiarisce l’incongruenza: l’adolescente nel riproporre la veduta del Pollaiolo, realizzata all’inizio degli anni ’70, volle rispettare totalmente l’impostazione del grande maestro, testimoniandone la fedele riproduzione con l’inserimento di una catena che circonda l’opera serrata a lucchetto e inserendo sulla Pescaia di Santa Rosa personaggi chiaramente pollaioleschi.
Il Barbari aveva lavorato tre anni a Venezia per effettuare i rilevamenti molto complessi da realizzare date le condizioni geografiche; l’arrivo in città di Leonardo fu provvidenziale per la rielaborazione e la riunificazione di tutti i disegni. Con il prezioso supporto del Maestro fiorentino il Barbari poté giungere al fine di realizzare i legni per le xilografie che sono ancora oggi disponibili al Museo Corrier rifulgenti del loro splendido intaglio. Tra i personaggi simbolici che figurano nella xilografia due sono i principali:
Nettuno e Mercurio. Nettuno è rappresentato da un aitante trentenne a cavalcioni su un mostro marino appena sopraffatto; lo sguardo dell’uomo è rivolto verso l’alto in un atteggiamento di estatico ringraziamento. Sulla direttiva dello sguardo di Nettuno si trova in alto l’immagine di Mercurio; il Dio dei commerci è comunemente rappresentato come un giovane di bella presenza con elmo alato, perché oltre che mercante era anche il messaggero degli dei; nella xilografia Mercurio è un possente uomo maturo che guarda in basso, verso Nettuno. Interpretazione: Nettuno è Jacopo dé Barbari che ha terminato con successo il grandioso lavoro (il mostro marino sopraffatto) e ne è grato a Leonardo per l’aiuto prestato. Mercurio è ovviamente Leonardo che come messaggero ha dato tutte le indicazioni per la migliore realizzazione dell’opera. L’aspetto del Mercurio-Leonardo nella Veduta di Venezia di Jacopo dé Barbari collima con la descritta immagine aitante del Vinci alla soglia dei cinquanta anni.


Fig 9, Jacopo de' Barbari, Veduta di Venezia. 
Particolari, in alto Leonardo da Vinci nelle vesti di Mercurio, in basso Jacopo dé Barbari nelle vesti di Nettuno

 

 

L’autoritratto senile di Leonardo

Fig 10, Leonardo da Vinci, Autoritratto

L’autoritratto senile di Leonardo faceva parte dei fogli di Leonardo ereditati da Francesco Melzi in seguito dispersi. Il disegno scompare fino all’inizio del secolo XIX, quando fu riprodotto, ma nuovamente scompare per ricomparire pochi anni dopo recuperato all’estero dal collezionista Giovanni Volpato; questi lo vendette a Carlo Alberto che lo destinò alla Biblioteca Reale.

Il disegno a sanguigna giacente al museo torinese mostra un uomo piuttosto in là con l’età per l’epoca. Recenti studi hanno dimostrato che lo stile con cui è realizzato il disegno corrisponde a quello di altri disegni del periodo finale della vita di Leonardo. Il soggetto mostra lo sguardo rivolto a destra, come quando ci si pone davanti allo specchio confermando l’assunto che si tratti di un autoritratto. I dettagli sono molto curati nella parte centrale del volto e sfumano nelle parti periferiche; una conferma stilistica molto importante: Leonardo costruiva il messaggio pittorico donando il massimo risalto alla parte principale dell’opera per poi sfumare nei contorni; totalmente diverso era il fare del suo maestro Pollaiolo che trattava tutta l’opera con grande minuziosità realizzativa. La conferma che si tratti dell’autoritratto di Leonardo trova sostegno nuovamente dal confronto con Eraclito dell’affresco Visconti Panigarola e con l’Uomo Vitruviano: estrapolando mentalmente i segni dell’età vi si riconosce la stessa persona.



Due ritratti non confacenti

  

Fig 11, Anonimo (forse Francesco Melzi), Ritratto di Vecchio. Non pertinente con i reali lineamenti di Leonardo da Vinci. 
Fig 12, Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, Roma Vaticano, particolare: Platone. Il riferimento somatico di Platone a Leonardo da Vinci è puramente indicativo.

 

Faccio soltanto un accenno su due supposti ritratti di Leonardo che non corrispondono ai dati somatici: il disegno fatto probabilmente da Francesco Melzi e Platone nella scuola di Atene di Raffaello.
Il disegno a sanguigna attribuito a Melzi mostra un uomo attempato di profilo con barba e capelli lunghi, come nell’autoritratto di Torino, dal quale tuttavia si discosta considerevolmente per i tratti somatici, tanto che, se pure di alta qualità, è fuorviante per un corretto inquadramento dei lineamenti del Vinci. Leonardo nelle vesti di Platone nella Scuola di Atene di Raffaello sembra più un tributo di ringraziamento che un ritratto.



Raffronto finale

 

  

 Fig 13, da sinistra, Il Musico, Eraclito (dell’affresco dei due filosofi con le sopracciglia portate alla posizione naturale con il computer), L’Uomo VitruvianoAutoritratto senile di Leonardo. Sembra evidente che si tratti sempre della stessa persona.

 

 

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1, L'immagine di Leonardo nelle Vite di Vasari

Fig 2, Leonardo Da Vinci, Il Musico. Autoritratto. Biblioteca Ambrosiana Milano

Fig 3, Leonardo Da Vinci, Rebus . In alto, il foglio 12692r nell'originale vinciano, "a rovescio". Royal Collection Windsor.In basso Il rebus N°64 del foglio 12692r

Fig 4, Antonio del Pollaiolo, Affresco di Democrito e Eraclito. Pinacoteca di Brera. Milano

Fig 5, A sinistra, Leonardo Da Vinci, Ginevra Benci. National Gallery of Art Washington. A destra, Leonardo da Vinci, Uomo dell’Alabarda. Pinacoteca di Brera.

Fig 6, Leonardo da Vinci, Uomo Vitruviano. Galleria delle Accademie. Venezia

Fig 7, Jacopo dé Barbari, Veduta di Venezia. Xilografia. Legni conservati al Museo Correr . Venezia

Fig 8, Jacopo dé Barbari, Veduta della Catena. Firenze

Fig 9, Jacopo dé Barbari, Veduta di Venezia. Particolari, in altoLeonardo da Vinci nelle vesti di Mercurio, in basso Jacopo dé Barbari nelle vesti di Nettuno

Fig 10, Leonardo da Vinci, Autoritratto. Biblioteca Reale di Torino

Fig 11, Anonimo (forse Francesco Melzi), Ritratto di Vecchio. Non pertinente con i reali lineamenti di Leonardo da Vinci

Fig 12, Raffaello Sanzio, Scuola di Atene, Roma Vaticano. A destra Scuola di Atene, particolare, Platone. Il riferimento somatico di Platone a Leonardo da Vinci è puramente indicativo.

Fig 13, da sinistra, Il Musico, Eraclito (dell’affresco dei due filosofi con le sopracciglia portate alla posizione naturale con il computer), L’Uomo Vitruviano. Autoritratto senile di Leonardo. Sembra evidente che si tratti sempre della stessa persona.

 

Note con rimando automatico al testo

2 C. Pedretti, Leonardo Architetto.Cit. pp.96-993 C. Pedretti,The Sforza SepulchreIn: Gazette des Beaux Arts. p.125 Aprile 1977
4 M. Ficino, Opera Omnia, Lettere, p. 8365 A. Chastel, Art e Humanisme a Florence au temps de Laurent le Magnifique. Paris. Puf. 1982 p. 249 n. 1
6 J. Paviot, La Mappemonde attribuée a Jan Van Eyck: une pièce à retirer du catalogue de son oeuvreIn Revue des archéologues et Historiens d’art de Louvain.24,1991, Paviot pp.57-62
7 A. Garzelli, A. De La Mare, Miniatura fiorentina del Quattrocento; 1440-1525. Un primo censimento, Scandicci 1985. Vol. I. pp. 157-162
8 Leonardo che partecipa al Neoplatonismo entra in comunicazione con Giacomo Leopardi che secondo la più avanzata critica letteraria nel primo suo pensare fu un neoplatonico. L’immaginazione fa scrutare Leonardo mentre disegna l’Uomo Vitruviano dal colle dell’Infinito.
9 La xilografia è una tecnica di incisione su legno su cui vengono poi stampati fogli di carta.
10 La critica sta elucubrando da tempo sull’età di Jacopo dé Barbari fino quasi a negare l’evidenza. Nel ritratto di Luca Pacioli, Jacopo dé Barbari appone la sua firma all’opera con la scritta “Jaco Bar vigennis P. (pinxit) 1495”. Nel 1495 Jacopo dé Barbari dipinse ventenne il ritratto del Pacioli per cui tutto torna con la realizzazione da adolescente alla fine degli anni ’80 della Veduta della Catena.

 

 

 

 

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