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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Arturo Cirillo e Sandro Lombardi nella morsa crudele di Pirandello

 

Grande prova di teatro quella offerta da La morsa pirandelliana con Sandro Lombardi, Sabrina Scuccimarra e Arturo Cirillo che ne cura anche la regia, presentata al Teatro India di Roma nell’ambito della rassegna Short Theatre. Uno spettacolo che, per alcuni versi, potrebbe sembrare poco conforme allo spirito della manifestazione che intende far luce sui fermenti innovativi del così detto teatro post-drammatico, ma che in realtà si integra nel contesto come esempio di rilettura possibile di un classico in un panorama teatrale frammentario e in via di auto definizione.

La morsa è un atto unico giovanile che Pirandello faticò a portare sulle scene (venne rappresentato nel 1910 al Teatro Metastasio di Roma dalla Compagnia del Teatro Minimo di Nino Martoglio, dodici anni dopo la sua pubblicazione su Ariel avvenuta nel 1898) e che a tutt’oggi rimane poco rappresentato, ma che di fatto racchiude in sé tutti quegli elementi deflagranti attraverso i quali il grande agrigentino scompaginò la sintassi del teatro. E’ un testo breve fatto di frasi spezzate e di battute allusive, dove il non detto prevale sul detto e dove tutto è già avvenuto in precedenza. Non a caso, nella prima stesura, Pirandello lo aveva intitolato L’Epilogo, termine che in seguito avrebbe applicato a molti atti unici (Lumie di Sicilia, La patente, Il dovere del medico, Cecé e La Giara) e il cui significato è da ricollegare alla sua concezione del rapporto tra novella e tragedia classica che “pigliano il fatto, per così dire, per la coda e di questa estremità si contentano”. Il tragico sembra risiedere pertanto non tanto sulle cause o sui moventi dell’accaduto, bensì sugli effetti. Ciò che è stato grava sulla coscienza dei personaggi come un peso insopportabile dal quale non riescono a liberarsi e che a tal punto li incastra nella prigionia dei fatti, che il loro dramma diviene inevitabilmente discussione e svisceramento del dramma medesimo.
Ne La morsa l’adulterio diviene spunto per mettere a nudo i rapporti di potere che legano un lui, una lei e l’altro, impegnati in un atroce processo ai propri sentimenti. La stanza borghese descritta dalle didascalie che gli attori enunciano come parte integrante del testo, diviene spazio metaforico dello stadio avanzato di putrescenza non soltanto dei valori del matrimonio e della famiglia, ma anche del mondo interiore dei personaggi. La scena di Nicola Gessato assembla nella semioscurità vecchie teche dai bordi arrugginiti che custodiscono oggetti in disuso : vecchi libri, fotografie ingiallite, manichini, cornici spezzate, pezzi di sedie rotte che annegano nell’acqua stagnante di una memoria sbiadita. Il giardino viene suggerito da un canneto argenteo sullo sfondo e la natura al di fuori si intrufola nei duelli verbali sotto forma di sibili di vento e di ululati di animali. Più che alla “camera della tortura” di cui parlava Giovanni Macchia, lo spazio scenico assomiglia ad una sala settoria dove il mondo interiore dei personaggi viene scorticato con il bisturi delle parole per mettere a nudo i loro sogni irrealizzati, i fallimenti e i rimorsi.

Il dramma si articola su due scene di confronto principali che assumono uno spietato andamento processuale e dove i personaggi figurano a turno ora nel ruolo dell’imputato ora in quello dell’accusatore. Nella prima Giulia, la moglie fedifraga di Andrea Fabbri, viene letteralmente investita dall’ansia di Antonio, che, reduce da un viaggio d’affari con il marito di lei, si precipita in casa per comunicarle il suo forte sospetto che egli abbia scoperto la loro tresca. Il suo racconto convulso e sincopato assume ben presto i modi di una bieca autodifesa che si trasforma impercettibilmente in un atto di accusa nei confronti della donna, colpevole, dal suo punto di vista, di essere stata poco attenta a conservare il loro segreto. La scena è carica di tensione ma viene, per così dire, sdrammatizzata, dalle due brevi comparse della domestica Anna, interpretata all’inizio da Cirillo e al suo apice da Lombardi. L’effetto comico commenta ironicamente l’ipocrisia del perbenismo borghese senza distrarre troppo dall’autenticità dell’angoscia che attanaglia i personaggi. Cirillo, nei panni dell’amante vigliacco, restituisce al personaggio tutta la sua meschinità e la sua incapacità di sostenere i ruoli che teme di perdere, primo tra tutti quello di socio in affari del marito della sua amante.
Per contrasto, la Scuccimarra ridisegna a tutto tondo il personaggio di Giulia rivelandone il coraggio e la dignità. La recitazione, tutta giocata sul contenimento delle emozioni, mette in atto una sottile operazione di scavo nelle piaghe interiori di una donna profondamente delusa dagli uomini che ha amato. Dal marito che annullandosi nel lavoro ha finito col trascurarla, dall’amante che più che del loro amore sembra preoccuparsi della carriera. La seconda scena di confronto, quella cruciale con il marito, diviene così una battaglia ad armi pari, perché se da un lato la donna teme di essere sconfessata dal marito, dall’altro accetta con dignità il carico di una colpa che non ha mai tentato di nascondere a se stessa. Il ritmo registico incalzante trasforma la pièce in una sorta di thriller psicologico tutto giocato sulle punta acuminata delle parole. L’impeccabile interpretazione di Lombardi sottolinea la complessità e le contraddizioni del personaggio del marito, facendone emergere il sadismo, l’inflessibilità, ma anche la disperazione assoluta. I suoi modi sono tanto sibillini e ambigui che per un buon quarto d’ora il pubblico non riesce a capire se Andrea abbia davvero scoperto il tradimento o meno. Più che a domande dirette, l’accusatore ricorre infatti all’allusione per trasformare implacabilmente la moglie nell’incarnazione vivente della colpa. Come da copione, il gioco al massacro si conclude con un finale grandguignolesco (la cacciata da casa e il suicidio di lei), ma l’attenzione del pubblico viene spostata dai fatti alla desolazione interiore dei personaggi, alla loro sconfinata solitudine, e al peso delle maschere che si impongono di indossare. Questo anche grazie ad una recitazione sempre in bilico tra straniamento e immedesimazione, che distanzia dall’intreccio (gli attori recitano le didascalie per fare il contrario di ciò che viene loro prescritto) ma che coinvolge nel dolore e nel vuoto assoluto in cui precipitano i personaggi.

Scheda tecnica

La morsa. Epilogo in un atto, di Luigi Pirandello.
Allestimento scenico: Daniele Gessati. Costumi : Giovanna Buzzi.
Luci : Gianni Pollini. Suono : Antonio Lovato. Con : Sandro Lombardi, Arturo Cirillo, Sabrina Scuccimarra. Regia di Arturo Cirillo.

Visto al Teatro India di Roma l’8 settembre 2001 al Teatro India di Roma.
Prima nazionale il 24 maggio 2011, Firenze, Cortile del Museo del Bargello.

 

 


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