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Fogli e Parole d'Arte

Rivista d'arte on line, ha ricevuto il codice ISSN (International Standard Serial Number)

1973-2635
il 23 ottobre 2007.

Fogli e Parole d'Arte è diretta da
Andrea Bonavoglia (Vitorchiano)
e distribuita on line dalla società Ergonet di Montefiascone (Vt).

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Testuali parole

Joseph Wright of Derby: scienza o Gothic-Novel? Un dubbio legittimo

 

Guarda che luna, guarda che mare,

da questa notte senza te dovrò restare

folle d'amore vorrei morire

mentre la luna di lassù mi sta a guardare”.

Fred Buscaglione

 

Dettaglio della figura 1

Come accade, e Robert LouisStevenson ce ne fornisce un buon esempio nel suo celeberrimo romanzo sullo sdoppiamento, non è impossibile che due personalità distinte possano coabitare nel medesimo corpo e sotto lo stesso nome, almeno fino a quando una delle due ha il sopravvento e l'altra tace. Potrebbe essere questo il caso anche di uno stimatissimo pittore inglese del Settecento, Joseph Wright of Derby.

E proprio a Derby - una placida cittadina inglese molto operosa nella quale si vive appieno la nascente e inarrestabile rivoluzione industriale (in particolare nel settore tessile e ceramico) - nasce nel 1734 il nostro artista, destinato ad aggiungere al proprio nome quello della sua città natale. Non pago dell'attività pittorica, entrerà a far parte della “Lunar Society, un microcosmo di intellettuali, appassionati di chimica elettricità medicina, che amavano incontrarsi [a Birmingham] nei pleniluni. Preferibilmente di lunedì, i lunedì della luna piena”1, anch'egli in un certo senso scienziato “dilettante”, in particolare per il suo spiccato interesse per la luce artificiale. Appassionato di fatto tanto ai progressi della scienza quanto a quelli dell'industrialismo nascente – per lui entrambi parte di un tutto – li illustrerà in vari modi, a tal punto da poter essere così descritto:

[...] scene a lume di candela, a illustrazione di esperimenti scientifici e soggetti industriali. Queste tele mostrano l'acutezza e l'atteggiamento da uomo di scienza del pittore, il primo a esprimere lo spirito della rivoluzione industriale: come per l'ambiente intellettuale contemporaneo anche per Wright la scienza e l'industria erano strettamente legate nell'idea illuministica e positiva del progresso umano. Rendendo omaggio alla scienza, egli dipinge l'industria come diretta applicazione della ricerca e del sapere dell'uomo”2.

Eppure, anche considerando e comprendendo la semplificazione inevitabile in simili descrizioni – d'altronde abituali e numerose quando ci si riferisce a questo artista –, qualcosa non quadra. E non quadra osservando la sua produzione pittorica, in particolare proprio quella usualmente ricondotta alla rappresentazione degli esperimenti e della ricerca scientifica. Due opere spiccano in modo particolare su tutte, e sono tra le sue più celebri e celebrate : “Esperimento con ucello in una pompa pneumatica” (1768) e “L'alchimista, alla ricerca della pietra filosofale, scopre il fosforo e prega per la buona conclusione della sua operazione, come era usanza degli antichi astrologi alchemici” (1771).

 

Una indispensabile (e breve) contestualizzazione: il revival gotico

Il '700 e l'Illuminismo, a dispetto del nome, sono luoghi abitati dall'oscurità, e la medesima cosa potrebbe dirsi degli esperimenti scientifici del periodo. Il dibattito filosofico che percorre il secolo non risparmia certo l'Inghilterra, anzi, qui la riflessione sul rapporto tra natura, gusto e immaginazione conosce picchi straordinari, nonché una nuova sistematizzazione della categoria estetica del “sublime”, la quale, dall'originaria formulazione dello Pseudo Longino, arriva a quella settecentesca che, mutatis mutandis, è in auge ancora oggi (con l'aggiunta di una spruzzata di psicanalisi freudiana o junghiana che sia). Proprio in Inghilterra, infatti, la nuova riflessione creerà un clima e un terreno talmente fertili da favorire la nascita di un nuovo genere letterario. Il vivace dibattito, apparentemente tutto interno alla speculazione filosofica3, non lascerà però affatto indifferenti letterati e artisti4 i quali, anzi, troveranno in questo dibattito pane per i loro denti e nuove possibilità espressive. E la chiave di volta sembra essere individuabile esattamente nel recupero di uno stile al tempo deprecato e considerato marginale5: il gotico. Tuttavia il pane di cui parlo verrà in misura significativa fornito proprio da un letterato: Il «gotico» sosteneva il gusto all'antica di contro a quello moderno; il barbarico rispetto al civilizzato, la crudezza di contro all'eleganza. «Gotico» equivaleva ad arcaico, a pagano, a quanto precedeva, o si contrapponeva, o resisteva alla costituzione di valori civilizzati e di una società ben ordinata. Molti dei testi cruciali che propugnavano quest'idea vennero scritti negli anni sessanta del secolo; il più importante di tutti fu Letters on Chivalry and Romance (1762) del vescovo Richard Hurd. Hurd era un letterato e non uno storico erudito ma riassumeva una assai diffusa corrente di pensiero nella sua indagine sulla natura e il valore del «gotico»”6. E una idea esaustiva di quanto andava proponendo Hurd ce la fornisce preziosa su un piatto d'argento Lia Formigari: Riveduti i principi fondamentali dell'estetica classicista, il gotico – categoria adoperata fin lì come sinonimo di barbarie culturale – trova finalmente la sua rivalutazione [nell'opera di Hurd]. Non solo, ma il mondo gotico è superiore al classico almeno per un aspetto: per la sua capacità di esercitare la suggestione del sublime. Gli stessi racconti popolari di elfi e fate sono più suggestivi per l'immaginazione che non i miti pagani. E le storie d'incantesimo e magia, gli «orrori del gotico», sono più d'ogni favola pagana suggestivi e terribili. Le «buffonate dei sacerdoti pagani» erano fantasie infantili; gli incantesimi gotici «scuotevano e atterrivano il mondo»”7. Unitamente a fantasmi che non trovano pace, tetri castelli e passioni perturbanti.

In Inghilterra, insomma, grazie al recupero di fantomatiche poesie cimiteriali (I canti di Ossian), alle malinconiche riflessioni indotte dalla contemplazione delle rovine e a un bizzarro ma capostipite romanzo (Il castello di Otranto, 1764) scritto da quell' altrettanto eccentrico personaggio che era Horace Walpole, s'inaugura una nuova stagione creativa – quella del gotico, appunto – destinata a fare epoca e a lasciare un segno duraturo.

 

Tornando a Wright

Ma come s'inserisce in questo clima Joseph Wright of Derby, così apparentemente votato all'illustrazione del progresso e pronto all'abbraccio con il positivismo? Si inserisce benissimo: Il che vuol dire che esistono messaggi 'formali' supplementari e autonomi i quali, dal di sotto del discorso razionale, operano come supplemento di senso e riflettono l'inconscio dell'autore, la sua libido segreta, incidono sui contenuti, li alterano o li rafforzano per cui il vero contenuto è quello alienato che vive in perfetta simbiosi con le forme entro le quali si manifesta”8.

Da un punto di vista squisitamente operativo sappiamo che Wright collocava i propri soggetti in un ambiente completamente oscurato grazie a un grande e impenetrabile paravento. Dopo aver illuminato nel modo desiderato la scena da dipingere, poteva osservarne l'effetto da dietro il paravento per mezzo di strategici piccoli sportelli. Al dunque nella sala pose regnava la notte (esplicitamente evocata in pittura anche da una quasi onnipresente Luna), mentre lui all'esterno di essa poteva dipingere sfruttando la luce del sole. Per mezzo di questa illuminazione da “quadro a lume di notte” e per l'effetto così ottenuto – innegabilmente influenzato da certa pittura olandese del seicento –, Wight può essere definito sul piano formale un caravaggesco, orientato com'è all'esaltazione dei forti contrasti. Ciononostante, e senza con questo negare l'evidenza pittorica, quanto lui ottiene è ciò che con rara efficacia descrive Baldine Saint Girons:

La notte, esperienza che illumina e che insieme oscura, ci rende spontaneamente metafisici. In essa il principio di realtà e il principio di finzione sono egualmente all’opera. Giacché la notte è insieme presenza tattile che mi avvolge e mi penetra, e presenza fantastica, che dispiega sogni e illusioni, senza porsi apparentemente il problema della contraddizione”9.

E, infatti, le sue due opere evocate poco sopra, si aprono a scenari diversi e a interpretazioni differenti.

Fig. 1

In “Esperimento con ucello in una pompa pneumatica” [fig, 1], del 1768, una delle opere sempre citate a sostegno e conferma del suo interesse per la sperimentazione scientifica, non si possono non notare i numerosi aspetti 'gotici'. In una stanza immersa nelle tenebre avviene un esperimento di insopportabile crudeltà: per dimostrare che al vivente necessita l'aria, in una grande bolla di vetro viene fatto il vuoto e asfissiato un cacatua. Esperimento, certo, ma lo scienziato ha tutta l'aria e i connotati di un inquietante negromante, a partire dall'espressione del suo volto e dalla gestualità per arrivare al singolare abbigliamento, la luce stessa proviene intensa da dietro un ben strano vaso di vetro collocato in primo piano e dall'ambiguo contenuto (un teschio?), così come incomprensibile risulta il suo scopo sul tavolo. Alle due bimbe in piena luce l'ingrato compito di segnalare i più onesti e drammatici tra gli stati d'animo in un simile contesto: orrore e sgomento. Tutti molto ben descritti anche gli altri atteggiamenti10 possibili: il meditabondo riflessivo, l'esortante, il metodico/analitico (impassibile misuratore con lo sguardo fisso sull'orologio a calcolare il tempo), non mancano persino gli indifferenti in altre faccende affaccendati (la coppietta), ma su tutti spicca rivelatore il giovane “ammonitore” (figura teorizzata da Leon Battista Alberti) che, collocato in posizione arretrata sul margine destro, non si limita a guardare all'esterno del quadro e implicare con lo sguardo noi spettatori, bensì, sollevando un pesante tendaggio, consente a un elemento icongruo ed evocativo di irrompere nella scena reclamando attenzione e ruolo: una Luna piena che si fa largo tra nuvole spesse e scure. Potrebbe trattarsi di un riferimento alla “Lunar society” e alla sua funzione dissipatrice dell'ignoranza, oppure del più verosimile omaggio alla “irascibile letteratura notturna” la quale nelle vesti del Gothic-Novel “è un Convitato di pietra che contagia con il sentimento della morte i carnevali della Ragione e della Sensibilità”11. Tutto in questo quadro risulta lucido e dettagliato nelle parti visibili, e al tempo stesso tutto appare ambiguo e indecidibile proprio nei dettagli. E per quanto possa apparire paradossale, in realtà non c'è contraddizione perché “Il romanzo gotico mira sempre a una epistemologia del profondo […] portando violentemente alla luce e all'azione le forze che vi si nascondevano o che vi si trovavano imprigionate […] una vittoria che s'identifica con la scoperta e lo svelamento delle autentiche forze in gioco”12.

Non è da meno, a partire dal titolo, l'altra opera chiave alla quale è d'obbligo riferirsi: “L'alchimista, alla ricerca della pietra filosofale, scopre il fosforo e prega per la buona conclusione della sua operazione, come era usanza degli antichi astrologi alchemici ” [fig, 2], del 1771 (parzialmente rimaneggiata dall'autore nel 1795). Anche qui dominano le tenebre, e ben inquadrata nel finestrone inequivocabilmente gotico, come il resto dell'edificio d'altronde, riappare la Luna. La spiegazione ufficiale riconduce l'opera alla illustrazione della effettivascoperta del fosforo da parte dell'alchimista di Amburgo Hennig Brand nel 1669, ma ormai abbiamo iniziato a dubitare, sicché...

Fig. 2

Melodrammatico, quindi teatrale, per usare un eufemismo, appare il gesto orante dell'alchimista che indossa una sorta di vestaglia oltremodo simile a quella dello sperimentatore con la pompa pneumatica13, e l'intera atmosfera del quadro calca la mano sulla suggestione, di sicuro non sulla 'ragione'. La stessa preghiera dell'alchimista lascia del tutto indifferenti i giovani assistenti arroccati nella loro luce individuale, mentre vasi e bottiglie di vetro sembrano prendere vita a contatto con l'abbagliante luce fosforica. L'unico appello alla ragione si direbbe l'anacronistico orologio sulla parete, però anche l'ora segnata è incerta (le 20 o la mezzanotte meno venti?). Regno di forze occulte che vanno oltre l'umano, o buon esito del dominio dell'uomo sulla materia? Nonostante tutto l'incertezza perdura e resiste ai tentativi di fare piena “luce”, tuttavia la Luna resta e da fuori osserva.

Dettaglio della figura 2  Dettaglio della figura 2

Vi è però anche una terza opera, non riconducibile alla cosiddetta sperimentazione, eppure egualmente esemplare di un gusto: “Miravan apre la tomba dei suoi avi” [fig. 3] portata a termine nel 1772, dove il macabro si fonde al melodrammatico gesto del protagonista investito in pieno dalla luce. Qui sì, però, la 'scoperta' coincide senza possibilità di fraintendimento con una tomba scoperchiata il cui fetore sembra raggiungere persino il nostro naso, e la raccapricciante scena sacrilega appare pervasa da uno spirito ancor più smaccatamente gotico di quello delle opere precedenti. Naturalmente non manca la Luna, o almeno se ne intuisce la presenza fuori dal quadro grazie alla luce riflessa dalle nuvole. Dal punto di vista dello stile siamo però nel regno del neoclassico, ma anche questo non dovrebbe stupirci – con Wright ci si abitua alle stranezze –, stando infatti a Hugh Honour:

In arte essi [i membri della Lunar Society] erano per lo stile neoclassico razionalizzante e semplificatore, e ben presto si resero conto di quanto esso fosse adatto alla produzione industrializzata”14.

Fig. 3

In conclusione il piatto della bilancia non pende o pende troppo poco? Forse, o forse la spiegazione è in quanto scrive la Ottani Cavina: “Wright of Derby era ciclicamente depresso, afflitto da torpori estenuanti che per mesi gli impedivano di lavorare [...] un uomo nevrotico, o malinconico come diagnosticava la medicina del tempo”15; e allora, magari, la parola fine a questo articolo la potrebbe scrivere Stevenson o, in alternativa, uno dei suoi amici: il dottor Henry Jekyll e mister Edward Hyde.

 

Didascalie delle immagini

Fig. 1 - Joseph Wright of Derby, Esperimento con ucello in una pompa pneumatica”. 1768, olio su tela, Londra, National Gallery

Fig. 2 - Joseph Wright of Derby, L'alchimista, alla ricerca della pietra filosofale, scopre il fosforo e prega per la buona conclusione della sua operazione, come era usanza degli antichi astrologi alchemici”, 1771, olio su tela, Derby, Museum and Art Gallery

Fig. 3 - Joseph Wright of Derby, Miravan apre la tomba dei suoi avi, 1772, olio su tela, Derby, Museum and Art Gallery

 

Note con rimando automatico al testo

1 A. Ottani Cavina, L'Alchimista che dipinse il progresso, “La Repubblica”, 21 aprile 1990.

2 D. Tarabra, Joseph Wright of Derby, in, Il Settecento, Electa, 2006, p. 366.

3 Dibattito che vedrà coinvolti filosofi quali Shaftesbury, Hume, Hutcheson e Burke, solo per citarne alcuni.

4 “Non si può tuttavia dimenticare che accanto alla meditazione più propriamente critico-filosofica, che segue con attenzione e con un'ampia produzione le grandi correnti della filosofia dell'epoca, esiste, affrontando i medesimi temi con diverso linguaggio, un piano argomentativo in cui sono protagonisti gli artisti, con le loro specifiche esigenze critiche o poetiche particolarmente sviluppate nella cultura inglese”. E. Franzini, L'estetica del settecento, Il Mulino, 1995, p. 107.

5 E non solo all'epoca se si considera quello che scrive Kenneth Clark negli anni sessanta del secolo scorso: “Il Gothic Revival è stato un movimento inglese, forse l'unico movimento schiettamente inglese nelle arti figurative. La moda ancora increspa la superficie dei nostri giudizi di valore […] e sotto la spinta di essa noi possiamo arrivare ad accettare quasi tutto. Il Gothic Revival è uno dei pochissimi stili che non riusciamo ad accettare; e se crediamo in valori realmente oggettivi, abbiamo ragione di pensare che questi stili siano privi di merito. Possiamo così comprendere perché gli storici dell'arte abbiano trascurato il Gothic Revival”. K. Clark, Il Revival gotico, Einaudi, 1970, pp. 3-4.

6 D. Punter, Storia della letteratura del terrore, Editori Riuniti, 1985, p. 15.

7 L. Formigari, L'estetica del gusto nel settecento inglese, Sansoni, 1962, pp. 173-174.

8 G. Briganti, I pittori dell'immaginario, Electa, 1977, p. 71.

9 B. Saint Girons, I margini della notte. Per un’altra storia della pittura, Palermo, 2008, p. 31.

10 “L'analisi psicologica delle emozioni è da un lato operazione illuministica tesa a spiegare il momento estetico sul piano del piacere sensibile che esso procura; d'altro canto, in questa consapevolezza intellettuale già si configura la sotterranea, 'gotica' pulsione verso un tipo di bellezza morboso, affatturante proprio perché avviluppato a un'idea di imperfezione: riflesso di segrete difformità dell'anima, annidate nell'inconscio collettivo”. R. Barbolini, La Chimera e il Terrore. Saggi sul gotico , Jaca Book, 1984, p. 20.

11 R. Barbolini, op. cit. p. 34.

12 P. Brook, L'immaginazione melodrammatica, Pratiche, 1985, p. 37.

13 A tal proposito non si può che condividere quanto scrive con acume il Barbolini: “Alla tecnologia è in effetti riuscito di realizzare il sogno di tutti i negromanti demoniaci della tradizione gotica: confondere i tempi, i luoghi, le identità”. R. Barbolini, Stephen King contro il Gruppo 63, Transeuropa, 1998, p. 73.

14 H. Honour, Neoclassicismo, Einaudi, 1980, p. 69.

15 A. Ottani Cavina, op. cit.

 

 

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