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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Spettacoli sulle scene e sugli schermi

Prometheus Landscape, di Jan Fabre

Nonostante il suo intento fortemente provocatorio e la sua volontà di turbare le coscienze e di risvegliarle dal torpore della mediocrità, Prometheus Landscape di Jan Fabre, di fatto, sortisce l'effetto contrario, risultando in certi punti addirittura noioso, didascalico e inutilmente trasgressivo. L'estetica dell'eccesso dell'artista belga, basata sull'accumulo di immagini di violenza, di sesso esplicito e di morte, e sulla ripetizione compulsiva di gesti estremi sembra perdere la sua forza di impatto sull'immaginario collettivo già abbondantemente violentato dalle immagini mediatiche. L'impianto visivo è senza dubbio strabiliante, ma è anche l'unico punto di forza dello spettacolo-istallazione, dove la parte coreografica e quella recitata non sempre si amalgamano in un insieme organico, e dove il mal celato didattismo del testo contrasta con il simbolismo sciatto o poco chiaro di alcuni passaggi visivi.

La performance si inabissa nell'archetipo della mitologia classica per denunciare un presente disertato da eroi capaci di illuminare la collettività. A sipario ancora chiuso, un uomo corpulento, legato ad una sedia da una grossa corda, fissa gli spettatori in silenzio al centro del proscenio, mentre ai lati un uomo e una donna leggono a turno un lungo testo di Fabre, a metà tra l'orazione e la ballata.Per ben dodici volte la voce suadente di Ivana Jozic ci ripete che l'umanità ha un bisogno disperato di eroi, interrotta a intervalli regolari, dalle invettive contro Freud, Jung e tutti i loro seguaci, lanciate a mo' di ritornello da Gilles Polet. Il crescendo di “Fuck you” indirizzati ai padri della psicoanalisi che hanno osato ridurre il tragico a schema, sortisce un certo potere liberatorio e predispone a cercare nello spettacolo un' ancora di salvezza o un bagliore di verità.

Subito dopo, quando il sipario si leva, un folgorante scenario apocalittico si impone allo sguardo: contro l'immagine di un sole incandescente proiettata sul fondale, si staglia il corpo nudo, teso e perfettamente depilato di Prometeo, sospeso al centro della scena attraverso un sistema di nodi e di funi. La vittima sacrificale della civiltà che ha derubato gli dei del fuoco per farne dono ai mortali, rimane immobile per l'intero corso della rappresentazione, mentre ai suoi piedi una schiera di dei e di umani lo interpellano e lo sfidano nel clamore confuso di un folle baccanale. Il testo di Jeroen Olyslaegers si ispira molto liberamente al Prometeo incatenato eschileo e si sostanzia di otto monologhi pronunciati dai diversi abitatori dell'Olimpo (Efesto,Oceano, Ermete) e dall'unica creatura umana Io, ai quali si aggiungono Epimeteo, Atena, Dioniso e Pandora. Diversamente da Eschilo, Prometeo rimane muto per buona parte dello spettacolo, come fosse irrigidito dalla sua tracotanza. La tensione e la fissità del suo corpo bastano ad esprimere la sua protesta contro il potere e contro la religione che esplode verbalmente nel suo rifiuto finale e definitivo di piegarsi alle lusinghe e alle minacce degli dei.

Nonostante l'andatura solenne, quasi biblica, dei versi, il corpo individuale dei personaggi si perde in quello collettivo dei danzatori. Corpi, come sempre, rigorosamente disciplinati che ripetono, doppiano e moltiplicano gesti simili e contrari, per dare forma al caos. Corpi perfetti che si tendono e si distendono, che si spogliano e si rivestono, che vibrano di piacere e di dolore, ma che questa volta, però, non emanano quell'energia e quella potenza espressiva a cui ci hanno abituati. Il flusso dell'azione è continuo ma confuso, con reiterate scene di incendi (evocati, per motivi di sicurezza, da squarci di luce rossastra e da nuvole di vapori), seguite puntualmente da interventi tempestivi per domarli. Il palcoscenico diviene a poco a poco un campo di battaglia oberato di estintori di ogni dimensione e di oggetti dall'incerto significato simbolico, come, ad esempio, le accette che rappresentano la violenza bruta ma anche il pungolo del desiderio, o la sabbia che serve a domare le fiamme, ma che è anche la polvere del tempo che si accumula nello spazio. Le immagini proiettate sullo schermo sono decisamente suggestive, anche grazie al sapiente uso delle luci e delle ombre che disegnano il passaggio dalle fasi in cui il sole sembra sul punto di esplodere a quelle di quiete, dominate da una luna argentea. Peccato che facciano semplicemente da sfondo a scene di sesso violento e sadomaso piuttosto prevedibili e alquanto kitsch. I passaggi più convincenti sono quelli in cui la volontà di scioccare si stempera nell'ironia, come quando i danzatori si accendono dei fiammiferi sulla patta dei pantaloni e ingoiano le minuscole fiammelle o quando uno di loro si sfrega il pene per accendere qualche invisibile stoppino. La denuncia del degrado raggiunto dalla civiltà occidentale che spreca il fuoco della coscienza e dell'immaginazione nella trivialità e che, comunque, lo spegne allo scoppio delle prime scintille, non convince perché troppo scontata e, per di più, diluita nella prolissità della parte narrata. La si coglie con forza quando la sabbia gettata sulle fiamme crea una cortina di nebbia, una sorta di velo di Maya, che avvolge ogni cosa sulla scena. Ma è un attimo di intensità espressiva che poi si disperde nella serialità del racconto. Gli dei che si presentano al cospetto di Prometeo sono poco caratterizzati, quasi comparse che tentano di recitare parti in cui non credono. I loro interventi rischiano sempre di scadere nell'episodico, spezzando il vortice dell'azione, con i suoi flussi di ribellione e i suoi momenti di stasi, con i suoi rumori assordanti e gli stacchi di musica rock. Il corpo diviene metafisico solo in quello infangato di Io che, dopo aver copulato con Zeus, si rotola a terra per liberarsi dal tafano inviatole da Era. Il corpo percosso dal desiderio che si accovaccia sopra una sella per simulare una giovenca è forse la figura più impressionante, in confronto alla quale le altre divinità appaiono come macchiette.

Gli dei sono morti, ma anche Fabre non sembra voler dare il meglio di sé. L'ultima parola spetta a Pandora, che dopo aver spaccato il vaso contenente tutti i mali del mondo, spiega come ogni strumento di progresso e di civilizzazione sia anche uno strumento di distruzione. Viene da chiedersi, tuttavia, se lo spettacolo iconoclasta di Fabre abbia davvero distrutto qualcosa che non sia stato già distrutto in precedenza, e, soprattutto, quale fuoco abbia regalato allo spettatore per una sua eventuale rinascita o liberazione.

 

Scheda tecnica

Prometheus Landscape II, di Ian Fabre.

Testi: I am the all-giver di Jeroen Olyslaegers (da Prometeo Incatenato di Eschilo) e We need heroes now di Jan Fabre.

Scene: Jan Fabre. Luci: Jan Dekeyser. Musica: Dag Taeldeman. Suono: Tom Buys. Costumi: Andrea Kranzlin. Coordinatore tecnico: Kris van Aert.
Performers: Katarina Bistrovic-Darvas, Annabelle Chambon, Cédric Charron, Vittoria Deferrari, Lawrence Goldhuber, Ivana Jovic. Katarzyna Makuch, Gilles Polet, Kasper Vandenberghe, Kurt Vandendriessche.

Visto al Teatro Olimpico di Roma il 5 novembre 2011, in prima nazionale, nell'ambito di Roma Europa Festival

 

 

 

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